La politica sul digitale che traspare dalle bozze del Codice dell’Amministrazione modificato nel Consiglio dei Ministri del 20 gennaio, genera più di un dubbio.
Due sono i punti sui quali andrebbe posta l’attenzione: il “presunto” FOIA che sarebbe stato ipotizzato dal Governo, e i limiti di capitale per esercitare le attività sottoposte a sorveglianza dell’AGID che sono stati innalzati ed addirittura estesi per alcune attività connesse al digitale.
Occorrerà in verità attendere le versioni definitive del CAD, come uscito effettivamente dal Consiglio dei Ministri del 20 gennaio e come poi trasmesse, dopo il visto della Corte dei Conti, alle Commissioni Parlamentari Competenti, ma non c’è dubbio che, le bozze circolate nelle ultime ore, stanno destando nelle piccole e medie imprese del digitale, più di uno sconcerto.
Anche se c’è chi getta acqua sul fuoco e sostiene che la norma sul capitale sociale delle entità sottoposte alla vigilanza di AGID, sia stato modificato nel corso del Consiglio dei Ministri del 20.
Stando invece a quanto emerge dalla proposta in circolazione in queste ore, le attività soggette alla vigilanza ed al controllo dell’AGID ( e non solo lo SPID) sarebbero state sottoposte ad un limite di capitale elevatissimo ed ai requisiti di capitale e di onorabilità necessari per l’esercizio dell’attività bancaria.
Si tratta delle attività de “I prestatori di servizi fiduciari qualificati, i gestori di posta elettronica certificata, i gestori dell’identità digitale di cui all’articolo 64 e i soggetti di cui all’articolo 44-bis, ovvero i soggetti pubblici e privati che svolgono attività di conservazione dei documenti informatici”.
Firma digitale dunque, SPID, posta elettronica certificata e conservazione dei documenti informatici.
I soggetti che esercitano ( o che intendono esercitare) queste attività da domani si potrebbero trovare a dover avere un capitale sociale di 5, o addirittura di 10 milioni di euro, per poter aspirare a svolgere la funzione soggetta alla vigilanza dell’AGID.
Questo, peraltro in aperta contraddizione con quanto stabilito dal TAR Lazio, che già aveva censurato la Presidenza del Consiglio per il limite troppo elevato di capitale sociale per esercitare le attività all’interno dello SPID.
Evidentemente sorda alle rimostranze delle PMI ed a quanto stabilito dalla giustizia amministrativa, la Presidenza del Consiglio ha infatti introdotto l’art 25 dello schema di decreto legislativo in discussione, che, nel richiamare, ed estendere anche alle attività di chi sopra, i requisiti per l’esercizio delle attività di certificatore di firma qualificata, ne richiama i requisiti per essere accreditati, ovvero a) avere forma giuridica di società di capitali e un capitale sociale non inferiore a quello necessario ai fini dell’autorizzazione alla attività bancaria ai sensi dell’articolo 14 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385;
Orbene la circolare 263/2006 della banca d’Italia (aggiornata nel 2013) prescrive il capitale di 10 milioni per l’esercizio dell’attività bancaria delle società per azioni e 5 milioni di euro per le banche di credito cooperativo.
Poiché il requisito per esercitare le attività soggette alla vigilanza dell’AGID prevede proprio la forma di società di capitali, appare chiaro che la norma non possa applicarsi se non al requisito dei 10 milioni di capitale sociale che si riferisce appunto alle società di capitali, e non al credito cooperativo che ha forme giuridiche e caratteristiche incompatibili con quelle delle società di capitali.
Cosa accadrà a chi nel frattempo è stato accreditato ed ha capitali minori ed al mercato di chi intendeva fornire questi servizi, non è dato comprendere.
Un bel pasticcio, che rischia di desertificare completamente il panorama delle imprese italiane che vogliono investire nel digitale e che sono soggette alla vigilanza dell’AGID.