L’approvazione, il 15 febbraio 2016, del decreto legislativo n. 33/2016, recante “Attuazione della direttiva 2014/16/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, relativa alle misure volte a ridurre i costi di istallazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 57 del 9 marzo 2016, completa un quadro normativo che sin dal 2002, con la previsione dell’obbligo di cavedi multiservizi per rendere agevoli i collegamenti delle singole unità immobiliari, previsto dall’art. 40 della legge n. 166/2002, se da un lato dimostra come per il legislatore italiano (ma non solo) sia indispensabile investire sulle reti (orizzontali e verticali) per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda digitale europea, dall’altro fa emergere quanto scarsa sia la conoscenza e l’implementazione di tale norme, visto che è ancora necessario legiferare e regolamentare situazioni di evidente utilità.
- Il contesto normativo europeo ed italiano
L’Unione europea (ma vedasi anche quanto sta attuando l’Organizzazione delle Nazioni Unite nell’ambito del Millennium Development Goal n. 11) crede che solo un’economia digitale sia capace di generare crescita e benefici economici e sociali sostenibili, da cui la necessità di avere la disponibilità di un’infrastruttura digitale di qualità elevata. Riconoscendo l’importanza della diffusione della banda larga ad alta velocità, gli Stati membri hanno, quindi, approvato nel 2010 la comunicazione della Commissione Europea (COM2010/245) “Un’Agenda digitale per l’Europa – Le tecnologie digitali come motore della crescita europea“, che prevede come obiettivo la disponibilità della banda larga di base per tutti i cittadini europei entro il 2013 ed un accesso a connessioni molto più rapide, superiori a 30 Mbit/s e, per almeno il 50% delle famiglie dell’Unione, superiori ai 100 Mbit/s entro il 2020.
L’Agenda digitale europea ha anche evidenziato la necessità di attuare politiche che permettano di abbattere i costi dell’installazione della banda larga sull’intero territorio dell’Unione, attraverso una corretta pianificazione, un corretto coordinamento e la riduzione degli oneri amministrativi ed economici legati all’installazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità, individuando nelle Smart Cities l’unico modello urbano economicamente e socialmente sostenibile in grado di garantire un’elevata qualità della vita dei cittadini, una crescita della competitività delle imprese ed un rafforzamento della capacità istituzionale e di investimento delle amministrazioni in un ambiente sicuro. Tale modello si basa sulla diffusione da un lato di piattaforme tecnologiche e di connettività in grado di abilitare la creazione di ecosistemi di servizi digitali grazie ad infrastrutture ICT e TLC e dall’altro sulla cosiddetta IoT (Internet of Things). L’installazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità fisse e senza fili richiede, però, investimenti ingenti, di cui una parte consistente è rappresentata dal costo delle opere di ingegneria civile, su cui l’Unione europea è intervenuta specificamente con la citata direttiva 2014/61/UE, recepita nel nostro ordinamento con il Decreto legislativo n. 33 del 2016.
Nel ricostruire il contesto normativo vigente è bene ricordare che i servizi di comunicazione elettronica hanno carattere di pubblica utilità e le infrastrutture di comunicazione sono assimilate ad ogni effetto (compreso quelli di carattere tributario) alle opere di urbanizzazione primaria; inoltre il Dlgs. n. 259/2003 – Codice delle comunicazioni elettroniche – agli artt. 86 e ss riconosce già agli operatori una serie di misure e strumenti (ripresi da ultimo con il citato decreto legislativo n. 33/2016) per fornire servizi di comunicazione ed agevolare l’istallazione delle reti (sia orizzontali che verticali).
Il decreto legislativo n. 33/2016, di recepimento della suddetta direttiva, è stato predisposto, infatti, considerando una serie di disposizioni già vigenti nel nostro ordinamento e che per molti aspetti già prevedevano quanto stabilito per l’appunto nella direttiva 2014/61/UE. Ciò vale in particolare per quanto riguarda le misure relative all’accesso/condivisione delle infrastrutture esistenti ed alle attività di scavo, già previste nel Codice delle comunicazioni elettroniche, mentre con riferimento alle norme per l’accesso agli edifici ed al catasto delle reti, le previsioni della direttiva erano state anticipate dalle disposizioni del decreto legislativo n. 164/2014 – cosiddetto Sblocca Italia – con il quale, con particolare riferimento alle tematiche degli smart building, in sede di conversione del D.L n. 133/2014, è stato inserito, con l’art. 6 ter, comma 2, l’art. 135 bis nell’ambito del Testo Unico sull’edilizia (DPR n. 380/2001).
L’at. 135 bis del T.U sull’edilizia sancisce l’obbligo – a partire dal 1° luglio 2015 – di prevedere, all’interno dei nuovi edifici ed in caso di profonda ristrutturazione ai sensi dell’ art. 10, comma 1, lett.c), un’infrastruttura fisica multiservizio passiva costituita da adeguati spazi istallativi e da impianti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica fino ai punti terminali di rete.
Tale obbligo con l’art. 8 del decreto legislativo n. 33/2016 è stato esteso a tutti gli edifici esistenti che, qualora siano già dotati di un’infrastruttura fisica multiservizio, sono obbligati a fornire accesso agli operatori di rete che ne fanno richiesta secondo termini e condizioni eque e non discriminatorie, anche con riguardo al prezzo.
In particolare il decreto legislativo n. 33/2016 consta di 15 articoli:
- l’art. 1 definisce l’oggetto e l’ambito di applicazione;
- l’art. 2 fornisce le definizioni necessarie alla corretta lettura del provvedimento;
- l’art. 3 definisce le condizioni di accesso all’infrastruttura fisica esistente ai fini dell’installazione di elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità. Nello specifico indica quali aspetti del progetto, per cui si richiede l’accesso, devono essere precisati e come vanno gestite le ipotesi di rifiuto dell’accesso stesso;
- l’art. 4 disciplina l’accesso alle informazioni minime relative alle infrastrutture fisiche di qualsiasi operatore di rete e prevede che siano messe a disposizione attraverso il SINFI – Sistema Informativo Nazionale Federato delle Infrastrutture -, attraverso il quale si procederà alla mappatura delle reti del suolo e del sottosuolo, in modo tale da garantire simmetria e sicurezza nell’accesso alle informazioni per tutti gli attori della filiera. Il medesimo articolo prevede, inoltre, che il Ministero dello sviluppo economico, sentita l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con proprio decreto possa stabilire esenzioni dai suddetti obblighi nel caso di infrastrutture fisiche esistenti che siano considerate non tecnicamente idonee all’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità o nel caso di infrastrutture critiche nazionali.
- Gli artt. 5 e 6 dispongono il coordinamento delle opere di genio civile e l’accesso alle informazioni sulle infrastrutture in corso di realizzazione o programmate;
- L’art. 7 semplifica ulteriormente le procedure per il rilascio delle autorizzazioni;
- L’art. 8 stabilisce che i proprietari di edifici, o il condominio, hanno il diritto, ed ove richiestone, l’obbligo, di soddisfare tutte le richieste ragionevoli di accesso presentate da operatori di rete, secondo termini e condizioni eque e non discriminatorie, anche con riguardo al prezzo e prevede per i fornitori di reti pubbliche di comunicazione il diritto di installare la rete a proprie spese, fino al punto di accesso. In mancanza di un accordo sull’accesso, concede a ciascuna delle parti il diritto di rivolgersi all’organismo nazionale di risoluzione delle controversie, introducendo così la figura dell’operatore condominiale.
- L’art. 9 identifica l’organismo di risoluzione delle controversie nell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
- L’art. 10 prevede la possibilità per l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in sede di risoluzione delle controversie, di adottare decisioni vincolanti e di applicare sanzioni amministrative pecuniarie.
- L’art. 11 inserisce una disposizione di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano, le quali provvedono alle finalità del presente decreto legislativo ai sensi dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione.
- L’art. 12 prevede che in caso di conflitto tra le disposizioni di recepimento delle direttive europee 2002/21/CE, 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/22/CE, 2002/77/CE e quelle del decreto legislativo di cui trattasi prevalgano le prime, prevedendo, altresì, che gli elementi di rete, nonché le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado do fornire servizi di accesso a banda ultralarga effettuate anche all’interno degli edifici da chiunque posseduti non costituiscono unità immobiliari e non rilevano ai fini della determinazione della rendita catastale;
- L’art. 13 contiene una clausola di invarianza finanziaria;
- L’art. 14 le abrogazioni e l’art. 15 dispone l’entrata in vigore e l’ efficacia delle disposizioni di cui sopra.
L’estensione dell’obbligo di accesso, le semplificazioni degli oneri amministrativi ed economici congiuntamente all’obbligo dell’infrastruttura fisica multiservizio delineano un quadro normativo estremamente favorevole alla realizzazione di infrastrutture, che si può addirittura far risalire alla stessa Carta Costituzionale, ma che purtroppo sfortunatamente si è delineato nel tempo in maniera confusa e destrutturata, determinandone di fatto una scarsa conoscenza ed applicazione.
Per citare solo gli interventi normativi più importanti, dopo l’introduzione nel 2002 dell’obbligo di dotare le nuove costruzioni civili a sviluppo verticale di cavedi multiservizi per rendere agevoli i collegamenti delle singole unità immobiliari, introdotto dall’art. 40 della legge n. 166/2002, l’art. 1 della legge n. 69/2009 ha previsto che i lavori necessari all’istallazione delle fibra all’interno degli edifici sono da considerarsi innovazione condominiale necessaria ai sensi dell’art. 1120 c.c, per cui da approvarsi in sede di assemblea condominiale a maggioranza semplice, e, pochi anni dopo, l’art. 14, comma 7, della legge n. 179/2012, nel definire gli interventi per la diffusione delle tecnologie digitali, ha disciplinato l’accesso degli operatori di rete alle parti comuni degli edifici, mentre sotto il profilo dell’’impiantistica dal 2013 esiste l’obbligo di istallare impianti condominiali centralizzati d’antenna.
La capillare diffusione di edifici predisposti alla larga banda, ancorché non soggetti ad interventi di ristrutturazione e, quindi, non obbligati al rispetto delle disposizioni definite nel nuovo art. 135-bis, è certamente una sfida, che va affrontata sul piano istituzionale in maniera sinergica attraverso una stretta collaborazione tra tutti gli attori della filiera (amministrazioni pubbliche, antennisti, operatori, amministratori di condominio, professionisti del settore), sia pubblici che privati, sia nazionali che locali, cercando di superare distinzioni e differenziazioni tanto inutili quanto ormai obsolete. Si consideri, ad esempio, che la stessa normativa in tale ottica parla oramai unicamente di impianti di comunicazione elettronica, senza più distinguere tra impianti telefonici e televisivi (ed in tal senso necessiterebbe forse di essere rivisto anche il decreto del 22 gennaio 2008 n. 37, recante riordino delle disposizioni in materia di attività di istallazione degli impianti all’interno degli edifici). Ma più che una sfida si tratta di un’opportunità da cogliere, se non addirittura di una necessità da affrontare, considerando gli elevati tassi di urbanizzazione della popolazione europea e mondiale: entro il 2050 l’80% della popolazione europea vivrà in città per cui è necessario sin d’ora investire in soluzioni IoT, infrastrutture abilitanti e servizi innovativi, evitando il consumo di suolo.
L’importanza di tali investimenti emerge in maniera evidente anche da un sondaggio condotto a marzo 2016 nel Regno Unito, che ha evidenziato come per il 20% dei proprietari di immobili la larga banda sia prioritaria rispetto a qualsiasi altro tipo di servizio. Il medesimo sondaggio ha messo in luce come il 67% degli acquisti di un nuovo immobile non sia andato a buon fine a causa di un servizio di accesso a banda larga ritenuto di qualità scadente e non a caso il Governo britannico ha ritenuto necessario stipulare un accordo con l’HBF – Home Builders Federation per promuovere la fornitura dei servizi a larga banda negli edifici. Un’attività promozionale che appare essere indispensabile sia per accrescere la consapevolezza di quello che nel nostro ordinamento è un obbligo dal luglio del 2015 che per superare quel divario digitale non solo infrastrutturale, ma soprattutto socio-culturale che spesso porta a sottovalutare anche aspetti importanti, come quelli connessi alla tutela della privacy ed alla sicurezza, nella progettazione degli smart building.
- Il “futuro è convergenza”.
L’integrazione si rende, pertanto, necessaria a più livelli, dal piano istituzionale a quello settoriale, fino a quello infrastrutturale tra reti wired e wireless, nel pieno rispetto del principio di neutralità tecnologica e superando l’aprioristica distinzione tra tecnologie buone o cattive. Le tecnologie sono (o rectius devono essere) solo adeguate ai bisogni degli utenti, bisogni, peraltro, variabili non solo in funzione del tempo, bensì anche delle specifiche esigenze o interessi di cui costoro sono portatori: solo l’utente finale può valutare realmente l’idoneità di un’ infrastruttura e di un servizio.
Ma per non essere travolti dalla tecnologia o, comunque, evitare scelte sbagliate o insoddisfacenti, è necessario imparare (ed in fretta) a gestire la complessità del presente, il che impone specificatamente sul piano della progettazione e costruzione degli edifici di superare del tutto il modello “Build it first, Fix it later” (o “costruisci e poi risolvi”) e passare, invece, ad un metodo che sin dalla progettazione consideri i bisogni di connettività in building, in modo tale da evitare sia costi suppletivi e disagi agli inquilini, laddove si rendano necessari interventi successivi, sia una svalutazione del valore dell’immobile, laddove si renda necessario imporre ad esempio delle servitù per garantire i servizi di comunicazione elettronica.
Conoscenza e sicurezza credo sia le parole cardine nell’operare dell’amministrazione (ma non solo) di fronte alla 4° Rivoluzione industriale che sta investendo i building in senso lato (sia civili che produttivi). Il punto di partenza è certamente la garanzia di una connettività di qualità ma il percorso passa attraverso il superamento di una serie di ostacoli primo tra tutti quello delle digital skills, cioè del miglioramento, dell’omogeneizzazione e della diffusione della conoscenza tra tutti i soggetti coinvolti: per innovare bisogna investire sulle persone e creare nuclei stabili di competenze che, integrando le informazioni, siano in grado di generare “intelligenza”. Viene, spesso, detto oramai che non bisogna fermarsi alle città intelligenti perché l’obiettivo è quello di creare comunità e territori smart. Una migliore conoscenza serve, inoltre, a generare fiducia, evitando che i sogni si trasformino in incubi.
Sebbene quello degli smart building e delle smart home sia un comparto dinamico, considerando i tassi di crescita ed il valore di mercato (almeno in Paesi come il Regno Unito e la Germania), uno dei maggiori ostacoli ad una maggiore penetrazione è certamente da identificare nelle preoccupazioni per la violazione della privacy e nella scarsa conoscenza. Per questi motivi bisogna discutere su come creare le condizioni per facilitare lo sviluppo di smart city/smart building/smart home ed intercettare al più presto i benefici economici e sociali che si attendono dal campo dell’edilizia innovativa.
Le principali voci di una casa/edificio intelligente sono l’automazione domestica, le soluzioni per la sicurezza, l’intrattenimento, i contatori intelligenti per la gestione dei consumi energetici ed idrici, i sistemi per il controllo dell’illuminazione e della temperatura interna ed esterna, per arrivare ai sistemi per la ricarica dei veicoli elettrici e ad applicazioni per il social housing relative ad e-health, e-government e/o e-commerce. Tutte applicazioni che se implementate aumentano l’attrattività del luogo e valorizzano l’economia di prossimità. Quali siano le tempistiche e le necessità economiche sono aspetti da chiarire ma esistono case studies (sia nel settore pubblico che privato) che possono essere valutati come il caso della stazione di King’s cross a Londra e il quartiere Bid ad Amburgo. Si può anche guardare più lontano considerando quanto fatto a Yokohama con lo “Yokohama Smart City Project” (Yscp), piattaforma che raggruppa 34 organizzazioni locali e nazionali e che mira allo sviluppo e all’applicazione di meccanismi efficaci per la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni inquinanti, per un’efficienza energetica che parte dalle case e dagli edifici pubblici, e con un altro progetto, lanciato sempre sotto l’amministrazione Hayashi, il “FutureCity Yokohama” basato sulla rigenerazione urbana e la riqualificazione dei quartieri. Ma anche nel Bel Paese ci sono già alcuni progetti come Milano4you in cui finalmente l’ottica è stata cambiata: dall’edificio in sé, quale mero contenitore, si è passati a valorizzare i servizi e le persone avviando un nuovo modello di sviluppo immobiliare in cui architettura, infrastrutture energetiche e digitali e dimensione sociale si integrano.
E’ evidente che parlare di edificio in rete è ormai riduttivo.