Al tempo del coronavirus, dello smart working e della pubblica amministrazione 4.0, l’Italia fa i conti con tutto il suo ritardo tecnologico. La banda ultra larga (vera) ancora non è abbastanza diffusa , le strutture centrali e periferiche dello Stato spesso non sono connesse fra di loro e le aziende, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, non hanno fatto abbastanza investimenti per prepararsi al telelavoro.
Gli ultimi dati Agcom dicono che solo il 36,8 per cento degli italiani può contare su una copertura di rete ad almeno 100 Mbps e il 68,5 per cento ad almeno 30 Mbps, velocità minima per uno smart working e lezioni online senza problemi (in particolare sul video).
Del resto, il primo a essere in ritardo è lo Stato che non ha centrato gli obiettivi di infrastrutturazione della rete promessi cinque anni fa. Con una politica che oggi sembra più consapevole delle potenzialità derivanti dalle tecnologie digitali, occorre accelerare per recuperare il ritardo accumulato e garantire più ampiezza di banda, lavorando alle soluzioni piuttosto che guardare ai problemi del passato.
La strategia del piano banda ultra larga per ora è chiara, i soggetti sono stati individuati. È tempo quindi di agire. Le tecnologie digitali – come ci sta insegnando la Cina – servono non solo a sconfiggere il coronavirus, ma anche a programmare il futuro dopo la fine dell’emergenza.
Infrastrutture TLC, cosa ci insegna l’emergenza Covid-19.
I DPCM emanati finora per contrastare l’emergenza Covid-19 hanno dato un forte impulso al lavoro agile, nella PA e nel privato, messo il sistema scolastico di fronte all’esigenza di erogare la didattica in modalità digitale, spingere la sanità a curare i pazienti da remoto per la necessità di liberare spazi negli ospedali. Al tempo stesso lo stress-test a cui è sottoposto il sistema Paese ha messo in luce, in maniera ancora più evidente, i ritardi accumulati nell’attuazione del Piano Banda Ultra Larga che ci avrebbe dovuto dotare di infrastrutture di telecomunicazione di nuova generazione. Improvvisamente ci siamo ritrovati a casa, con intere famiglie diventate sempre più bandivore, senza però poter disporre della capacità di rete necessaria. Servono almeno 30 megabit per le piattaforme di gaming, altri 30 megabit per Sky, un’altra quindicina se qualcun altro in casa si guarda una serie su Netflix. Un sovraccarico di rete, aggravato dalle difficoltà di accesso alle applicazioni aziendali, che sta mettendo in seria difficoltà chi deve lavorare da casa. Insomma è come se ci fossimo ritrovati a correre i 100 metri senza un adeguato allenamento, peraltro a piedi nudi e sullo sterrato.
Chi invece riesce a correre i 100 metri su piste costruite con i materiali più performanti, peraltro con scarpe ultimo modello, è la Cina. Grazie agli allenamenti di questi ultimi anni fatti sulle nuove tecnologie è diventato il Paese primatista mondiale, grazie a una colossale dotazione infrastrutturale. Su un articolo apparso sul Sole24Ore[1] si può leggere come oltre un mese fa, Xi Jinping abbia lanciato un appello alle aziende tecnologiche del Paese, una sorta di chiamate alle armi contro l’epidemia attraverso le migliori soluzioni tecnologiche: big data, intelligenza artificiale, robotica e device connessi.
Un vero e proprio arsenale di nuove tecnologie messe a disposizione della Repubblica Popolare che sarebbe riuscita così a rallentare il contagio. Con le stesse tecnologie stanno ora preparando la ripresa. Arriva dalla Cina, infatti, un’altra notizia riguardante l’investimento effettuato dalla Banca Centrale cinese (People’s Bank of China) di 4,7 milioni di dollari per potenziare la propria piattaforma finanziaria su blockchain. La piattaforma vedrebbe il coinvolgimento, a metà gennaio, di 44 banche e 1.900 aziende, con transazioni per oltre 90 miliardi di Yuan, e avrebbe già contribuito a migliorare l’efficienza delle approvazioni dei prestiti alle PMI, riducendo da 10 giorni a circa 20 minuti il tempo necessario per elaborare le richieste e riducendo anche i costi dei finanziamenti delle imprese del 6%. Secondo gli analisti, il nuovo investimento servirebbe per l’ulteriore crescita della piattaforma, con l’obiettivo di eliminare le aree isolate, a livello di informazione, in modo da potenziare l’efficienza delle transazioni interbancarie, grazie alla condivisione dei dati tra i vari operatori. È possibile che la nuova spinta provenga anche dalla necessità di facilitare ulteriormente l’accesso al credito alle PMI, proponendo una più ampia gamma di strumenti finanziari dopo che l’emergenza dovuta all’epidemia sarà finita. Insomma, la Cina si starebbe già attrezzando per il futuro rilancio economico, puntando su tecnologie emergenti e sulla capillarità delle sue autostrade digitali.
Il ritardo tecnologico dell’Italia
Negli ultimi anni l’Italia ha accumulato forti ritardi nell’infrastrutturazione del territorio con reti di comunicazioni a banda larga. Ritardi storici nello sviluppo delle reti di Tlc che producono i loro effetti in una situazione complessiva che vede il nostro Paese già strutturalmente indietro di ben 18 punti percentuali rispetto alle altre economie europee in termini di copertura della FTTH (Fiber To The Home), posizionando l’Italia agli ultimi posti delle classifiche internazionali (all’interno dell’EU al penultimo posto, seguito solo dalla Grecia). Un digital divide che, a fine 2016, vedeva solo il 18% circa delle unità immobiliari coperta da una rete in fibra ottica, mentre la media UE era pari al 22%. Un divario che non si è attenuato nei due anni successivi, quando le stesse percentuali di copertura sono passate rispettivamente al 23% per l’Italia e al 29% per l’Ue. Più evidente ancora il divario di prestazioni che si registra in termini di tasso di penetrazione tra gli utenti. A dicembre 2016, meno del 3% delle linee fisse a banda larga attive in Italia supportava velocità di download superiori a 100 Mbps, laddove la media Ue era già pari al 17%. Gli stessi dati, a fine 2018, erano pari rispettivamente al 18% e al 30%.
Far diventare l’Italia una smart nation significa perciò dotarla di adeguate infrastrutture digitali, quelle autostrade dove poter far viaggiare velocemente dati, avere connessioni ad altissima capacità per puntare ad aumentare la percentuale di clienti, famiglie e imprese, effettivamente connessi alle reti. Se consideriamo che le reti sono realizzate per essere utilizzate, gran parte del successo della strategia digitale che il Governo vorrà mettere in atto dipenderà non solo dalla realizzazione delle reti, ma soprattutto dal loro effettivo utilizzo. Da questo punto di vista il divario da colmare resta molto importante.
La sanzione dell’Antitrust per Tim apre (forse) nuovi scenari di mercato
La recente sanzione comminata a Telecom Italia Mobile dall’Autorità Antitrust ha fatto emergere un altro motivo del ritardo accumulato, quello che riguarda gli esiti di una guerra strisciante, mai veramente risolta, per mettere d’accordo i due grandi operatori del mercato (Open Fiber e Telecon Italia). Secondo i commissari dell’AGCM “TIM ha attuato una strategia anticoncorrenziale preordinata a ostacolare lo sviluppo in senso concorrenziale degli investimenti in infrastrutture di rete a banda ultra larga”. Per questo l’Autorità ha ritenuto di dover sanzionare le condotte di TIM “volte a ritardare lo sviluppo della fibra nella sua forma più innovativa nelle aree dove ce ne sarebbe stato più bisogno, ovvero nelle così dette aree bianche, quelle aree cioè dove, in assenza di sussidi, il mercato non giustificherebbe l’infrastrutturazione innovativa”.
L’Autorità ha accertato che TIM ha posto ostacoli all’ingresso di altri concorrenti e ha ostacolato lo svolgimento delle gare, indette nell’ambito della strategia nazionale banda ultra larga del Governo, con iniziative legali strumentalmente rivolte a ritardare le medesime gare.
La sanzione pecuniaria di circa 116 milioni di euro, stabilita “bilanciando la necessità di garantire la necessaria deterrenza rispetto a possibili future condotte con l’esigenza che la sanzione non sia ingiustificatamente afflittiva”, potrebbe risultare quel grimaldello per scardinare per sempre investimenti su reti obsolete e non performanti (basate su soluzioni ibride fibra-rame), puntando solo sulla fibra, facendo decollare quella rete unica sulla cui ipotesi è ripartito il gran consulto tra Telecom-Cdp-Enel. Uno scenario di mercato non nuovo, rilanciato dal presidente di Tim, Salvatore Rossi, che in una recente intervista ha segnalato che il gruppo è disposto a discutere tutti gli aspetti derivanti da una possibile fusione con Open Fiber. L’intervista potrebbe essere letta come una accelerazione per creare una rete unica. Ne sapremo di più a breve, quando sarà presentato il piano strategico triennale a cui starebbe lavorando l’ad di Tim Luigi Gubitosi, che dovrebbe svelare la visione sullo sviluppo della rete ultraveloce e una possibile roadmap per arrivare a integrare l’infrastruttura in fibra con quella di Open Fiber. Un progetto che sembra aver destato l’interesse della politica, risvegliandola da un lungo torpore.
“Ritengo che l’Italia abbia bisogno di accelerare sul sentiero dell’innovazione tecnologica – ha affermato il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri in una nota – assicurando ai cittadini, alle imprese e alle amministrazioni l’opportunità di avere a disposizione una infrastruttura nazionale di comunicazione in banda ultra larga, basata su una capacità di trasmissione dati efficace e veloce. Si tratta di una infrastruttura che ha un indubitabile carattere strategico e che non a caso rientra nell’ambito della disciplina sul golden power”.
L’accelerazione del Piano BUL e il ruolo di Infratel Italia
Che la politica abbia finalmente trovato il tempo per affrontare la questione trova riscontro nella scelta del Governo di individuare nella Ministra Paola Pisano la figura nell’esecutivo cui assegnare le deleghe alle Tlc e la presidenza del CoBul (Comitato per la diffusione della Banda Ultra Larga). Una governance chiara, finalmente, cui ha fatto seguito un certo attivismo del Mise che, attraverso il rinnovo del C.d.A. di Infratel Italia S.p.A., sua società in-house, sta cercando di dare una svolta nell’attuazione della strategia governativa.
Il ministro dell’innovazione Pisano, parallelamente, è intenta a riorganizzare le infrastrutture digitali su cui viaggiano i servizi della PA, ormai divisi tra servizi strategici (gestiti direttamente da un Polo strategico nazionale) e servizi ordinari, da razionalizzare attraverso la dismissione dei data center più obsoleti e la migrazione dei servizi su data center più affidabili, oppure affidandosi a servizi cloud, per i quali si dovrà attendere l’esito della gara per il cloud nazionale da 1,2 miliardi di euro varata da Consip. Nell’ultimo incontro del CoBul, dove sono state discusse le cause dei ritardi nell’attuazione del Piano, sono state ascoltate anche ANAS e RFI per individuare e risolvere le problematiche legate alla fase progettuale e autorizzativa, si è convenuto sulla necessità di istituire un tavolo tecnico, per entrambi i soggetti, presieduti dal MID, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, rappresentanti delle Regioni, Infratel e Open Fiber al fine di velocizzare i lavori per portare connettività all’avanguardia in tutte le aree del paese.
Infratel, che ha rinnovato il CdA da poche settimane, è impegnata in una nuova strategia per imprimere una forte velocizzazione al Piano BUL: rafforzare il controllo sui cantieri, esercitare le verifiche sulle attività di Open Fiber per sollecitare il rispetto delle tempistiche previste nel contratto, ma anche avvio di tavoli di lavoro con la concessionaria, che si è aggiudicata i bandi per eseguire l’infrastruttura, per snellire procedure, ostacoli burocratici e risolvere criticità che possono rallentare la progettazione e l’esecuzione dei lavori. “Abbiamo instaurato un dialogo costante e operativo con il concessionario Open Fiber – ha spiegato il neo CEO di Infratel Marco Bellezza – in modo da automatizzare alcuni flussi di lavoro come la progettazione e il collaudo dei lavori. Per ragioni varie, dai ricorsi alla mancanza delle autorizzazioni, siamo indietro nella realizzazione del Piano e dobbiamo imprimere una decisa accelerazione. Ci sono oltre 300 milioni di opere ordinate e non realizzate. È questa la priorità numero uno: realizzare le opere e spendere le risorse messe a disposizione dal Piano in tempi brevi.”
Sulla base di questi intenti, con un approccio da vera startup (trasparente e con precisi kpi) è stato presentato il Piano di Infratel per il 2020-2023. Ecco, in sintesi, i pilastri:
- Valorizzazione della rete pubblica;
- Piazza Wifi Italia – da installare in 3 mila comuni entro il 2020;
- Piano BUL: obiettivo 800 collaudi entro il 2020 e raggiungimento di almeno l’85% di unità immobiliari con copertura di almeno 100Mb;
- Progetti sulle tecnologie emergenti (5G) e servizi abilitati dalla banda ultra larga[2], con copertura ad almeno 100 Mbps di sedi ed edifici pubblici (scuole, ospedali, ecc.), delle aree di maggior interesse economico e concentrazione demografica, delle aree industriali, dei principali snodi logistici.
Il tema nuovo, tutto da esplorare, anche in termini di economie di scala, risiederebbe nelle possibili integrazioni tra l’infrastruttura in fibra e quella per il 5G, perché in un territorio difficile da infrastrutturare come l’Italia bisognerebbe sfruttare ogni spazio per possibili sinergie tra tecnologie disponibili. La strategia quindi è chiara ed è coerente con i nuovi obiettivi al 2025 della Commissione europea, espressi dalla Comunicazione COM (2016)-587 “Connectivity for a Competitive Digital Single Market – Towards a European Gigabit Society”, in quanto diffonde la fibra ottica in modo capillare sul territorio verso le utenze residenziali e rende disponibili connessioni FTTH alle pubbliche amministrazioni e alle aree produttive, abilitando anche lo sviluppo del 5G.
Centrare questi obiettivi significa accelerare gli interventi nelle aree bianche, cosa che al momento è in fase troppo arretrata rispetto alle previsioni. Il Piano avrebbe dovuto essere implementato fino all’80% entro la fine di quest’anno, ma se si arrivasse al 40% saremmo già di fronte a una svolta. Il Governo, infatti, aveva previsto 9 milioni di unità immobiliari connesse in banda ultra larga al 31 dicembre 2019; il concessionario ha connesso circa 2,2 milioni di unità immobiliari. Il dato peggiore riguarda i comuni completati, che sono pari a 424 su 6.237 previsti dal Piano, di cui 103 collaudabili e solo 80 già collaudati. Dati allarmanti, che purtroppo si commentano da soli, soprattutto se analizzati alla luce di una ricerca dell’Università di Padova, secondo la quale “il 42,3% degli italiani sarebbe disposto a lasciare il proprio comune per disporre di una migliore connettività e accessibilità a internet”.
La situazione più grave si osserva nei Comuni montani che registrano gravi problemi per le mancate autorizzazioni, per ditte che non lavorano in modo adeguato, per problemi di appalti e subappalti. Ci sarebbe anche un problema, mai considerato dal Piano, legato ai mesi invernali quando, per la neve, è impossibile tagliare e scavare le strade. Insomma per la montagna, comunità, cittadini e imprese, i ritardi sono gravissimi e il cronoprogramma di due anni fa è completamente saltato. Per recuperare terreno, il Mise ha stanziato 5 milioni per completare il catasto del sottosuolo (il Sinfi), una mappatura dei cavidotti che consentirebbe risparmi notevoli sui costi di scavo nella posa della fibra, che andrà in favore di quei Comuni che hanno difficoltà nel conferimento dei dati per mancanza di risorse e di professionalità specifiche dedicate.
Gli altri tasselli della strategia: aree grigie e piano voucher
Per completare il tassello strategico del Piano Italia 2025, il Governo ha messo sul tavolo anche il Piano voucher per favorire la diffusione della connessione in fibra ottica e una roadmap per la prima gara – da bandire entro la fine dell’estate – dedicata allo sviluppo della banda ultra larga nelle “aree grigie[3]”. Per il piano voucher il tesoretto sarebbe di 1,3 miliardi, da distribuire in un arco temporale di tre anni. I criteri saranno stabiliti dal Mise, con un decreto che seguirà all’esito del confronto in atto con l’Europa sulle regole di assegnazione. Si tratterà di una misura da sviluppare su tutto il territorio nazionale, obbedendo al principio di neutralità tecnologica, ponendo particolare attenzione alle famiglie con Isee sotto i 20 mila euro (con la copertura totale del costo dell’abbonamento e una rimodulazione graduale per le famiglie sopra tale soglia), stabilendo accordi con le Regioni che permetteranno di venire incontro alle specifiche esigenze dei territori. Prime stime parlano di un target potenziale di soggetti destinatari dei voucher composto da:
- 39.996 plessi scolatici, con una dotazione di 199 milioni;
- 561 centri per l’impiego, con una dotazione di 2,8 milioni;
- 3,9 milioni di imprese, con una dotazione di 548 milioni;
- 13,8 milioni di linee residenziali, con una dotazione analoga di 548 milioni;
Su 32 milioni di civici totali e 36,5 milioni di unità immobiliari, gli operatori prevedono che il 29% delle unità sarà coperto da collegamento over 100 e il 21% specificatamente con la fibra. Quindi almeno il 50% delle unità immobiliari, di qui al 2021, è potenzialmente incentivabile col piano voucher.
La banda ultra larga nelle scuole
Per quanto riguarda l’obiettivo di dotare gli istituti scolastici di banda ultra larga, un bell’esempio di sinergia pubblico-privato viene dall’accordo sottoscritto da Infratel e GARR[4], che hanno lanciato una sperimentazione per utilizzare l’infrastruttura pubblica gestita da Infratel a vantaggio delle scuole. La prima scuola a beneficiare di questa collaborazione è l’Istituto Tecnico Industriale “Ettore Majorana” di Brindisi, che vedrà collegate le due sue sedi alla rete GARR a una velocità di 1 Gbps. L’iniziativa congiunta, la prima in Italia in una scuola, consentirà di beneficiare di tutti quei vantaggi della velocità di connessione per le attività didattiche di studenti e docenti, favorendone la digitalizzazione. Proprio queste esperienze dovrebbero riuscire a indirizzare il piano voucher, che non dovrebbe finanziare tecnologie con componenti miste rame-fibra (come la FTTC, Fiber to the cabinet) non in grado di accompagnare gli utilizzatori finali e il Paese verso i dettami della Commissione Ue, che ha parlato di Gigabit Society, indicando in 1 Gbps in download, ma anche potenzialmente in upload, la velocità minima per essere considerata una tecnologia a prova di futuro. Quello che è certo è che nel 2022-2023 ci sarà bisogno di un gigabit al secondo di banda in download e upload a casa di ognuno. A maggior ragione ciò sarà vero nel 2025, data entro la quale la Gigabit Society della Ue impone appunto il gigabit. Con il rame sarebbe impossibile raggiungere tali velocità; l’unica tecnologia che raggiunge questa performance oggi è l’FTTH. Quindi bisogna trovare il modo affinché i voucher vadano alla fibra; se devono essere investiti soldi pubblici, questi vadano a finanziare tecnologie con queste capacità di trasmissione.
Conclusioni
Il Piano BUL è un progetto Paese che per avere successo deve necessariamente avere la collaborazione di tutti. Un progetto di infrastrutturazione così importante e ambizioso non si vede dagli anni ‘50, ma sicuramente le regole allora erano molto diverse e non c’era la burocrazia attuale. A questo si aggiungano le regole stringenti previste dai bandi, che vanno rispettate comune per comune, in termini di numero di unità immobiliari connesse, pac pal, nodo operatore, che abilitano o non abilitano l’approvazione dei progetti, definitivi ed esecutivi, e dei collaudi; si aggiunga inoltre una capacità “finita” e non infinita delle imprese di lavorare, con esigenze di tornare numerose volte in un comune qualora non siano presenti tutte le autorizzazioni necessarie. Il tema è complesso e deve essere compreso nella sua interezza. Sicuramente è una grande opportunità per l’Italia, il più grande progetto europeo come dimensioni, per cui non va persa questa occasione, ma il suo successo non dipende solo dal concessionario. Open Fiber è oggi il più grande wholesaler europeo e offre fibra FTTH in modo paritario e non discriminatorio ai retailer. Il suo arrivo, dati alla mano, ha stimolato una dinamica competitiva di cui si è avvantaggiato l’intero sistema.
Oggi il Paese non ha tutta la capacità di banda per traghettare famiglie, imprese e PA nel futuro digitale. L’emergenza che stiamo vivendo si spera possa servire a spronare tutti a fare molto di più. Quello che più conta è che l’Italia recuperi il gap di connettività e si incammini verso una solida infrastruttura di rete finalmente capace di offrire affidabilità, alta velocità e bassissima latenza: caratteristiche essenziali per non perdere il treno della rivoluzione digitale. Se ci rendiamo conto di questo, riusciremo a traguardare questo importante obiettivo.
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- Fonte il Sole24Ore “Così big data e intelligenza artificiale stanno battendo il coronavirus in Cina”, https://www.ilsole24ore.com/art/la-macchina-tech-xi-jinping-cosi-big-data-e-intelligenza-artificiale-stanno-battendo-coronavirus-cina-ADsL0XB?refresh_ce=1 ↑
- Si pensi alla tecnologia Fixed Wireless Access di accesso a banda larga via onde radio che consente di evitare la parte finale degli scavi fino all’utente con risparmio di tempo e di costi. ↑
- Le aree grigie sono una classificazione del territorio stabilita dalla Commissione Europea per misurare la presenza nei prossimi tre anni di una sola rete a banda ultra larga. ↑
- Il GARR è l’associazione creata sotto l’egida del Ministero dell’Università e della Ricerca, che gestisce la rete nazionale a banda ultra larga dedicata alla comunità dell’istruzione e della ricerca. ↑