Chiusa la partita politica dell’elezione del Presidente della Repubblica, si ritorna a parlare del nuovo governo. Quindi, anche se grazie al lavoro svolto dai saggi nominati dal presidente Napolitano, parte del lavoro è stato già fatto, si torna a parlare di programmi. E, parlando di programmi, si ritornerà a chiedersi cosa fare per l’agenda digitale, per colmare le differenze che ci separano dal resto d’Europa e per modernizzare il Paese. Sono tutte domande giuste ma ormai poco originali. Le abbiamo già sentite decine di volte, cominciano ad essere un po’ consumate e a suonare come tante rivendicazioni vetero-sindacali, fatte da un gruppo d’interesse trasversale, senza sigle ma anche senza rappresentanza, ripetute come un mantra per sembrare più vere ma sostanzialmente vuote di contenuto.
È davvero questa la situazione?
Se la si valuta accostando i dati drammatici dell’economia e dell’occupazione, i fermenti sociali o i problemi delle mancate riforme, la conclusione per la maggioranza dei nostri concittadini è scontata: in un paese come l’Italia, il problema della digitalizzazione non può essere che secondario.
Difficile sostenere il contrario e pensare di ottenere un’accoglienza benevola, dai partiti come dai sindacati, da Confindustria come dalle altre forze sociali. Ma questa, a mio avviso, dopo tutto il tempo che è passato e i ritardi accumulati, è l’agenda digitale sbagliata, quella frutto di impegni che sono stati presi e devono essere rispettati, ma fatta di obiettivi numerici fissati in astratto e uguali per tutti, lontana dai problemi specifici dei singoli paesi e incapace ad oggi di portare risultati veri nella sfida per la digitalizzazione, che è globale ed ha come obiettivo il dominio del mondo digitale.
L’elenco dei problemi italiani, al contrario, è molto lungo e specifico, ma da troppo tempo è sempre lo stesso. Il contesto internazionale, la congiuntura o le emergenze che si succedono ne cambiano gli accenti e le priorità, ma la sostanza rimane purtroppo sempre la stessa: migliorare la competitività delle nostre imprese, creare lavoro, aiutare le famiglie, migliorare le esportazioni, dare credito alle PMI, migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione nel suo sistema tributario, migliorare la legislazione e la certezza del diritto, l’istruzione e il capitale umano, la concorrenza e la tutela dei consumatori, favorire la ricerca e l’innovazione, preservare l’ambiente e rimuovere gli squilibri territoriali (l’elenco è liberamente tratto dalla Relazione del Gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europea istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica).
Eppure, nelle soluzioni che si discutono di tutti questi problemi l’ICT non compare mai se non marginalmente anche se è un pezzo della soluzione perché migliora la competitività delle aziende che l’utilizzano, crea occupazione (soprattutto giovanile), riduce la burocrazia, migliora la trasparenza e l’efficienza degli interventi statali, aiuta l’export, migliora l’efficienza e l’efficacia della giustizia e del sistema tributario ma anche la certezza del diritto, la concorrenza e il capitale umano, aiuta a preservare l’ambiente e può essere uno strumento per ridurre gli squilibri territoriali.
È così semplice la questione? Basta un po’ di informatica condita con Internet? No. L’ICT è solo un pezzo della soluzione – lo strumento, appunto – ma molto spesso è il mezzo più efficiente ed efficace per intervenire su tutti questi problemi. Rende possibili – e a basso costo – un numero straordinariamente ampio di nuove soluzioni, soprattutto se si prova a ridisegnare il sistema nella sua interezza e non si pensa di efficientare soltanto qualche pezzo di quel che prima veniva fatto senza ICT. Il vero tema dell’agenda digitale in Italia è come usare la digitalizzazione è in modo adeguato per avere soluzioni che risolvano davvero i problemi.
Ad esempio, non basta mettere una lavagna elettronica e dei tablet in una classe per modernizzare la scuola. La scuola si modernizza se si migliora ciò che vi viene insegnato, che non cambia se non cambia anche il modo di insegnare. Ma oggi lo strumento più potente per implementare una nuova didattica è proprio l’ICT, se si realizza il suo presupposto: creare una nuova didattica che sfrutti le possibilità dell’ICT. Non cambia la natura strumentale dell’ICT, cambia la portata dell’intervento necessario per ottenere l’effetto desiderato e se si implementa il curriculum mapping con un archivio centralizzato in cui diverse scuole condividono le soluzioni didattiche per gli stessi programmi, anche cambiare la didattica diventa relativamente più semplice, rapido ed economico.
Allo stesso modo, per eliminare le false fatturazioni e i ritardi dei pagamenti basterebbe centralizzare presso l’amministrazione tributaria l’emissione delle fatture di tutti i soggetti IVA e collegare il relativo database al sistema dei pagamenti bancari. Sparirebbero in un colpo le fatture false come anche le fatture scontate due volte in banca ma i ritardi dei pagamenti avrebbero una sanzione certa, indipendente dalla volontà delle parti, ed evidente a tutti.
La digitalizzazione è oggi lo strumento più duttile ed efficiente che abbiamo a disposizione per fare politica industriale. È anche il migliore strumento per implementare quei cambiamenti di cui nei più diversi campi abbiamo bisogno. In questa prospettiva, in Italia, la vera agenda digitale, dovrebbe essere come utilizzarla al meglio perché è proprio nell’implementazione delle riforme che siamo carenti, e basta vedere alla numerosità dei passaggi necessari per lo sblocco dei pagamenti arretrati della PA per capire quanto ce ne sia bisogno.
La vera sfida però diventa un’altra. Se si possono davvero cambiare le cose, si avrà la volontà di farlo?
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Francesco Sacco apre una serie di articoli che pubblicheremo sotto il tema (tag) Agenda digitale dimenticata (affermazione e punto di domanda). Per spronare la politica a non considerare secondario un settore che potrebbe essere invece un bandolo della matassa. Rivolgiamo anche ai lettori l’invito a mandare proprie analisi, al solito indirizzo.