AGENDA DIGITALE EUROPEA

Standard in Europa: le norme ci sono, difetta l’attuazione

L’interoperabilità europea è ancora in gran parte da costruire per i temi dell’Agenda digitale. In Italia ne risentono l’attuazione di CAD, SPC, open source nelle PA

Pubblicato il 27 Feb 2014

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Il secondo dei pilastri dell’Agenda Digitale Europea è relativo all’interoperabilità tra servizi e applicazioni ICT e agli standard necessari per assicurare la diffusione di una reale interoperabilità.

L’interoperabilità dei servizi e delle applicazioni, infatti, è uno degli aspetti cruciali per uno sviluppo sano del digitale nella pubblica amministrazione, perché consente sia di evitare il problema del “lock-in”, quindi del legame obbligato con uno specifico fornitore sulla base della difficoltà tecnica a migrare tra prodotti diversi, sia di incentivare il mercato nel proporre soluzioni sempre più efficaci ed innovative, contro le rendite di posizione, e sia, non ultima, la possibilità di connettere con facilità e far dialogare servizi e applicazioni di amministrazioni pubbliche, centrali, locali, internazionali.

L’affermazione di standard di interoperabilità e la diffusione della loro applicazione è quindi anche una delle basi per lo sviluppo di un sistema connesso a livello europeo e di bandi europei che realmente possano essere aperti a operatori di tutti i Paesi.

Questo nuovo approccio inteso a contrastare il “lock-in” potrebbe consentire, secondo la Commissione Europea, un risparmio di oltre 1,1 miliardi di euro l’anno nel settore pubblico dell’UE”. Le gare d’appalto aperte, ad esempio, attirano un più alto numero di partecipanti con offerte migliori (raddoppiare il numero di partecipanti in genere diminuisce il valore dell’appalto del 9%).

In questo senso questo pilastro costituisce la base tecnica principale del mercato unico europeo.

Lo stato attuale delle azioni previste dall’Agenda Digitale Europea

Le azioni previste dall’Agenda Digitale Europea si dividono in due tipi:

  • azioni a carico della Commissione Europea, soprattutto a livello legislativo e di linee guida;
  • azioni a carico degli Stati Membri, in termini di adeguamento della normativa alle indicazioni europee e di applicazione concreta, in questo caso, degli standard di interoperabilità.

Le azioni a carico della Commissione Europea in gran parte sono già state realizzate e sono in corso soprattutto attività di monitoraggio.

In particolare, si tratta di

  • Misure rivolte a facilitare l’uso di standard ICT;
  • Regole-linee guida per la divulgazione ex-ante;
  • Linee Guida per correlare standardizzazione ICT e procurement pubblico;
  • Strategia di interoperabilità europea e framework di interoperabilità, con la realizzazione di un’architettura per l’interoperabilità tra Paesi e l’identificazione delle soluzioni esistenti interoperabili (servizi, sistemi, component software, asset di interoperabilità semantici, organizzativi e legali) e con una mappatura cartografica e un “repository federato”, per incentivare il riuso di soluzioni interoperabili tra le pubbliche amministrazioni dei diversi Paesi;
  • Modelli di licenze per informazioni di interoperabilità su prodotti e servizi digitali.

Il tema è stato pertanto affrontato prevalentemente da un punto di vista normativo, ma in particolar modo nel 2013 l’attenzione si è spostata su modelli e linee guida, e quindi sulle ultime due azioni, oltre che sul monitoraggio sulle applicazioni pratiche:

  • Modelli di licenze per l’interoperabilità e linee guida per stimare il valore dell’informazione interoperabile;
  • linee guida per le pubbliche amministrazioni rivolte a facilitare l’uso degli standard in modo da evitare i pericoli del “lock-in”, dando indicazioni in merito al legame tra standardizzazione ICT e appalti pubblici, accompagnate da attività di condivisione e scambio di buone pratiche.

Il monitoraggio delle azioni a carico dei Paesi Membri solo parzialmente può essere basato sul sito web specifico per l’implementazione dell’Agenda Digitale Europea, chiaramente non gestito e basato sui contributi volontari dei diversi Paesi e quindi con dati che appaiono non aggiornati.

Questo è però l’unico sito web che riporta il Dashboard delle azioni dell’Agenda Digitale Europea e quindi non può che essere il principale punto di riferimento per la valutazione dello stato di avanzamento.

Le azioni a carico dei Paesi Membri sono relativi a

  • (azione 26) Implementazione di un Framework di Interoperabilità europeo a livello nazionale, quindi un sistema in grado di soddisfare i punti fissati dalla strategia europea di interoperabilità;
  • (azione 27) Implementazione delle dichiarazioni di Malmo e di Granada, e quindi applicazioni di standard open, con il monitoraggio del National Interoperability Framework Observatory.

Su questo fronte le azioni sembrano ancora pienamente in corso, con diversi Paesi ancora inadempienti.

In particolare, se si analizzano i Paesi “inadempienti” (la scadenza era fissata al 2013), sembra strano trovare Paesi chiaramente avanti su tutti i parametri dello Scoreboard dell’Agenda Digitale Europea.

Sull’azione 26 troviamo infatti un colore Rosso o Grigio (quindi non soddisfacente) anche da parte di Paesi come Danimarca, Germania, Finlandia, Francia, Norvegia, Lituania e sull’azione 27 Paesi come Belgio, Germania, Islanda. L’Italia, insieme a pochi altri Paesi come Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito, è tra I Paesi virtuosi.

Come si spiega la presenza di Paesi avanzati digitalmente tra quelli non virtuosi?

Per l’azione 26 la spiegazione è formulabile da due diversi punti di vista:

  • l’adesione agli standard europei di interoperabilità non è vista fin qui come elemento prioritario ma come accessorio. Come elemento che sarà preso in considerazione, ma in un momento successivo, quando sarà più evidente il beneficio;
  • l’attenzione al monitoraggio svolto sull’Agenda Digitale Europea è molto inferiore a quello che ci si attenderebbe. Diversi Paesi forniscono informazioni incomplete, o qualche volta non le forniscono affatto (vedi il caso della Francia).

Discorso differente per l’azione 27, rispetto alla quale la quasi totalità dei Paesi sta adottando delle policy (anche a livello legislativo) per incoraggiare standard open e interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni, mentre alla domanda “sull’uso dell’open source”, che risulta abbastanza generica da permettere interpretazioni differenziate, ecco che i riscontri dei Paesi sono poco raffrontabili. Si va dagli esempi di utilizzo indicati dal Regno Unito e dalla Spagna (che presentano specifici casi di siti governativi) all’approccio più di sistema di Germania e Danimarca (con dei centri di competenza dedicati all’open source), alla dichiarazione quasi di rilevazione statistica della Francia, per cui l’open source è utilizzato prevalentemente sul fronte dell’automazione d’ufficio e meno per la gestione delle infrastrutture. A domanda generica, appunto, risposte diverse. Ma tutte affermative. E viene da pensare: ma a che serve una misurazione di avanzamento così fatta?

Anche perché, nello specifico dell’uso del software open source, è evidente che il tema non può essere legato alla presenza di qualche caso di esempio (difficile che qualche Paese oggi non possa presentarne uno). Piuttosto, alla presenza di una politica di sistema che coinvolga non solo la pubblica amministrazione centrale, ma anche quella locale e che per questa via possa essere da stimolo per tutti gli operatori.

Quest’ottica è la stessa che, d’altra parte, si applica sulle politiche per gli standard di interoperabilità, in cui l’obiettivo da perseguire è quello, estremamente concreto, di passare da una gestione segmentata e per silos ad una gestione a rete e basata sulla condivisione, in cui è naturale che i servizi possano interagire tra loro in modo sempre più aperto. La condivisione di servizi non può che basarsi sul concetto di “open services” e questi non possono che basarsi su standard di interoperabilità. Presenti e riconosciuti a livello europeo prima di tutto nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, ma come primo passo per un cambio di politica più generale a livello europeo.

Posizione dell’Italia e riflessioni conclusive

La situazione dell’Italia su questo pilastro è un po’ particolare. Infatti, dal Dashboard generale risulta tra i Paesi che ha pienamente soddisfatto le azioni a carico dei Paesi Membri e in più:

  • rispetto agli aspetti legislativi (CAD, Decreto Crescita 2.0) è pienamente rispondente agli indirizzi europei;
  • il Sistema Pubblico di Connettività – Cooperazione Applicativa (SPC) è certamente uno degli esempi europei di Framework Nazionale di interoperabilità delle pubbliche amministrazioni, progettato sin dall’inizio in quest’ottica;
  • il software open source è pienamente sostenuto dall’attuale legislazione italiana (per ultima, la circolare dell’Agenzia per l’Italia Digitale sulla valutazione comparativa), fino ad essere considerato scelta preferenziale.

D’altro canto, diverse aree meritano attenzione e interventi:

  • il CAD non è ancora attuato in tutte le sue parti (sia per la mancanza di decreti attuativi, sia per la mancanza di sanzioni sull’attuazione);
  • il SPC è in corso di implementazione, soprattutto per la parte legata alle amministrazioni periferiche e l’interoperabilità è ancora in gran parte un obiettivo da raggiungere;
  • le amministrazioni locali sono molto arretrate rispetto all’infrastruttura complessiva, tanto che il rapporto Assinform 2013 sull’ICT nelle PA riscontrava in quest’area “uno scarso grado di interoperabilità tra i sistemi degli enti della PAL, che rilevano ancora un basso grado di adesione al Servizio Pubblico di Connettività, e tra questi e quelli della PAC; un’elevata frammentazione dei sistemi informativi all’interno delle stesse amministrazioni regionali e centrali, dove permane una logica basata su silos non integrati tra di loro e conseguenti inefficienze e sprechi di risorse.”
  • l’utilizzo del software open source è ancora a macchia di leopardo (e l’osservatorio CNIPA citato nel rapporto italiano come punto di forza non è più attivo). Nella PA centrale, sempre in base al rapporto Assinform 2013, si è incrementato “all’interno degli Enti, nell’ottica di razionalizzazione dei costi, con una diffusione maggiore in ambito infrastrutturale e middleware (Sistemi Operativi Server e di Rete). Più limitato il ricorso dell’Open Source nelle aree della Posta elettronica, dell’Office Automation, dei Database e delle soluzioni di Security.” Con percentuali molto basse soprattutto in ambito di enti locali proprio sull’Office Automation (30% secondo i dati Netics) dove il vantaggio economico potrebbe essere più alto e il rischio molto ridotto (vedi ad esempio il recente studio su una media città dei Paesi Bassi dove il risparmio sul fronte Office Automation con uso di software Open Source si aggira sul 92%). Inoltre, la diffusione del software Open Source sembra soprattutto dipendente dalla spinta dei tecnici (“i politici facessero la loro parte non lasciando solo ai tecnici decisioni in tal senso” ribadisce Flavia Marzano, esperta di Open Source).

Lo stato di avanzamento dell’Agenda Digitale Europea sul tema dell’interoperabilità riflette questo approccio, con una focalizzazione prioritaria sul livello normativo e un’attenzione più blanda sugli aspetti di implementazione e di monitoraggio delle misure definite. Da qui deriva un quadro che via via si compone a livello legislativo e si sfuma, fino a perderne i contorni, sul lato attuativo. Fino a chiedersi qual è l’obiettivo concreto europeo che ci si propone di raggiungere sull’interoperabilità dei servizi delle amministrazioni pubbliche (in termini ad esempio di diffusione, di qualità), come si pensa di misurarlo, monitorarlo. E non trovare risposta.

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