Ricordo
Parlavano ai loro sistemi sottopelle o dettavano mentalmente i propri messaggi, ma questi non si trasformavano più in comunicazioni. Da oltre un secolo erano veicolate ai destinatari attraverso il reticolo universale, da 48 ore azzerato. Infatti il Grande Ictus Mnemonico di due giorni prima aveva lasciato gli abitanti del Pianeta e i coloni della Galassia senza le scritture automatiche, chiamate anche “istintive”. Da molte generazioni non si insegnava più la scrittura, né con tastiere volatili né tantomeno a mano. Pochissimi studiosi erano in grado di leggere. Ogni comunicazione era verbale. Molto raramente la si voleva in versione testuale, nella scrittura unificata in ideogrammi latini. Lo sgancio di tutte le memorie reticolari aveva fatto precipitare venti miliardi di umani e almeno il doppio di umanidi nel caos di una immobilità comunicativa totale. Da quarantotto ore tutti dettavano, poi urlavano, imprecavano, ma nessuna parola pronunciata si trasformava più in messaggio veicolabile. Non si autocomponeva, non si inoltrava, non arrivava. Non rimaneva che parlarsi faccia a faccia. Tutti ripresero a viaggiare, per incontrarsi. Inoltre, parlarsi liberamente in lingue diverse, pur vis a vis, era impossibile, perché le talking heads erano fuori uso.
“Dobbiamo trovare al più presto almeno un Apostolo della Scrittura, questi sono gli ordini” chiarì la comandante Akila Khaspros.
“Sono pochissimi in tutta la Galassia e la loro ubicazione è tenuta segreta nelle memorie, ora dissolte” puntualizzò Stefano Magli, l’agente di Memoria Antica della squadra, cercando di ricordare in quale luogo del Pianeta aveva sentito parlare di apostoli.
L’autobus a due piani – il piano superiore era la sede di copertura della Memory Squad – giunse alla fermata “Gae Aulenti”. I vecchi altoparlanti scricchiolarono: “Prossima fermata, Maria delle Grazie, Cenacolo”.
La grandine sfracchigliava impietosa contro il tessuto respingente degli abiti. Non si mossero dalla testa della fila che nel corpo e nella coda si dileguò. Mancavano pochi minuti alla chiusura del chiostro. I cinque agenti della Memory Squad 11 si infilarono nella porticina antica.
I dodici apostoli chiacchieravano fra loro mischiando argomenti, dialetti aramaici e umori. Giosuè forse li ascoltava, in silenzio. L’affresco animato era immobile ora, senza memorie riproduttive. Le parole dei commensali ancora vagavano e si rincorrevano nell’ex refettorio del convento adiacente al santuario. Stefano Magli si avvicinò al dipinto fino a fronteggiare l’apostolo Giovanni, piegò la testa a sinistra per guardarlo dritto in faccia.
“Cerchiamo un apostolo della scrittura. Io dico che è in mezzo a voi…” osò l’agente Magli, precipitando le sue parole. Giovanni aveva lo sguardo chino, alzò le palpebre, ma non il viso. “Le nostre parole le scrive nel retro… da secoli…” disse.
L’agente Magli, sentì la tempera lamentarsi. Digrignare i denti. Il muro tremava. Si era fatto sottile, come un foglio di antica carta. Magli scattò verso destra. Alla fine della tavolata la parete era aperta quanto bastava per infilarsi, pur a fatica. Dietro la grande opera, un piccolo uomo nero e calvo sfregava l’indice contro la superficie ruvida, fino a sanguinare.
“Non sono un apostolo… Gli apostoli della scrittura sono tutti scomparsi… Io… io sono una semplice guardia… sì una guardia dello scrivere…” ammise in un bagno di sudore e di rabbia. Il dito arrancava a fatica per chiudere il cerchio. Dell’ultima lettera della parola “ricordo”.
(9-continua)