Strategie digitali Stato-Regioni alla prova dei fatti

Serve un quadro di operatività che fornisca garanzie alle Regioni: che investimenti locali troveranno valorizzazione nazionale o interregionale. E che regole e norme nazionali non metteranno in discussione scelte tecnologiche o procedurali.

Pubblicato il 13 Gen 2015

Dimitri Tartari

Coordinatore tecnico Commissione Agenda Digitale Conferenza delle Regioni e Province Autonome

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Il problema dell’integrazione tra strategie nazionali e regionali non è irrilevante. Teoricamente ma anche praticamente le strategie regionali e quella nazionale possono trovare punto di sintesi politica e operativa nell’ambito degli organi preposti a tale funzione.

Anche le strategie sul digitale devono diventare oggetto di strutture di coordinamento e confronto tra Regioni, tra Regioni e Governo e tra questi e le Autonomie Locali.

La programmazione dei fondi strutturali è un primo elemento di garanzia di coerenza tra azione locale e strategia nazionale, ovviamente non essendoci un vero PON sul tema Agenda Digitale, Crescita Digitale e/o Banda Ultra Larga, l’integrazione è demandata ad azioni di soft governance che saranno molto impegnative e che dovranno prevedere luoghi di concertazione e condivisione delle scelte e delle forme attuative, diversamente sarà molto complesso e difficile garantire coerenza ed allineamento strategico.

A questo fine le Regioni nel mese di novembre e nei primi giorni di dicembre hanno proceduto in sede di Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome a costituire un tavolo di coordinamento sul tema Agenda Digitale (con l’obiettivo di approdare a gennaio alla costituzione di una vera e propria commissione dedicata). Questo passo segue la logica di cercare coerenza tra le azioni delle Regioni ma anche proporre un metodo e sollecitare il Governo a fare lo stesso mettendo in piedi una forma riconoscibile e chiara di coordinamento tra le azioni “digitali” delle varie strutture ministeriali/nazionali.

Auspicabilmente dovremmo poter contare su 21 Agende locali (considerate le due provincie autonome di Trento e Bolzano), cosa peraltro non ancora veritiera, e già qualcuno pone dubbi sulla frammentazione dei progetti causata da questioni quali la mancanza di standard e di interoperabilità e la duplicazione delle iniziative.

Standard e interoperabilità esistono, non sono e non possono essere alibi. Le Regioni collaborano già da anni a progetti co-progettati e co-gestiti, le pratiche del riuso o condivisione sono oggi frequenti e consolidate. Non sono fattori tecnici che limitano la possibilitò di fare sistema o aumentano la frammentazione. Serve però un quadro di operatività che fornisca garanzie alle Regioni. Queste devono poter contare sul fatto che investimenti locali troveranno valorizzazione nazionale o interregionale e che regole e norme nazionali non metteranno in discussione scelte tecnologiche o procedurali.

Allo stesso modo va chiarito il ruolo e il valore che riconosciamo come sistema pubblico alle in-house regionali, quelle con i conti a posto, e su cui va deciso una volta per tutte. Priorità deve essere arrivare alla realizzazione dei servizi e a rispondere alle esigenze di cittadini ed imprese, se lo si può fare meglio con le in-house serve creare le condizioni normative per agevolare tale processo, diversamente forse sarà il caso di chiarire che le strade devono essere altre.

Ultimo ma non ultimo il tema sempre attuale dell’Italia Digitale a macchia di leopardo e il rischio sempre presente di non fare nulla per non acuire le diversità e ampliare le macchie. I fondi strutturali oggi a disposizione delle Regioni e quelli previsti nei PON Governance e Città Metropolitane, l’Agenzia per l’Italia Digitale (se operativa), le varie cabine e comitati, una produzione normativa morigerata e chiara possono rendere fattibile uno sviluppo che non sia a macchia di leopardo. Chiaramente molto dipende dai livelli di governo nazionale e regionale. Se quindi lo sviluppo “omogeneo” è prospettabile e quindi le macchi e di leopardo evitabili, diverso è immaginare da subito un’Italia ad una velocità sola, questo non corrisponde alla realtà e nemmeno all’efficienza del sistema complessivo.

Serve che le Regioni che sono ad uno stadio più avanzato di sviluppo e dotazione siano messe nelle condizioni di condividere soluzioni e tecnologie, oltre che modelli organizzativi, al fine di accelerare la crescita e lo sviluppo delle altre. Su questo un ruolo cardine lo gioca il livello nazionale che deve fungere da “certificatore” e “valutatore”, crenado le regole di funzionamento di un processo di cooperazione interregionale e ove necessario intervenendo come co-finanziatore. In questo modo si potrà pensare di arrivare a livelli minimi omeogenei sul territorio nazionale in prospettiva 2020.

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