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Sismondi: “Sull’Agenda c’è bisogno di chiarezza oltre che di risorse”

Tante cose poco chiare in questa fase. Quanti soldi ci sono a disposizione e per fare cosa? Come saranno spesi? Chi fa cosa, tra Agid e Piacentini?

Pubblicato il 14 Ott 2016

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Il decreto di nomina di Diego Piacentini a Commissario straordinario del Governo per l’attuazione dell’Agenda digitale definisce meglio ruoli e mezzi di questo nuovo protagonista nel complesso intreccio della governance dell’innovazione.

Se da una parte questo incarico semplifica di molto la catena delle responsabilità, attribuendo di fatto al Commissario il compito di coordinare tutte le azioni di ogni soggetto pubblico per l’Agenda digitale (e quindi non solo a proposito della PA digitale, come spesso sbagliando si interpreta), dall’altra pone però qualche interrogativo a chi, come me, ha sempre creduto che la chiarezza fosse necessaria almeno quanto le risorse finanziarie, umane e tecnologiche e che ne fosse anzi il prerequisito fondamentale perché queste non venissero sprecate.

La chiarezza negli obiettivi onestamente c’è. Sono obiettivi europei, declinati negli obiettivi dell’Agenda Digitale Italiana e rafforzati da specifici programmi. Già Paolo Barberis, un po’ meno di un anno fa a Venaria Reale, ne aveva con grande efficacia riassunto i quattro pilastri: la cittadinanza digitale e la PA digitale, il piano per la banda ultra larga, la crescita delle competenze digitali e la lotta ai digital divide, l’industria 4.0 e il trasferimento dell’innovazione.

Un po’ meno chiarezza c’è nei soldi a disposizione che vengono tutti dalla programmazione europea, unica fonte di investimenti per i prossimi sette anni. Sappiamo dai documenti che l’asse 2 del PON Governance (dotazione globale del PON 827 milioni di euro!), dedicato a “servizi online, inclusione digitale e partecipazione in rete; digitalizzazione dei processi amministrativi e diffusione dei servizi digitali per cittadini ed imprese” dispone di quasi 96milioni di euro, mentre l’asse 1 dedicato a “Trasparenza, interoperabilità, e accesso ai dati pubblici; ruduzione degli oneri regolatori; miglioramento delle prestazioni della PA; efficienza e qualità del sistema giudiziario; integrità e legalità nell’azione della PA” dispone di 412milioni di euro. Qualche giorno fa a Capri Samaritani ha detto che gli sono stati assegnati 50 milioni di euro per l’Agenda Digitale. Oggi in sede di Assemblea ANCI le slides presentate li hanno attribuiti al programma “Italia Login – La casa degli italiani” (sic). Per non parlare poi dello studio dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano che, assommando tutti gli strumenti nazionali e regionali, assegna all’Agenda digitale una dotazione di oltre 1,6 miliardi di euro.

Credo quindi che ci sia bisogno di fare chiarezza: quanti soldi ci sono a disposizione e per fare cosa? Inoltre bisogna chiarire perché siamo alla fine del terzo anno di programmazione e ancora non è stato speso neanche un euro e quelli assegnati (ma non impegnati) sono solo una piccola parte di quelli che spetterebbero all’Agenda digitale. Inoltre, come saranno spesi? Saranno dati alle amministrazioni? Ci saranno bandi di gara? Finiranno come spesso accade nella gora morta di Formez a sostenere la loro occupazione? Ripeto ci vuole chiarezza.

Altrettanta chiarezza serve nel definire chi fa cosa: se ho letto con grande soddisfazione che i poteri del Commissario sono reali e che veramente ora l’Agenda digitale dipende da lui, mi preoccupano alcune non banali sovrapposizioni: il CAD nuovo di zecca attribuisce, nel famoso art.71 richiamato 36 volte nell’articolato, all’AgID il compito di scrivere linee guida e regole tecniche, ma lo stesso compito è attribuito al Commissario. La logica organizzativa vorrebbe che il secondo supervisionasse e controllasse la coerenza delle norme secondarie con il piano generale e che l’AgID fosse lasciata nel pieno della sua autonomia di execution nello scrivere il regolamento. Sarà così? Anche perché non partiamo da zero, nell’amministrazione non esistono green field su cui costruire nuove città dal nulla: ci sono anni di riunioni, di accordi, di alleanze, di esperienze che devono essere rispettate. Inoltre io non ho chiaro (può essere che lo sia e che io mi sbagli) quale sia il ruolo dei Comuni e delle Regioni che sono stati gli Enti che in questi anni hanno fatto gli unici importanti passi avanti nell’innovazione. Innovazione che il Commissario dovrebbe conoscere, studiare, utilizzare.

In conclusione permettetemi un’esortazione: benvenuto Diego! Abbiamo veramente bisogno di te: di una voce nuova, di un occhio esterno ed esperto che porti quell’innovazione disruptive che per ora non abbiamo visto, impantanati come siamo stati in continue ricerche di impossibili compromessi. Ma per favore lavora nella trasparenza e nella chiarezza: la PA deve essere sempre una casa di vetro, mai dimenticarsene, perché, a differenza di un’azienda privata per grande che sia, qui gli azionisti siamo tutti noi.

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