La disponibilità di frequenze libere nelle cosiddette “bande pioniere” designate dal Radio Spectrum Policy Group europeo è una condizione indispensabile per la rapida diffusione delle tecnologie di quinta generazione (5G). La Banda 700MHz (attualmente usata dalle TV), la banda 3.4-3.8 GHZ e la banda millimetrica 24.5-27.5 GHz sono le bande sulle quali si concentreranno gli sforzi dei produttori di apparati, degli operatori e dei governi europei a partire dal 2020 quando inizierà il dispiegamento commerciale delle reti 5G.
Si tratta di bande occupate in modo non uniforme in Europa e per le quali le diverse Amministrazioni hanno già avviato politiche di refarming e progressiva assegnazione al mercato. Per il nostro Paese si tratta, come spesso ci capita, di trasformare un difficile problema in una grande opportunità (come ho spiegato al recente Stati Generali delle Telecomunicazioni di Corcom).
La liberazione della banda 700 MHz e la conseguente razionalizzazione della banda UHF televisiva è infatti una necessità nazionale a prescindere dall’avvento del 5G. Il salto tecnologico verso la nuova generazione di reti di comunicazione ci fornisce però lo stimolo e le risorse per realizzare una trasformazione e un riallineamento alle buone regole di gestione dello spettro attese da decenni. L’Italia ha infatti un numero di multiplex digitali in quella banda superiore alla somma di tutti i multiplex TV digitali terrestri degli altri paesi europei messi assieme: 20 multiplex nazionali, più di 18 multiplex locali per regione e decine di migliaia di impianti-frequenza in funzione, l’85% dei quali mai stato registrato al Master Register ITU di Ginevra.
Per liberare la banda 700MHz l’Italia ha dunque la necessità e l’opportunità di riorganizzare l’intero spettro televisivo. Per realizzare questo risultato è stato necessario, per la prima volta negli ultimi 25 anni, coordinare il nostro uso delle frequenze TV con quello dei Paesi confinanti, immaginare una transizione da 40 a 15 multiplex per regione e convincere i nostri “broadcaster”, nazionali e locali, che non è il possesso della frequenza a garantire la qualità del servizio ma il controllo della capacità trasmissiva. Un compito molto difficile, per il quale l’Italia ha chiesto e ottenuto due anni in più rispetto alla comune scadenza europea del 2020. Un obiettivo che però, grazie al contributo e al supporto di tutta la “industry” televisiva è ora a portata di mano. L’Italia completerà il Coordinamento Internazionale entro la fine del 2017 e questo metterà in condizione il nostro Paese di pianificare i multiplex del futuro su frequenze coordinate, di registrarli nel Master Register ITU di Ginevra e di presentare entro il giugno del 2018, come dettato dalle decisioni europee, la nostra roadmap per la liberazione delle banda 700MHz. E non basta.
All’Europa che ci chiedeva di sperimentare tecnologia e applicazioni del 5G in una città italiana entro il 2020 abbiamo risposto con la sperimentazione in 5 città pilota, mettendo l’Italia al centro dell’attenzione del mondo delle tecnologie delle comunicazioni. Infine, anche per dare continuità alle sperimentazioni, nella Legge di Bilancio 2018 e in anticipo rispetto ai principali Paesi Europei, l’Italia ha deciso di mettere a disposizione del mercato non solo le frequenze 700MHz ma anche 200 MHz di spettro della banda 3.6-3.8 e 1GHz di spettro nella banda 26.5-27.5 GHz. Il primo grande paese europeo a mettere a gara le frequenze millimetriche, la vera novità spettrale del 5G.
Nei limiti consentiti da una Legge di Bilancio l’intervento del Governo ha anche introdotto un concetto caratteristico del 5G per facilitare il ridisegno e razionalizzare le regole di un settore complesso e storicamente difficile come quello radio-televisivo. Il concetto è quello del “controllo del servizio senza proprietà delle reti fisiche” che la Legge utilizza per trasformare i diritti d’uso sulle frequenze, che imponevano all’assegnatario la necessità di realizzare la rete fisica di trasmissione, in diritti d’uso della capacità trasmissiva. Invece di vedersi assegnare il diritto a costruire la rete della quale le frequenze sono una porzione rilevante anche se immateriale, il fornitore di servizi audiovisivi si vedrà assegnare il diritto di disporre di una porzione della capacità di trasmettere. Una porzione sulla quale avrà il pieno controllo anche senza possedere la rete fisica che la produce.
Si tratta di un approccio che l’ecosistema 5G generalizza all’intera rete. Tutti i fornitori di servizi su reti 5G (non solo i “broadcaster”) dovranno infatti essere in grado di controllare e gestire le caratteristiche tecniche della rete sulla base delle proprie esigenze di qualità del servizio ma senza essere necessariamente proprietari di tutti gli “elementi di rete” (trasmettitori, router, data-base, collegamenti fissi e mobili, base-station etc.) che comporranno la loro “rete virtuale”. I singoli elementi potranno essere di proprietà di uno o più operatori di rete verticalmente integrati, di “wholesaler” di un particolare servizio (“broadcasting” terrestre, satellite, fibra, connettività mobile e fissa, CDN, Cloud Computing etc.), di fornitori di servizi verticali (reti ferroviarie, automobili connesse, smart-grid) ma la “rete 5G”, il suo HW e il suo SW, dovranno consentire ad uno specifico fornitore di servizi il controllo degli elementi di rete che compongono la sua rete virtuale. Un controllo che consentirà, e questa sarà la misura della sua efficacia, una differenziazione della qualità del servizio fornito.
Si tratta di uno scenario affascinante ma non completamente rivoluzionario. Gli MVNO e alcuni “broadcaster” televisivi utilizzano, già ora, la rete senza esserne i proprietari. Gli OLO utilizzano porzioni della rete fissa dell’incumbent e, in casi come quello dell’”unbundling del local loop”, possono gestirla in modo sufficientemente autonomo. E’ stata proprio la spinta verso un sempre maggior “controllo senza proprietà della rete” che ha animato il dibattito regolatorio degli ultimi anni. E’ proprio la richiesta di un totale controllo sulla qualità del servizio che ha finora reso preferibile l’unbundling del doppino in rame rispetto al “bitstream”. Il concetto stesso di “scorporo della rete” nasce per rendere più concreto e reale il controllo del fornitore di servizi sulla rete che lo trasporta.
Dunque il concetto di “controllo senza proprietà” è certamente innovativo, troverà nelle reti 5G la sua completa realizzazione, ma non è, a mio avviso, la caratteristica peculiare della rivoluzione 5G.
Credo invece che il concetto davvero rivoluzionario della “quinta generazione” sia il capovolgimento di un punto di vista che ci ha accompagnato in tutta la nostra storia. Il punto di vista secondo il quale: la rete determina il servizio (e la sua qualità). Sono stati la voce e l’udito a rendere possibile la comunicazione orale, è stata la stampa a creare la lettura, è stato il collegamento wireless a creare prima la radio e poi la televisione, è stata la nascita di Internet a creare i servizi degli OTT. La qualità di ciascuno di questi servizi è stata determinata dalle caratteristiche tecniche, dalla estensione geografica e dall’efficienza di funzionamento della rete che lo rendeva possibile.
La rivoluzione 5G capovolge questo punto di vista. Nella quinta generazione è il servizio (e la sua qualità) che determina la struttura della rete. Questo è il concetto di “slicing”. Non una “fetta” della rete dell’incumbent e tantomeno una “fetta” di spettro da gestire confusamente insieme, ma la rete virtuale dedicata ad uno specifico servizio ottenuta dall’assemblaggio di “elementi di rete” diversi, funzionali alla qualità del servizio che si intende garantire.
Per garantire gli strumenti per la guida assistita delle automobili si avrà bisogno di una rete mobile a copertura capillare del territorio e con una grandissima potenza di calcolo e gestione dati distribuita in prossimità dei veicoli (edge server) per assicurare rapidi tempi di risposta da parte degli algoritmi di controllo. Al contrario, la rete di “broadcasting video” dovrà essere in grado di garantire altissima capacità in “downlink”, integrazione con potenti Content Distribution Networkse riconfigurabilità “broadcast-unicast” su base geografica. Infine la rete di comunicazione delle smart grid elettriche dovrà avere latenze basse, ampia copertura, capacità limitata ma alta penetrazione wireless in ambienti schermati. Come si vede, tre reti virtuali (e fisiche) molto diverse tra loro, con strutture determinate dalle esigenze di qualità del servizio delle rispettive applicazioni.
La rete 5G sarà l’unione di tutte le possibili sotto-reti (o “slice”) proposte dal mercato: di quelle che abbiamo finora chiamato “verticals” e di quelle che ancora non abbiamo immaginato. Ognuna di queste “slice” sarà una rete virtuale, ottenuta assemblando “elementi di rete” diversi (frequenze, stazioni radio-base, CDN, collegamenti in fibra, IOT) e controllata da chi gestisce il servizio per garantirne la qualità pianificata.
Dunque, non una rete esistente che si “divide” tra fornitori di servizi diversi ma tante infrastrutture fisiche di rete, ora indipendenti, che si compongono grazie a sofisticati algoritmi di ottimizzazione a formare “slice” di una rete di reti complessa, gestita da piattaforme software in grado di progettarne la struttura logica (”Vertical Slicer”) e garantirne funzionamento e riconfigurabilità (“Service Orchestrator”).
La tecnologia è già al lavoro per rendere tutto questo possibile. Nel 2018 avremo le specifiche finali del 5G (“standalone”) e nel 2020 il mercato avrà accesso ai primi apparati di rete 5G con pieno sviluppo, anche secondo la recente roadmap europea, nel 2025. Anche il progetto e la descrizione funzionale delle piattaforme software di “slicing” e “orchestrazione” è in pieno sviluppo. Nei laboratori di ricerca dei maggiori produttori di apparati ma anche in progetti di ricerca del programma quadro europeo come il “5G-Transformer”. Si tratta di un salto quantico rispetto alla struttura delle reti attualmente in servizio. Gli algoritmi di “slicing” e “orchestrazione” saranno estremamente più complessi degli attuali algoritmi di routing. Si tratta di un salto dal “Network Management” al “Network Design Dinamico”.
Gli algoritmi saranno il cuore di questo salto evolutivo e implicheranno, come accaduto per Internet, un radicale cambio della struttura dell’”ecosistema” e della catena del valore.
Tutto questo rende indispensabile un cambio di passo nel dibattito pubblico e nelle politiche di regolazione; concetti come la “neutralità della rete”, “diritto di accesso”, “integrazione verticale e scorporo della rete” dovranno essere inevitabilmente ripensati.
Partiamo dalla neutralità della rete. Se la rete sarà composta da “slice” diverse e dinamicamente riconfigurabili per garantire tipologie di servizio diverse, sarà molto difficile (eufemismo) trattare tutti i dati che vi circolano nello stesso modo. I dati dell’e-Health o dei veicoli assistiti dovranno inevitabilmente avere corsie preferenziali per garantirne la bassa latenza ma in compenso occuperanno poco spazio; mentre i pacchetti di un film 4K potranno essere trasferiti con minor latenza ma dovranno avere tempi di arrivo all’occhio del cliente molto vicini tra loro. Le reti 5G, come detto, favoriscono questa flessibilità definendo una rete logica diversa per ogni servizio. La normativa europea definita dal Berec già prevede eccezioni alla neutralità della rete nel caso di servizi specializzati. Ma nel 5G il servizio specializzato sarà la regola e dunque sarà difficile garantire una neutralità a livello di trasporto. Piuttosto, dovrà essere “neutrale” il meccanismo di “slicing” che condiziona il diritto di accesso alla rete da parte di tutti i possibili utilizzatori. Non soltanto “cittadini” e “innovatori” ma ogni possibile settore dell’economia.
La questione fondamentale a quel punto sarà: quante “slice” diverse possono essere realizzate con gli “elementi di rete” disponibili? E dunque: esiste un limite fisico al numero e alla molteplicità delle “slice” realizzabili? Lo spettro radio, ad esempio, è indispensabile per realizzare “slice” diverse e non-interferenti ma è certamente una risorsa finita. Sarà sufficiente? Sarà allocato alle diverse “slice” in maniera equa e (soprattutto) trasparente? E allo stesso modo, i server di una CDN o i collegamenti in ponte radio saranno allocati in modo tale massimizzare il numero di “slice” diverse della rete?
Il fornitore di un servizio innovativo di rete potrebbe avere una risposta negativa ad una richiesta di realizzare una nuova “slice” da parte della piattaforma software (“Vertical Slicer”) che verifica la possibilità di costruire una nuova rete virtuale. Una risposta negativa molto più difficile da valutare da parte dei regolatori rispetto alla impossibilità di accedere ad Internet da parte di un singolo cittadino o ad un KO di accesso ad un OLO da parte dell’incumbent. Si tratterebbe infatti di una risposta “opaca”, come tutte le risposte degli algoritmi e per la quale le Autorità di Regolazione potrebbero avere enormi difficoltà a definire regole di “accountability”.
In questo quadro così difficile da regolare, la questione dell’integrazione verticale diviene estremamente critica. Nell’attuale configurazione di mercato l’”incumbent” fornisce agli utenti finali gli stessi servizi di connettività offerti dagli OLO e dagli MVNO e dunque è ragionevole immaginare uno schema nel quale la divisione “wholesale” dell’incumbent vende gli stessi prodotti agli OLO/MVNO e alla sua divisione “retail”. Da questo schema deriva anche una naturale linea di separazione e lo scorporo della rete può essere interpretato come separazione tra la rete e la divisione “wholesale” e la divisione “retail” dell’incumbent.
Nelle reti 5G non esiste più questa netta linea di demarcazione. Le reti virtuali (le “slice”) sono determinate, come abbiamo detto, dal tipo di servizio all’utente finale e composte dall’aggregazione di più reti fisiche, di proprietà di operatori diversi. In questo schema non esiste più un vero e proprio incumbent o, meglio, ogni possibile sotto rete fisica potrebbe trovarsi in una posizione dominante e nella necessità di essere regolata. A questo va aggiunto che il ruolo di “Vertical Slicer” e di “Service Orchestrator” è a disposizione di chi avrà gli strumenti migliori e più performanti per aggregare e gestire le reti virtuali. Certamente i “carrier” attuali ma anche nuovi attori che, come gli Over The Top per Internet, potrebbero essere i più rapidi nel presentarsi al mercato come i gestori degli algoritmi di aggregazione più economici ed efficienti. In ogni caso, credo che dovrebbe essere attentamente analizzata sotto il profilo antitrust l’attività di un operatore che svolga il ruolo di definire le reti virtuali ed ottimizzare la loro cooperazione e, contemporaneamente, sia fornitore di servizi su una o più “slice” della rete. I problemi di parità di accesso, in uno schema di questo tipo, saranno molto difficili da regolare e monitorare. A meno di non affidarsi ad un (inesistente) ruolo naturalmente neutrale degli algoritmi di “slicing” e“orchestrazione”.
Dunque, per risolvere i problemi di neutralità della rete e parità di accesso sarà inevitabile affinare i meccanismi di controllo “ex-post” e regolare “ex-ante” il mercato affinché la gestione della rete 5G sia sempre più affidata ad operatori specializzati nel solo trasporto e ad operatori con l’unica “mission” di ottimizzare lo “slicing” e la gestione del funzionamento complessivo della rete di reti (Communication Service Provider). Il termine “wholesale only” descrive in parte questo nuovo soggetto anche se forse è riduttivo rispetto alla complessa struttura dell’ecosistema 5G.