Agenda dimenticata?

Scorza: “Tanti decreti attuativi spariti dal radar”

Continua a essere impossibile individuare un progetto e una roadmap in grado davvero di dare al Paese non solo quel futuro, in digitale, di cui ha un disperato bisogno. Scadute le promesse dei decreti

Pubblicato il 30 Apr 2013

Guido Scorza

Autorità Garante Privacy

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Per essere un’Agenda, quella digitale italiana ha, decisamente, troppe date in bianco e troppi fogli che continuano a restare pieni zeppi di appuntamenti anziché essere strappati o cancellati.

E’ nata male – o almeno in ritardo rispetto al resto d’Europa – sin dall’inizio ed è trattata da autentica “cenerentola analogica” dal Governo dei Professore che, dopo aver annunciato, sin dal suo insediamento, che avrebbe dato al Paese l’Agenda digitale che meritava è riuscito, in extremis, poco prima delle sue dimissioni e della trasformazione da “tecnico” in “politico”, solo ad abbozzare – non senza tanta fatica ed esitazione – un taccuino digitale con poche vecchie promesse, tanta confusione e una lunga, lunghissima serie di rinvii ad un elenco pressoché interminabile di atti, provvedimenti e decreti attraverso i quali, nei mesi, all’epoca successivi – che sono, purtroppo, ormai, quelli appena passati – si sarebbe dovuta iniziare a delineare la vera Agenda digitale del Paese.

Oggi, ad oltre anno, da quel 1° marzo del 2012 nel quale l’Agenda Digitale Italiana ha avuto, formalmente, i natali, continua ad essere difficile, per non dire impossibile, individuare un progetto, un programma, una roadmap in grado davvero di dare al Paese non solo quel futuro, in digitale, di cui ha un disperato bisogno ma, soprattutto di rimediare al gravissimo inadempimento rispetto agli obblighi derivanti dalla nostra appartenenza all’Unione Europea.

Quella del grave ed imperdonabile ritardo sin qui accumulato nell’attuazione dell’Agenda digitale europea non è, sfortunatamente, solo una sensazione o una percezione distorta quasi che, anche se nel silenzio, negli ultimi mesi, si sia continuato a scrivere il nostro taccuino digitale.

Si tratta di una certezza incontestabile che si tocca con mano se solo ci si arma di tanta pazienza e si passano in rassegna le decine di disposizioni contenute nella legge di conversione del famigerato decreto legge Digitalia – poi divenuto, per mancanza di materia digitale – Crescita 2.0, varata nell’ormai lontano dicembre dello scorso anno che prevedevano che alla loro attuazione si sarebbe dovuto procedere attraverso atti e decreti da emanarsi entro termini che, benché lunghi, sono tutti – o quasi – inesorabilmente scaduti senza che nulla sia accaduto.

E’ il caso, ad esempio – ed è, forse, da solo sufficiente a tare il polso della situazione – della relazione che il Governo – a norma di quanto disposto dall’art. 1 del Decreto Crescita 2.0 – entro la fine di febbraio, avrebbe dovuto presentare alle commissioni Parlamentari competenti circa lo stato di avanzamento del processo di attuazione dell’agenda digitale italiana, completo di una “dettagliata illustrazione dell’impiego di ogni finanziamento, con distinta indicazione degli interventi per i quali le risorse sono state utilizzate”.

Inutile dire che nulla di tutto ciò è stato fatto che, probabilmente, se una relazione fosse stata presentata, si sarebbe trattato di poco più di un piccolo post-it bianco con qualche scarabocchio, a matita, appena accennato.

Analoga sorte è, naturalmente, toccata al Decreto attraverso il quale, secondo quanto disposto dall’art. 2, avrebbe dovuto essere varato il Decreto con il quale si sarebbe dovuto procedere a determinare, tra l’altro, i termini e le modalità di funzionamento dell’anagrafe nazionale della popolazione residente.

Impossibile dar conto, uno per uno, dell’interminabile elenco di scadenze scadute, contenute nella legge di conversione del decreto Crescita 2.0.

L’Agenzia per l’Italia Digitale, non ancora neppure nel pieno delle sue funzioni, ad esempio non è, naturalmente, ancora riuscita a varare le regole tecniche per l’identificazione delle basi di dati critiche che pure avrebbero dovuto essere varate già dal mese di marzo.

Stesso destino per il decreto in materia di domicilio informatico, per quello sull’innovazione nel sistema dei trasporti e, soprattutto, per “l’ Agenda nazionale che i definisce contenuti e gli obiettivi delle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico” e per il “rapporto annuale sullo stato del processo di valorizzazione in Italia” che avrebbero dovuto essere approvati ormai da mesi a norma di quanto previsto all’art. 9.

Inutile dire che nulla si è, sin qui, visto neppure in relazione agli altri decreti e provvedimenti che secondo quanto stabilito dagli articoli 10, 12, 14, 14 bis, 15, 16, 19 e 20 – solo per citare quelli più rilevanti ai fini dell’attuazione dell’agenda digitale italiana – della stessa legge di conversione del Decreto Crescita 2.0 avrebbero dovuto essere varati.

Sembra che a Palazzo Chigi, dopo averla a lungo esitato a scriverla ed averne buttata giù – in fretta e furia – una piccola piccola e piuttosto modesta, ora, ci si sia completamente dimenticati dell’Agenda digitale italiana.

Peccato solo che l’Agenda digitale europea non attenda e che, quindi, ad ogni giorno che passa, il “digital divide” – nel senso più pieno del termine – tra il nostro Paese ed il resto dell’Europa avanza.

Siamo, sempre di più, una zattera analogica alla deriva in un mare digitale e pare proprio che in cabina di regia abbiano definitivamente perso oltre che bussola anche l’agenda.

C’è solo da augurarsi che ora che l’Italia ha, di nuovo, un Presidente della Repubblica – anche se, per la verità, non un “nuovo” Presidente della Repubblica – ci si possa affrettare a darle anche un Governo – almeno questo davvero nuovo – che, magari, oltre a saper far di conto in materia di finanza e bilanci sia anche capace di guardare al futuro ed al digitale.

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