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Ripartenza post covid, Gay: “I sette assi per una vera politica industriale per il digitale”

Se si ferma la digitalizzazione si ferma tutto lo sviluppo della nostra economia. La strategia di intervento ora deve andare oltre il contingente e dare le basi solide alla ripartenza, ottimizzando la leva degli investimenti. Il punto nel rapporto “Il Digitale in Italia 2020”

Pubblicato il 17 Lug 2020

Marco Gay

presidente Anitec Assinform

digitale

La prima metà del 2020 ha segnato un calo dell’attività economica di intensità eccezionale. Sotto i colpi della pandemia Covid-19, gli equilibri geopolitici, gli schemi competitivi e i meccanismi delle politiche economiche sono saltati. Ma grazie al digitale è stato possibile resistere.

Durante il lockdown, le aziende hanno trovato un aiuto indispensabile nella tecnologia: abbiamo visto, infatti, come alcuni settori, anche a causa di una dotazione tecnologica ancora arretrata, hanno sofferto di più il distanziamento sociale, a partire dai trasporti, dal turismo, dalla ristorazione.

Altri hanno sofferto decisamente meno, soprattutto quelli che già si erano dotati di tecnologie digitali o lo hanno fatto tempestivamente così da permettere il lavoro a distanza di milioni di addetti, la continuità delle attività nelle imprese, l’accesso all’informazione, la salvaguardia di servizi pubblici essenziali, dalla sanità sino alla scuola da remoto.

Fase 3: le prospettive del settore ICT

Agilità, flessibilità, collaborazione trasversale interna ed esterna, sono oggi ancora più importanti e stimolano iniziative volte ad abilitare dipendenti e collaboratori, adeguare i modelli di vendita alle diverse condizioni di mercato, semplificare l’accesso ai servizi pubblici.

Dovremo continuare a farlo, per aumentare la resilienza, per misurarci con la nuova normalità che il post-emergenza ci consegna ed essere capaci di affrontare il cambiamento degli scenari.

Ma anche se si allentano le resistenze che ancora ritardano il ricorso diffuso al digitale, non tutte le aziende e non tutte le famiglie possono e potranno disporre di risorse finanziarie adeguate.

Siamo preoccupati per gli investimenti. Il settore ICT è più resiliente alla crisi, ma lo scenario nel medio periodo diventa instabile.

Vorrei partire proprio da questa ultima considerazione: non solo il digitale ha permesso di resistere ma è la leva stessa per ripartire.

L’emergenza sanitaria ha stravolto tutto, con la prospettiva di un PIL 2020 in calo di un pesantissimo 8-9% se non a due cifre.

Le tecnologie digitali sono state cruciali nel sostenere i processi economici durante e post emergenza. Dal telelavoro, alla didattica a distanza all’e-commerce, il digitale ha dimostrato tutta la sua capacità di dare ossigeno all’economia, la sua anticiclicità e la sua vocazione a sostenere la ripartenza.

La previsione per fine anno è pertanto che il mercato dell’ICT limiterà il calo di performance al 3,1% per poi recuperare nel 2021.

Ma proiettando i trend al biennio 2021-2022, lo scenario diventa molto instabile. Anche se il settore ICT è stato più resiliente alla crisi nel breve, non nascondiamo la nostra grande preoccupazione sul rischio di un crollo della domanda di tecnologie, se gli investimenti non saranno sostenuti da risorse finanziarie adeguate.

Come confermano i dati dell’indagine UE sul livello di fiducia negli ecosistemi industriali, non è un caso che l’ambito del digitale mostri degli indici di fiducia, sia lato offerta che lato domanda, molto meno problematici di molti altri settori nel breve periodo, ma mostri aspettative più pessimistiche sulla domanda nel lungo periodo.

Incertezza e mancanza di liquidità creano un contesto che rischia di rallentare ulteriormente i processi di innovazione e digitalizzazione, già in ritardo, nella nostra economia, quando invece l’emergenza sollecita una progettualità-paese ancora più innovativa per recuperare efficienza e crescita.

La necessità di assicurare liquidità alle imprese è prioritaria in questi mesi, ed è essenziale che l’erogazione dei crediti recuperi in toto i ritardi, ma non basta.

Questo potenziale crollo negli investimenti in digitale non deve avvenire. Dall’esperienza delle crisi passate abbiamo imparato chiaramente che se si ferma la digitalizzazione non solo si ferma il nostro settore ma si ferma tutto lo sviluppo della nostra economia.

La crisi come di stimolo per una nuova fase di investimenti nel digitale

Le misure finora introdotte avranno un effetto benefico su tutto l’ecosistema innovativo:

  • Il Decreto Cura Italia ha inserito maggiori risorse per il 2020 del Fondo per l’innovazione Digitale e la Didattica, oltre a norme per rendere più accessibili i servizi digitali, favorire il lavoro agile e semplificare il procurement della PA.
  • Il Decreto Rilancio ha raddoppiato i fondi a disposizione per innovazione, ricerca e trasferimento tecnologico ampliando diversi fondi esistenti e istituendone di nuovi, oltre a confermare le agevolazioni per il venture capital.
  • Il Decreto attuativo del Piano Transizione 4.0 mobiliterà 7 miliardi di euro di risorse dal Bilancio 2020-2022 per innovazione, investimenti green, ricerca e sviluppo, design e innovazione estetica, formazione 4.0.

Il Piano Colao dà indicazioni importanti sulle priorità in tema di digitale a diversi livelli: connettività e digital divide, pubblica amministrazione, Impresa 4.0, formazione.

Il Governo sta elaborando il piano strategico “Progettiamo il Rilancio” attraverso il confronto con istituzioni e parti sociali.

E attraverso il suo Recovery Plan Next Generation Europe la Commissione UE renderà disponibili per il nostro Paese, se approvati in toto, 172 miliardi di euro di fondi straordinari (tra prestiti e contributi a fondo perduto) per progetti in cui la transizione digitale e green sono viste come condizioni essenziali. In particolare per il digitale le quattro linee guida o ambiti di investimento riguarderanno connettività/5G, tecnologie abilitanti (AI, Cybersicurezza, Supercomputing e Cloud), dati, cyber resilienza.

Quanto introdotto finora è senza dubbio un passo in avanti importante.

Ora occorre accelerare. La strategia di intervento deve andare oltre il contingente e dare le basi solide alla ripartenza, ottimizzando la leva degli investimenti nel digitale.

La ripartenza sarà solo un fuoco di paglia fondato sul debito se l’aiuto emergenziale non lascerà progressivamente spazio a una politica di ricostruzione fondata sull’investimento in eccellenze produttive e di servizio, capaci di creare valore attraverso la digitalizzazione. Perché se si ferma la digitalizzazione si ferma lo sviluppo della nostra economia.

Ci sono diverse criticità che ci preoccupano:

  • Vediamo il rischio che le iniziative di digitalizzazione della PA non si connettano con quelle delle imprese.
  • Vediamo che la formazione di capitale umano più qualificato per realizzare il digitale non va nella direzione dei bisogni delle imprese ICT.
  • E – anche se preannunciato – non abbiamo ancora visto un rifinanziamento importante del Piano Impresa o Transizione 4.0 che acceleri gli investimenti nelle tecnologie abilitanti del digitale in modo pervasivo.
  • E soprattutto non vediamo coordinamento tra le iniziative del MISE per l’industria, della Funzione Pubblica per la PA e del Ministero dell’Innovazione.

Queste considerazioni invocano nuove visioni e nuove politiche per il digitale da attuarsi con la massima concretezza.

È proprio questa necessità che vogliamo mettere all’evidenza di chi, in questi giorni, sta affinando il quadro dei provvedimenti per il rilancio.

Ora occorre un cambio di passo.

Mai come oggi è strategico e urgente dotarsi di una politica digitale all’altezza dei tempi, e attuarla.

Occorre una vera e propria politica industriale per il digitale

Una vera politica Industriale per il digitale per la ripartenza economica del Paese

Occorre mettere il digitale a fondamento della nuova normalità che ci ha consegnato l’emergenza sanitaria.

Solo riconoscendo il ruolo cruciale del digitale e dell’innovazione tecnologica per la ripartenza economica si potrà trarre pieno beneficio dalle misure introdotte al momento e in futuro per la ripartenza.

Non a caso dotarsi di una strategia per il digitale è tra le condizioni poste dalla UE per accedere ai fondi straordinari di Next Generation Europe.

Una politica industriale per il digitale deve avere un approccio a sistema, dove iniziative, obiettivi e risultati siano condivisi e coordinati tra tutti gli operatori, coinvolti in modo trasversale e univoco.

Una politica industriale per il digitale deve non solo mettere in campo risorse significative ma anche definire traguardi oggettivi sia lato domanda presso le imprese, le amministrazioni pubbliche, la scuola, la sanità, sia lato offerta attraverso lo sviluppo dell’industria digitale nazionale.

Anitec-Assinform, anche tenendo conto della recente evoluzione legislativa, ha individuato più ambiti di intervento per una politica industriale per il digitale, sia sul fronte della domanda digitale che dello stesso settore ICT.

Proponiamo almeno sette assi di intervento:

  • quattro indirizzati al sostegno della domanda, e cioè alla spinta al digitale di tutti i soggetti economici: imprese, amministrazioni pubbliche, scuola e sanità.
  • tre indirizzati allo sviluppo dell’offerta o industria digitale nazionale, attraverso misure di sostegno per R&S, Startup e Competenze ICT.

Partiamo dalle iniziative a sostegno della domanda.

Imprese e famiglie

Alle imprese di tutti i settori e alle famiglie occorre ridare fiducia per non rallentare i processi di adozione del digitale o per avviarli, rafforzando stabilmente i fondi d’incentivazione e prorogando crediti di imposta, ammortamenti e scadenze di rimborso.

Con il perdurare della crisi economica, diventa difficile per molte imprese sfruttare appieno gli incentivi in forma di credito d’imposta. La sola proroga del credito d’imposta al 2022 non sarà sufficiente a sostenere gli investimenti nelle nuove tecnologie del digitale da IA a Cloud e Big Data passando per la Cybersicurezza. La nostra aspettativa è per un rinnovo e potenziamento del piano Transizione o Impresa 4.0, attingendo alle risorse del Recovery Fund europeo lungo tre direttrici: oltra al credito d’imposta, anche fondo perduto e ricapitalizzazioni.

Ci sono ampi spazi di miglioramento attraverso il differimento dei rimborsi dei prestiti o l’istituzione di finanziamenti agevolati per gli investimenti tecnologici; il potenziamento della dotazione finanziaria della Nuova Sabatini e un ampio ricorso ai finanziamenti UE a fondo perduto nell’ambito del piano Next Generation EU.

Amministrazioni Pubbliche e Infrastrutture

Intensità e qualità della ripresa dipendono molto dalle infrastrutture e dalla digitalizzazione delle Amministrazioni Pubbliche.

Sulle infrastrutture non possiamo permetterci ulteriori ritardi. Occorre dare nuova spinta realizzativa, semplificando gli iter autorizzativi, lanciando i nuovi bandi per le aree grigie e attivando le incentivazioni d’utenza a famiglie, PMI e centri per l’impiego, tutte iniziative già cofinanziate da fondi UE.

Sulla digitalizzazione della PA un primo passo importante è stato fatto con il Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione della PA di 50 milioni di euro istituito con il decreto Rilancio. Ora occorre dare alla PA la possibilità di contare su nuove gare di minor complessità e durata, su una governance più coordinata e su progettualità utili a ricuperare i ritardi di interoperabilità tra Amministrazioni.

Scuola

La Scuola è il terzo asse per gli interventi a sostegno della domanda di digitale, e questo guardando soprattutto alla didattica a distanza e alle strategie di digitalizzazione della didattica. Lo scatto della didattica a distanza innescato dal lockdown ha generato investimenti ingenti ma ancora esigui se suddivisi per le oltre 58mila scuole italiane. Importante è continuare a dare risorse e priorità ad almeno due direttrici di intervento.

Per la didattica a distanza:

  • la dotazione di infrastrutture digitali e linee veloci a tutte le scuole;
  • l’innalzamento delle dotazioni di dispositivi e connettività alle famiglie al livello necessario per consentire la continuità didattica;
  • il supporto tecnico-formativo a famiglie e insegnanti in difficoltà per carenza di competenze digitali.

Per la digitalizzazione della didattica: occorre integrare le tecnologie digitali con la pratica didattica per abilitare una nuova modalità di apprendimento, più orientata alla condivisione, all’interazione e alla multimedialità e multicanalità.

Sanità

Veniamo alla Sanità.

L’emergenza ha in sé accelerato processi di digitalizzazione. Considerando ad esempio un parametro importante nel calcolo del DESI, la percentuale di medici di base che utilizzano ricette digitali in poche settimane è passata dal 32% di fine 2019 alla quasi totalità.

È auspicabile che questo sia l’inizio di una serie di avanzamenti che il nostro sistema sanitario deve compiere in tempi molto brevi, soprattutto se incidono sui processi legati a un’emergenza sanitaria che non è ancora finita, quali lo “scambio di dati clinici” tra ospedali e medici in via telematica e la diffusione e l’utilizzo in tutte le regioni del fascicolo sanitario elettronico.

In un’ottica più di lungo periodo, dopo anni di tagli di spesa, serve una ripartenza rapida e diffusa degli investimenti, a partire da quelli per la trasformazione digitale, nel quadro di una visione strategica condivisa e dell’interoperabilità dei sistemi sanitari. Per questo è necessario:

  • attuare un meccanismo di governance complessiva del sistema;
  • definire un FSE aperto e interoperabile, come fattore abilitante e destinato ad evolvere in “digital twin”;
  • adottare metodologie user-centric nel disegno e nella realizzazione dei servizi sanitari;
  • definire un piano nazionale cronicità che affronti anche le implicazioni dell’invecchiamento della popolazione e sviluppi modelli di continuità assistenziale;
  • accelerare la formazione di competenze di e-Health..

Questo per la domanda.

Passiamo ora al fronte dell’offerta ovvero dello stesso settore ICT.

Sviluppare e rafforzare l’industria digitale nazionale

In combinazione con le misure per lo sviluppo della domanda, occorre sviluppare e potenziare il sostegno al nostro settore ICT.

Le economie con cui ci confrontiamo sostengono da tempo la R&S in ambito high-tech e continuano a investire molto per sostenere il settore ICT anche durante la crisi post pandemia. Ad esempio la Germania, oltre ai 15 miliardi di euro in cinque anni per il Piano strategico high-tech 2025, ha annunciato finanziamenti per 2 miliardi alle Startup high-tech, e un fondo di lungo periodo di 10 miliardi per le Startup più grandi.

Invece in Italia abbiamo accumulato da anni un gap di politica industriale ormai insostenibile.

Sostegno a ricerca e innovazione

Cominciamo dal sostegno a ricerca e innovazione. Da circa un decennio la spesa R&S del settore ICT non è aumentata, restando attorno ai 2,2 miliardi di euro l’anno e per oltre l’80% autofinanziati dalle imprese.

Il quadro è migliorato con il Decreto Rilancio, che ha raddoppiato i fondi a sostegno di ricerca e innovazione e le detrazioni a sostegno delle Startup high-tech.

Sono misure apprezzabili che danno molta fiducia alle imprese. Ma ora serve la massima attenzione verso la fase attuativa per non creare incertezze e non vanificare gli sforzi fatti. Non solo.

Per restare competitivi a livello internazionale è evidente che servono maggiori risorse e un approccio strategico condiviso tra Industria ICT, MIUR e MISE per rimettere la ricerca e l’innovazione al centro di una politica industriale vera e propria per il settore ICT.

Sostegno finanziario per le Startup hi-tech

Il Decreto Rilancio ha previsto incentivi anche per le Startup per favorire la ricapitalizzazione, la liquidità garantita dal programma Smart&Start, finanziamenti per il trasferimento tecnologico.

Queste misure contribuiscono a proteggere le Startup dal rischio di default. Anche questo è un passo in avanti importante. Ne va monitorata l’attuazione e ne va data continuità – con particolare riferimento al Fondo Innovazione, Fondo centrale di garanzia e defiscalizzazione per chi vi investe.

Sviluppo di competenze ICT avanzate

La terza ma non meno importante area di intervento è la formazione di competenze ICT avanzate. Dal 2018 le richieste di lavoro per le professioni ICT hanno sfondato quota 100.000, più della metà nel settore ICT.

Per il triennio 2019-2021 è stata stimata una carenza di almeno 11,500 laureati, il 28% del fabbisogno complessivo. La spinta alla digitalizzazione richiede nuove competenze e profili altamente specialistici in ambiti di punta quali AI, Big Data, Blockchain, Cloud Computing, IoT, Robotica.

E’ urgente ridurre il gap di competenze che interessa migliaia di posizioni e che limita le potenzialità del settore, intervenendo sia per aumentare l’offerta di esperti ICT, aumentando il numero di laureati ICT e rafforzando l’aggiornamento professionale e l’apprendimento sul campo, che per rafforzare la qualità dei percorsi di studio con l’aggiornamento dei docenti, la valutazione delle performance degli atenei, la promozione di nuovi insegnamenti, anche trasversali o di filiera (es. Cloud, Cognitive Computing, IA).

L’altro aspetto di fondo è quello del rinnovamento dell’approccio formativo. Con la trasformazione digitale al sistema della formazione viene chiesto di passare da una logica di “fornitura di programmi educativi” a una logica di “formazione di nuove competenze e professioni”. Servono quindi anche più ore di formazione nelle aziende e più flessibilità nei percorsi di studio. Servono incentivi alle aziende per offrire percorsi di formazione sul campo, ad esempio forme di capitalizzazione dei costi per la formazione di studenti. Serve ridisegnare i percorsi di laurea ICT in moduli specifici o verticali riconosciuti dal mercato con Il rilascio di “certificati” o “credenziali” su competenze avanzate e creare marketplace che avvicinino domanda e offerta di progetti di apprendistato.

Conclusioni

Abbiamo visto che il mercato dell’ICT nel 2020 limiterà il calo al 3,1% e l’attesa è che possa recuperare nel 2021 grazie alla sua capacità di dare ossigeno all’economia nelle fasi più difficili, la sua anticiclicità e la sua vocazione a sostenere una ripartenza che sarà lunga.

Perché senza il digitale non sarà possibile realizzare “la nuova normalità” che ci ha consegnato questo periodo di convivenza con il Covid-19. Il distanziamento sociale ha portato il digitale nella vita di tutti, volenti o nolenti, se si vuole lavorare, studiare, fare la spesa, vedere gli amici, vivere momenti essenziali della propria quotidianità. Il digitale non è più una scelta, il digitale è una necessità.

La crisi deve essere di stimolo a una nuova fase di investimenti nel digitale che permetta di accelerare i tempi del recupero e di colmare il gap con le economie più dinamiche.

Perché i processi di digitalizzazione in atto nel Paese prima della pandemia riprenderanno e accelereranno tanto quanto le aziende ICT avranno il supporto finanziario per realizzare progetti innovativi e tanto quanto imprese e Amministrazioni li richiederanno.

Per affrontare e gestire questa nuova normalità e preparare il nostro paese per la ripartenza occorre un salto di qualità.

Il digitale non può essere l’accessorio che “abbellisce” le visioni di sempre. Il digitale serve alla ripresa del Paese. Non basta rilanciare il turismo o i comparti industriali di base, dall’automotive alla moda al food. Bisogna rilanciare il settore ICT, perché è quello che sostiene la produttività e la competitività di tutti gli altri settori.

Il nostro Paese non è ancora pronto, né con le infrastrutture né con una maggiore consapevolezza politica sulla necessità di mettere il digitale al centro di una strategia di rilancio dell’economia che vada oltre il contingente, colga l’urgenza di ammodernare il Paese, renda sostenibile il nuovo debito, dia basi solide alla ripartenza, aiuti ad accedere ai fondi europei.

Mai come oggi servono concretezza e una politica per il digitale, anche in vista del sostegno dell’Europa, condizionato appunto alla centralità del digitale nei progetti da finanziare.

Farlo vuol dire intervenire non solo sul fronte della domanda, ma anche su quello dell’offerta attraverso lo sviluppo dell’industria digitale nazionale. Farlo vuol dire recuperare la fiducia a investire delle imprese di tutti i settori e dello stesso comparto ICT; dare impulso alla digitalizzazione della PA, delle scuole e della Sanità, accelerare lo sviluppo delle infrastrutture a banda ultralarga e del 5G, sostenere la ricerca high-tech le startup innovative e ammodernare la formazione di competenze ICT, anche per colmare il gap di competenze digitali.

Una politica industriale che abbia un approccio concreto, coordinato e condiviso e metta in campo risorse significative nel segno della continuità.

Mai come oggi appare strategico e urgente dotarsi di una politica digitale all’altezza dei tempi, e attuarla.

Non possiamo perdere tempo. Dobbiamo farci trovare preparati.

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