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Reti tlc, l’equo contributo delle big tech non basta: servono nuove regole

L’equo contributo allo sviluppo e al mantenimento delle infrastrutture di rete richiesto agli Over-The-Top può essere controproducente se si pensa solo alla sua entità economica. Si rischia di rafforzarli nel ruolo sia di finanziatori che fruitori. La consultazione UE

Pubblicato il 10 Nov 2022

Axel Donzelli

membro del comitato scientifico Fondazione Italia Digitale

telecomunicazioni

Il tema dell’equo contributo allo sviluppo e al mantenimento delle infrastrutture di rete, il cosiddetto Fair Share da parte degli OTT (Over-The-Top), è un tema ormai noto a livello europeo che sta conquistando centralità anche a livello nazionale.

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Il convegno sul mercato digitale

Il recente evento organizzato da Fratelli d’Italia presso l’università E- Campus (“TLC per la crescita del Paese. Per un mercato aperto, competitivo ed attento alla difesa dell’occupazione”) ne è la più recente conferma.

In questo evento rimane emblematica la partecipazione dell’ex ministro Vittorio Colao il quale, come ricordato con orgoglio dal senatore Alessio Butti, ha aperto e chiuso la sua avventura da ministro partecipando a due eventi organizzati da FdI.

La continuità paventata nelle ultime settimane tra il futuro governo Meloni e il governo Draghi è ravvisabile, forse, anche in questi piccoli segnali di attenzione e di vicinanza. Invitati? Tutti i Ceo delle principali telco che operano in Italia, a testimonianza che la continuità e il posizionamento su determinati temi è anche una questione di amicizie, oltre che di contenuti.

Colao ha parlato di un forte posizionamento assunto dal governo italiano a livello europeo su questo fronte e di un’eredità importante lasciata in dote al futuro esecutivo, un lascito che il partito guidato da Giorgia Meloni sembra pronto a raccogliere.

Infatti, il sen. Butti, oltre a rivendicare i meriti di FdI per le consultazioni sul Fair Share programmate per il 2023, realizzate grazie all’impegno del partito e all’ottimo rapporto con la commissaria europea per la concorrenza Margrethe Vestager, ha tenuto a precisare che FdI dimostrerà assoluta coerenza nel mantenere le posizioni assunte quando era all’opposizione.

Lo stesso Colao riconosce esplicitamente di aver ottenuto maggiore sostegno dall’opposizione rispetto alla maggioranza, almeno su alcuni temi. Il sostegno c’è stato, evidentemente, e proprio riguardo al Fair Share.

Quanto vale il Fair Share

Osservando nel dettaglio questo equo contributo esso appare sotto la formula di un pagamento annuale, un’ammenda ex post per il grande utilizzo di traffico (per la precisione, il finanziamento richiesto sarebbe di almeno 20 miliardi di euro).

Diciamo che il calcolo di questa stima, ripreso probabilmente dal report ETNO (European Telecommunications Network Operators’ Association) in cui si stimano per l’appunto 20 miliardi l’anno, senza variazioni sul lungo periodo, sembra promettere rosee prospettive di crescita. Forse bisognerebbe anche riconoscere che qualsiasi settore probabilmente beneficerebbe di 20 miliardi l’anno.

Al di là di queste valutazioni contingenti, si ritiene opportuno partire dai fattori ad oggi osservabili tra cui, ad esempio, la crisi del modello di business delle aziende di telecomunicazioni che si sta dimostrando inefficiente, come attesta la continua decrescita nel corso degli ultimi anni.

La crisi delle telco

Una delle maggiori difficoltà è rappresentata dai prezzi a cui sono stipulati i contratti di connessione con i clienti. Certo, il traffico è aumentato in maniera esponenziale negli ultimi anni, in particolare per l’utilizzo di servizi offerti dalle grandi aziende tecnologiche, tra cui i social network. Ma come non considerare strumenti come i motori di ricerca e la messaggistica istantanea quali elementi ormai cardine della società contemporanea?

Strumenti decisivi per la vita lavorativa, l’accesso alla conoscenza e la piena partecipazione democratica? Così come è essenziale la telefonia mobile, si intende.

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Ma far pagare di più i consumatori è difficile

La soluzione è far pagare di più i consumatori per questi servizi? Anche per l’attuale congiuntura storica questa soluzione appare difficile, forse fatale per tutti gli attori in commedia o semplicemente impossibile. Allora che fare?

Si ricordi che a livello europeo, lo scorso agosto alcuni rappresentanti dei governi di Italia, Francia e Spagna hanno inviato un documento alla Commissione europea chiedendo una legislazione che assicuri che le Big Tech condividano i costi delle infrastrutture di rete con le telco (parte dell’eredità a cui faceva riferimento Colao).

A settembre, dopo aver annunciato la consultazione sul tema, il commissario europeo Thierry Breton ha dichiarato che: “Dobbiamo chiederci se la nostra regolamentazione sulle reti, pensata all’epoca dell’apertura alla concorrenza delle reti in rame, è ancora adatta, ora che si parla già di metaverso con flussi massicci di dati“. Senza parlare dell’hashtag #FairShare condiviso su Twitter dopo la riunione con l’Ad di Tim Pietro Labriola e i ceo europei di Vodafone, Deutsche, Orange e Telekom.

Che modello propongono gli Over The Top?

Un progetto di consultazione e quindi di regolamentazione è sicuramente condivisibile anche per avere maggiore contezza della materia che si sta andando a disciplinare.

Attualmente però, se fondato su queste basi una simile prospettiva appare finalizzata essenzialmente a definire l’entità del contributo, senza riflettere maggiormente su quale modello attraverso questa partecipazione economica si sta promuovendo.

Inoltre, in questi termini si tratterebbe di una scelta di natura politico-industriale più che di una regolamentazione. Che appare come il tentativo di sostenere un settore in recessione, per quanto anche questa sia di certo una scelta pienamente legittima, magari perseguibile anche attraverso modalità alternative.

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Il senso della consultazione

Si potrebbe riflettere maggiormente su ciò che giustifica nel concreto questa consultazione, un fondamento che da alcuni punti di vista non appare così solido. In questo contesto, risuona la netta posizione del BEREC (Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche) il quale ha esplicitamente affermato di essere contrario all’ipotesi di tassare le Big Tech e proprio da una prospettiva di natura politico-industriale, affermando che “il BEREC non ha riscontrato alcuna prova del fatto che il metodo di un compenso diretto sia giustificato considerate le condizioni attuali del mercato”.

Per l’appunto, come si sosteneva precedentemente, l’argomentazione è incentrata su “le condizioni di mercato”. Inoltre, il fatto che il Fair Share rappresenti un intervento sul mercato molto significativo impone delle motivazioni che lo giustifichino estremamente solide anche agli occhi degli Stati membri.

A tale riguardo, appare quindi ancora più critico il fatto che uno dei presupposti fondamentali su cui si basa la richiesta di contributo ovvero il c.d. “free-riding” (ovvero l’utilizzo di un bene pubblico senza il pagamento di alcun prezzo) non sarebbe per il BEREC pienamente giustificato e osservabile alla luce delle evidenze empiriche disponibili. Quindi un’altra netta critica che inficia il fondamento del ragionamento.

I soldi non risolvono il problema

In definitiva, si sostiene che una simile regolamentazione non sia in grado di risolvere il problema in maniera sistematica, né di andare a eradicare le criticità presenti nel modello di business, oltre che concorrenziali, riconosciute dalle aziende di telecomunicazioni.

Se il modello alla base è improduttivo non è con un contributo esterno, per quanto significativo, che può essere risolto il problema. Tralasciando almeno in questa sede tutte le criticità che questo contributo prefigurerebbe.

La prospettiva di un contributo delle grandi aziende dell’ambito tech impone una seria riflessione anche a livello concettuale o, quantomeno, ci presenta la crisi radicale di un modello a lungo promosso.

Va in crisi il concetto di rete libera e neutrale

Infatti, la convinzione, la ricerca e la lotta per una rete che sia effettivamente un’infrastruttura neutrale a cui attingere per usufruirne in maniera libera e autonoma viene messo in crisi nel momento in cui l’interesse di determinati soggetti potrebbe entrare a far parte dello stesso modello di sviluppo, crescita e cura infrastrutturale.

Dietro la volontà di tutela, di protezione ed equità si nasconde il serio rischio di chiedere a questi soggetti di trasformarsi in realtà molto più forti di quanto non siano, capaci di favorire i loro prodotti e servizi, di implementare tecnologie più utili al proprio modello di business, sempre nella prospettiva di dover incrementare il traffico verso i propri prodotti.

Finanziatori e fruitori di rete

Seppur indirettamente, gli OTT andrebbero a ricoprire un doppio ruolo nei confronti dell’infrastruttura di rete, di finanziatore e fruitore, il che impone un’attenta riflessione.

È necessario anche riconoscere che l’aumento del traffico non è un elemento che possiamo attribuire solo a questo o quel determinato soggetto ma fa parte dell’evoluzione storica del modello di sviluppo che stiamo promuovendo. È un elemento essenziale del processo di crescente digitalizzazione della società a cui le stesse pubbliche amministrazioni stanno tendendo e le medesime istituzioni stanno incentivando a livello pubblico e privato.

La crescita di traffico è figlia del modello di sviluppo

Il digitale incarna la tendenza fondamentale del nostro tempo e di certo la sua implementazione è stata negli anni estremamente rapida, in particolare durante e a seguito del periodo pandemico, ma anche per risolvere necessità di ordine pratico, migliorare la competitività delle PMI e, più in generale, del nostro sistema Paese.

Proprio per questa serie di motivazioni, la crescita del consumo di dati non può essere attribuita esclusivamente al ruolo di queste aziende.

Inoltre, il sostegno ad un settore in crisi non può essere risolto semplicemente imponendo un costo alle imprese che creano servizi. Il cortocircuito teorico alla base di questo ragionamento si esplicita attraverso un semplice esempio: immaginiamo un passato in cui la crescente domanda di energia elettrica, e quindi l’aumento dei costi dovuto al loro mantenimento e alla loro implementazione, fosse stata traslata sulle imprese che realizzano phon, lavatrici e lavastoviglie.

In un simile scenario gli strumenti elettronici grazie ai quali la stessa domanda di energia, e quindi il valore generato dagli stessi fornitori, si accresce sarebbero stati tassati e incentivati a ridurre la propria produttività.

La chiave è nel beneficio reciproco

Bisogna invece reputare l’interdipendenza che si instaura tra i due servizi come un beneficio reciproco a vantaggio di entrambe le imprese. Infatti, ad una crescita di contenuti e applicazioni corrisponderà una maggiore richiesta di banda e, pertanto, un maggiore valore nella fornitura che può essere offerto al consumatore anche secondo diverse modalità e costi, in base al livello di prestazione offerto e individuando delle soglie minime di qualità del servizio. Semplicemente, ad una prestazione particolarmente elevata potrà corrispondere un costo maggiore.

Consumatore, il grande assente

In tutta questa riflessione però c’è un grande assente, il cittadino ancor prima che il consumatore. Possiamo considerare un’infrastruttura così essenziale solo in base al modello di business avanzato da grandi soggetti privati? La consultazione può pensare semplicemente ad ampliare la platea dei partecipanti privati senza riflettere sulla governance?

Ad oggi i termini del dibattito e, probabilmente, della regolamentazione sembrano proprio questi. Che vinca una posizione o l’opposta, in che modo il cittadino verrà tutelato?

Di certo può esserlo senza trasferire il contributo sul consumatore finale, tanto più in una società per la quale determinati servizi come la connettività si stanno compiendo passo dopo passo nella nobile veste di diritti.

Ripensare il modello produttivo

Difficile di certo prefigurare un’alternativa che non sia un lasciar tutto così com’è. Si ritiene di certo necessario, ancor prima di questa consultazione o per mezzo di essa, discutere con tutti i soggetti interessati sul modello produttivo promosso e sulle modalità di partecipazione di istituzioni e privati ad un bene di diretto interesse della comunità.

Forse, è proprio la veste di infrastruttura strategica e di bene comune che potrebbe dischiudere la strada verso la soluzione di questo intricato problema di contrappesi.

La stessa Unione Europea potrebbe valutare come suo diretto interesse la possibilità di intervenire in maniera più significativa nell’ottica di tutela e gestione di un complesso infrastrutturale vitale per lo sviluppo della società e dell’economia europea.

In questa prospettiva sì che si potrebbe aprire un tavolo di confronto e valutare, nel pieno rispetto delle differenze e dei ruoli, le modalità di partecipazione di tutti i soggetti coinvolti.

Al di là di ragionamenti di più ampia natura, basterebbe di certo partire dal ridefinire i termini di un contributo che non appare pienamente giustificato se non dalla profonda crisi di un settore e, alla luce di quanto sostenuto, tenere a mente che la scelta di far pagare questo equo contributo agli OTT potrebbe andare contro gli interessi dei cittadini, delle istituzioni e di numerose imprese.

Infatti, investire di un doppio ruolo questi grandi soggetti potrebbe non essere la migliore soluzione nel lungo periodo, per nessuno.

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