Negli ultimi anni, si è assistito a un sensibile aumento delle operazioni di chiusura o rallentamento mirato di internet da parte delle autorità governative in un numero crescente di Paesi. Questo pone serie preoccupazioni per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, le ricadute economiche, sanitarie, ma anche nel campo dell’istruzione e in generale sulla società civile. Le Big Tech sono combattute tra assistenza, fornitura del servizio e diritti.
I diritti umani passano dai nostri dati: le sfide dei prossimi anni
Shutdown di Internet, un quadro del fenomeno
È un report di Google Jigsaw (un hub specializzato in analisi dei flussi di rete) a fornirci un quadro del fenomeno della crescita del numero degli shutdown, grazie al programma STOP (Shutdown Tracker Optimization Project) di Access Now, organizzazione no profit che si occupa di diritti digitali, che dal 2016 registra tutti gli eventi di questo tipo, fornendo un archivio completo e aggiornato, che prima mancava. Degli 850 episodi registrati negli ultimi dieci anni, ben 768 sono avvenuti dal 2016 a oggi, cioè negli ultimi 5 anni. La maggior parte dei casi si verificano in Africa e Asia, con un picco in India.
Il primo shutdown totale noto è avvenuto nel 2007 in Guinea, in un Paese nel quale meno dell’1% della popolazione aveva all’epoca accesso a Internet. Il fenomeno era sono alle origini.
In Egitto, nel 2011, durante le cosiddette “Primavere Arabe”, il 93% della rete venne reso irraggiungibile per ordine delle autorità. Fu il primo shutdown nazionale di queste dimensioni ed ebbe l’effetto di aumentare la partecipazione dei cittadini alle manifestazioni nelle strade e nelle piazze.
Nonostante la condanna della comunità internazionale, da allora le interruzioni di internet o l’oscuramento di siti ed app sono aumentati esponenzialmente per quantità, durata e raffinatezza.
La gamma delle giustificazioni per queste operazioni comprende la difesa della sicurezza nazionale, impedire la diffusione di fake news, ristabilire l’ordine in occasione di proteste e manifestazioni, e impedire che vengano disturbate elezioni o eventi politici.
I metodi usati per bloccare la rete
La struttura gerarchica e distribuita di internet, descrivibile come rete di reti, da quelle globali a quelle regionali e infine locali, offre la presenza di diversi punti dai quali si può interrompere il servizio solo in zone specifiche, senza comprometterlo in altre. Si va da chiusure totali (shutdown) a chiusure di specifici social media o app di messaggistica. I metodi utilizzati sono prevalentemente 6, impiegati spesso in combinazione.
- Throttling: si rallenta la connessione fino a quando il caricamento del sito o della pagina ricercata diventa impossibile (si “strozza” il collegamento). L’utenza si convince che ci sia un problema tecnico, dunque non pensa all’intervento delle autorità. Questa caratteristica rende il throttling particolarmente adatto alle attività di censura da parte degli Stati.
- Blocco degli IP: bloccando il singolo IP, si può intervenire con precisione rendendo impossibile l’accesso a un sito specifico.
- Blocco della rete dati: utilizzato tipicamente in Paesi poveri, nei quali sono più diffusi i cellulari che i computer, tale metodo blocca il traffico per i device mobili, lasciando dunque integre le altre modalità di accesso ad Internet tramite altri dispositivi.
- Interferenze DNS: si interferisce con il traffico in modo tale da alterare l’associazione indirizzo IP/nome del server, facendo in modo che alla richiesta dell’utente o non venga fornita una risposta, o che si venga reindirizzati verso un indirizzo IP diverso dall’originale o uno non valido.
- Server Name Identification Blocking: i provider bloccano la connessione non appena si effettua una richiesta di Server Name Identification, vanificando l’utilizzo del protocollo HTTPS.
- Deep Packet Inspection (DPI): utilizzato per opere di censura e sorveglianza. Il DPI permette ai proprietari della rete di esaminare i contenuti dei pacchetti trasmessi, effettuando un’analisi più specifica che permette anche di bloccare o modificare i contenuti, avendo un controllo sull’accesso alle informazioni.
Le ricadute economiche degli shutdown
Una ricerca della Brookings Institution mostra che gli shutdown sono costati circa 2,4 miliardi di dollari tra il 1° luglio 2015 e il 30 giugno 2016, con perdite massime sostenute dall’India (968 milioni di dollari). Secondo un rapporto del CIPESA, l’Africa sub-sahariana ha perso fino a 237 milioni di dollari per interruzioni di internet dal 2015.
Nel dicembre 2018 la Repubblica Democratica del Congo stima di aver perso 3 milioni di dollari al giorno, mentre in Zimbabwe le perdite si aggirano intorno agli 11,4 milioni di dollari in 6 giorni. (Policy Brief: Internet Shutdowns – Internet Society)
A soffrire una forte ricaduta economica sono le attività grandi e medie. Sono molti gli imprenditori locali che in assenza di connessione non hanno potuto concludere transazioni importanti con conseguente perdita di denaro e licenziamento dei dipendenti stessi. In India, per esempio, l’interruzione della connessione ad Internet ha impedito che imprenditori e turisti potessero mettersi in contatto e questo ha determinato una crescente perdita di clienti e danni reputazionali alle strutture alberghiere. Inoltre, tutte le aziende che dipendono sostanzialmente da transazioni elettroniche sono particolarmente esposte a questo fenomeno.
Diritti umani a rischio
Gli shutdown non sono solo la causa di importanti perdite economiche, ma rappresentano una vera violazione dei diritti umani. In un report del 2011 sulla libertà di espressione, le Nazioni Unite hanno riconosciuto l’importanza di inserire la connessione ad Internet come un mezzo attraverso il quale l’individuo ha la possibilità di esercitare la propria libertà di pensiero, di informarsi e di manifestare. In tal senso, l’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani condanna i blocchi volontari alla rete valutandoli come una violazione dell’art.19 della Convenzione Internazionale dei diritti Civili e Politici che sancisce la libertà di opinione.
Non si tratta solo di privazione dei diritti fondamentali: gli shutdown possono rappresentare una concreta minaccia alla vita e alla salute degli individui. In Myanmar, per esempio, dopo il golpe militare del febbraio 2021, diverse zone sono state lasciate prive di connessione a lungo, tenendo intere comunità all’oscuro riguardo la pandemia da Covid19.
Le big tech tra due fuochi
Grazie allo sforzo congiunto di ONG e grandi aziende, sono stati creati nuovi sistemi che hanno il compito di monitorare e tracciare episodi di interruzione della rete internet in tutto il mondo.
Il transparency center di Facebook, utilizzando sia il database di Stop Access Now che il Google Transparency Report, fornisce un meccanismo attraverso il quale è possibile registrare e verificare l’interruzione della connessione in una specifica area geografica e il suo impatto.
Ad ogni modo, esistono strumenti e servizi in grado di aggirare tali restrizioni:
- Mesh network: le reti mesh funzionano bypassando le infrastrutture di telecomunicazione, attingendo direttamente alle frequenze radio che passano i dati ai dispositivi vicini. Da questi, i dati viaggiano fino a raggiungere una rete aperta.
- Tramite VPN e Proxy Server: tali sistemi consentono di oltrepassare il blocco della rete, a livello di applicazione o di sistema operativo, instradando il traffico dati verso altri server remoti, spesso localizzati in paesi non a rischio censura.
Per quanto riguarda gli shutdown completi, la loro realizzazione risulta più semplice nei Paesi nei quali gli ISP (Internet Service Provider) sono in mano allo Stato o a privati fortemente influenzati dai governi, mentre una forte liberalizzazione dell’ultimo tratto delle reti, con diversi provider a fornire il servizio, rende più difficile l’oscuramento totale delle comunicazioni.
Per quanto riguarda, invece, la chiusura di singoli servizi le Big Tech si trovano strette tra le richieste degli Stati e le loro esigenze di servizio. Pur asserendo di ispirarsi al concetto di “neutralità della rete”, libera da restrizioni in funzione dei servizi e contenuti utilizzati, negli ultimi anni gli stessi colossi del web sono stati vittime di limitazioni, soprattutto nei continenti asiatico e africano. (Why you should be more concerned about internet shutdowns | MIT Technology Review)
Quando viene chiesto loro di intervenire per bloccare determinati contenuti o servizi, devono scegliere se ottemperare, specialmente se gli viene imposto in virtù di leggi o ordini giudiziali, oppure rimanere fedeli ai principi di neutralità a cui si ispirano e trovare il modo di garantire l’erogazione del servizio offerto nonostante le imposizioni.
Conclusioni
Le vite di molti sono ormai largamente dipendenti da una connessione ad Internet per informazione, lavoro, servizi, relazioni e intrattenimento: impedendo l’accesso alla rete si colpiscono la libertà di pensiero e di parola, l’accesso all’informazione, la libertà di manifestare e, in alcuni casi, si mette a repentaglio la salute di intere comunità.
Molti governi hanno fatto ricorso e ricorrono a blocchi generalizzati e, sempre più spesso, mirati. Le conseguenze sono sempre le medesime: perdite economiche, instabilità politica e compressione delle esigenze della società civile.