Riusciranno le pastoie burocratiche e i cavilli normativi a limitare o addirittura incagliare gli effetti di una riforma a lungo attesa come quella delineata dal Piano Nazionale Scuola Digitale? Il rischio è reale. Proverò, oggi, ad interpretare il ruolo del gufo, augurandomi di non esserlo in futuro, e soprattutto di non essere mai ingabbiato in alcuna voliera. Si tratta però di mettere in guardia i decisori tecnici e politici da una serie di insidie burocratiche e di inerzie della complessa macchina della Scuola italiana, che rischiano di minare gravemente il potenziale innovativo del Piano Nazionale Scuola Digitale e il miliardo di euro stanziato per “aumentare digitalmente la scuola “italiana”. Vediamo perché.
a. Animatori digitali
Il 19 ottobre 2015 è stata emanata la circolare per l’istituzione degli Animatori digitali nella scuola (Ferri, P., Arriva nella scuola l’animatore digitale). Circolare che ha definito i compiti e funzioni di questa nuova figura, ognuno di loro avrà un dotazione di 1000 euro, per avviare le sue attività. Gli Animatori sono stati nominati dai Dirigenti scolastici di tutta Italia e ora, come vedremo, debbono essere formati. Questa è una buona notizia, anche se questa nuova figura avrebbe dovuto essere maggiormente riconosciuta anche dal punto di vista economico e di carriera. Il fatto è, però, in molte scuole gli Animatori digitali non sono stati nominati dal dirigente con procedure trasparenti e “meritocratiche” ma -per ignoranza o incuria – la nomina è stata considerata, molto spesso, nel migliore dei casi come un’ennesima incombenza amministrativa cui adempiere o nel peggiore come la possibilità di favorire qualche “amico/a”. Ad esempio, e riporto un caso di cui sono venuto a conoscenza direttamente, in un blasonato Liceo di Milano, questa nomina è avvenuta in modo esclusivamente burocratico, e senza tener minimamente conto del fatto che nella scuola esisteva da anni un gruppo insegnanti “funzioni strumentali sulle tecnologie didattiche” (Sic!, cioè di insegnanti esperti). Questo svolgeva da anni l’oneroso ruolo di traghettare al digitale un “vecchio” e “onoratissimo” Liceo, i cui insegnanti, come moltissimi loro colleghi in Italia, però, non ne vogliono sapere di “aumentare digitalmente” la didattica. Allo stesso modo durante i molti seminari e incontri che conduco nelle scuole italiane, ho ascoltato lamentele dello stesso lungo tutto lo Stivale.
Ora questo “segnale debole” dal territorio mette in evidenza un problema molto più ampio e che rischia di essere un pesante fardello sulle spalle delle azioni attuative del Piano Nazionale Scuola Digitale. Quali sono stati i criteri per la nomina degli animatori digitali? Come si raccorderà questa funzione con le “funzioni strumentali” che da anni nelle scuole si occupano di tecnologia, spesso lottando contro il disinteresse annoiato dei colleghi e dei dirigenti? E, ancora, chi controllerà la qualità delle nomine dei dirigenti e chi controllerà la qualità delle azioni, e dei progetti formativi e non promossi degli Animatori digitali? E’ necessario che il MIUR preveda regole precise magari da attuare attraverso visite di “ispettori” nelle scuole, per garantire la qualità e la conformità al Piano Nazionale Scuola Digitale delle azioni di Dirigenti e Animatori. Questo problema è tanto più preoccupante perché si correla con quello della “formazione” sia degli Animatori sia, quella successiva e promossa dagli stessi animatori di tutto il corpo docente un elemento centrale del PNSD. Vediamo come.
b. Poli formativi territoriali o “snodi formativi territoriali”: il diavolo è nei dettagli
Per l’attuazione delle formazione al digitale degli insegnanti il PNSD, all’#azione 25, prevede, la costituzione o il potenziamento di “snodi formativi territoriali” e vengono stanziati dieci milioni di euro per renderli più efficienti. Il fatto è, lo afferma la stesso PNSD, che gli snodi “dovranno assicurare la copertura territoriale, la continuità negli anni della progettualità formativa e la partecipazione a monitoraggi qualitativi per superare le inefficienze del passato. Saranno soggetti a valutazione e revisione periodica sulla base dei risultati formativi raggiunti, oltre che sul numero di percorsi effettivamente attivati”. Ora è qui che il diavolo ci mette la coda, in questo dettaglio: “snodi” o “poli” formativi. Il fatto è che esistono già dei Poli formativi territoriali che sono stati costituiti, ai tempi dei governi Gelmini, Monti e Letta, e che “si avvalgono di docenti competenti in materia individuati sulla base di elenchi provinciali (selezione del 2013) o regionali (selezione del 2014) a seguito della presentazione di candidature volontarie da parte di docenti interessati”. Ora il fatto è che i vecchi “Poli formativi”, salvo ovvie e meritevoli eccezioni, hanno dato larga prova di inefficienza e dispersione di risorse e sono stati gestiti da Uffici scolastici regione e Territoriali in maniera burocratico/amministrativa e non “meritocratica, quando non con criteri “clientelari”. Molto spesso, ad esempio, sono stati infatti coinvolti nella formazione alla “didattica aumentata dalle tecnologie” Istituti scolastici (i Poli debbono essere collocati presso Scuole), che sono stati sedi in passato di altri interventi formativi (CLIL, Valutazione ecc.) ma che non hanno nessuna esperienza specifica nel campo della “didattica aumentata digitalmente”. Allo stesso modo, cioè con pochi criteri di “merito individuale”, ma attraverso “burocratiche” liste o graduatorie provinciali o regionali, cui gli aspiranti formatori iscritti, sono stati scelti i formatori nella selezione del 2013 e 2014.
Il risultato di questa interpretazione esclusivamente “burocratico-formale” delle norme fa si che oggi a formare al “digitale” gli Animatori e gli insegnanti sono istituzioni scolastiche e “formatori” che spesso hanno poca competenza specifica, nel senso che, ad esempio i docenti formatori, spesso, si sono “autocandidati” al ruolo di formatori senza una verifica specifica delle loro reali competenze. Nello stesso tempo, non esiste, ad oggi per altri docenti, che abbiano maturato significative esperienze di “formazione al digitale” la possibilità di iscriversi a queste a queste “liste di formatori” perché esse sono “chiuse” e non si prevedono a breve nuove e più efficienti selezioni. Si rischia, perciò, di disperdere a pioggia o non utilizzare al meglio i 10 milioni di euro all’anno, destinati dal PNSD ai 300 agli snodi (ex-Poli formativi).
c. Qualità e certificazione della formazione degli insegnanti
Il Piano Nazionale Scuola digitale è chiaro nell’individuare il problema della qualità della formazione “aumentata dalle tecnologie”. Sia che essa sia erogata da “docenti formatori” di ruolo nella scuola sia che essa sia erogata da “enti di formazione accreditati”. Questi enti, ad esempio, dovrebbero dimostrare adeguata un esperienza e aderenza ai modelli formativi ben delineati nel Piano Nazionale Scuola Digitale e sui cui ci siamo soffermati in precedenti interventi su questa testata. Non è così, però, in pratica, in moltissime regioni e sia i docenti che gli enti accreditati spesso non hanno sufficiente competenza scientifica o metodologica, ma sono scelti, per lo più, sulla base di logiche di “relazione” già consolidate e un po’ stantie (chi l’ha già svolta in passato), quando non di “lottizzazione” politica o istituzionale. E’ lo stesso Piano Nazionale Scuola Digitale ad ammetterlo: “Per rimediare ad alcuni limiti del passato, il MIUR è al lavoro per ripensare il meccanismo di accreditamento degli enti di formazione, al fine di garantire che la formazione non si esaurisca mai in un adempimento amministrativo ma aiuti i docenti nel loro percorso di crescita professionale e personale” (PNSD, 107). Che questo sia vero lo dimostra in concreto, ad esempio il fatto, che a Milano dove esistono almeno tre Università (due statali e una privata) che hanno competenza scientifica accertata a livello nazionale e internazionale nel campo della “didattica aumentata dalla tecnologia” – il Politecnico, l’Università Cattolica e l’Università Bicocca – nessuna di esse sia stata coinvolta nei percorsi di formazione degli Animatori digitali lombardi. Neanche nel ruolo di “certificatore della qualità”, se non in quello ovvio e strutturale di consulenza progettuale alla costruzione dei percorsi formativi degli Animatori digitali.
Questo anche se il PNSD afferma: “ Il sistema ha bisogno di un raccordo forte con la dimensione scientifica e le migliori pratiche a livello internazionale. Raccordo che deve essere rafforzato a livello istituzionale (università e centri di ricerca)” (Piano Nazionale Scuola Digitale, p. 108)
Conclusioni
Il diavolo si nasconde nei dettagli e i dettagli si nascondono nei cavilli della burocrazia e dell’amministrazione Ministeriale, o dell’INDIRE (l’ente attuatore della formazione continua degli insegnanti a livello nazionale, prima della legge 107). Oppure, sempre il diavolo, si nasconde nelle direttive regionali regionale e territoriale per la concreta attuazione dei provvedimenti del governo. Il Piano Nazionale Scuola Digitale e i suoi provvedimenti attuativi si stanno perciò scontrando nei varie regioni e nei vari territori con la struttura “geronto-burocratica”, dell’architettura istituzionale della Scuola italiana. Un’ architettura che doveva essere profondamente riformata già nel 1996, con Piano di Sviluppo delle Tecnologie didattiche (1996) di Luigi Berlinguer. Un piano che vedeva nell’autonomia scolastica e nel principio di sussidiarietà le leve per sburocratizzare la scuola e renderla più competitiva. Quella stagione però è stata troppo breve, è durata solo per il breve periodo (un anno e mezzo) di permanenza di Berliguer a Governo. Poi sono giunti gli anni oscuri del “berlusconismo” – mi riferisco in particolare alla gestione Gelmini del Miur – gli anni del “federalismo egoista” e della sterilizzazione di ogni ’“autonomia scolastica” attraverso i tagli lineari selvaggi (9 miliardi di euro); gli anni dell’attacco all’Istruzione pubblica attraverso la “squalificazione” mediatica e sociale del ruolo della scuola pubblica e dei suoi insegnanti.
Ora il “vento è cambiato”, per fortuna, ma è necessario che il Ministro Giannini e soprattutto l’Ufficio VI del Ministero (che si occupa di Innovazione digitale) vigili con grande rigore sulla attuazione della legge 107 e del PNSD. Deve, infatti, essere condotta una vera battaglia politica per scardinare la logica delle ”competenze concorrenti” delle istituzioni locali (regioni e vecchie provincie) rispetto alla normativa nazionale in materia di scuola e soprattutto di innovazione digitale della scuola. Se il rigore e la vigilanza non saranno molto alti si rischia, che la dispersione “localistica” e a volte “familistica” delle risorse e la “sordità” della burocrazia amministrativa depotenzi moltissimo quanto di innovativo e positivo è contenuto nel PNSD. E’ una battaglia che, a nostro avviso, deve essere condotta anche con strumenti non “convenzionali”.
Ad esempio, e qui formuliamo una “modesta proposta”, chi impedisce all’Ufficio VI “Innovazione digitale” del MIUR di costituire un task force di ispettori indipendenti che nell’arco di un anno “visitino” le 8000 scuole pubbliche italiane e valutino sul campo lo stato di attuazione della riforma e del PNSD? Si tratterebbe di mobilitare quattrocento tecnici competenti e “indipendenti” (e qui sta il vero problema di questa soluzione) che avrebbero l’onere di visitare e valutare venti scuole ciascuno nel corso del 2016. Non un’impresa impossibile. E’ un investimento che sarebbe molto più produttivo, delle, pur necessarie, analisi statistiche annuali che vengono già condotte dall’INVALSI e dei monitoraggi dell’INDIRE.
Dal momento che nel caso delle ispezioni “dirette”, come quelle previste nel caso dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema universitario, il potere di controllo e correzione delle storture e delle inadempienze da parte del “centro” potrebbe essere molto più efficace e diretto. E’ una battaglia difficile ma che non può non essere condotta se non si vuole perdere l’ultima occasione per il sistema scolastico italiano di provare a mettersi al passo con quello dei paesi più sviluppati d’Europa.