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Tartari: “Piano triennale sfida possibile, grazie alle Regioni”

Il lavoro congiunto di Agid e Team Digitale ha portato a un buon risultato, ma non può ritenersi un punto di arrivo. A tutto il sistema pubblico il compito di contribuire a rendere la sfida possibile, con il ruolo di cinghia degli aggregatori locali

Pubblicato il 31 Mag 2017

Dimitri Tartari

Coordinatore tecnico Commissione Agenda Digitale Conferenza delle Regioni e Province Autonome

agendadigitale

Cercando di essere sintetico e diretto provo ad esprimere il mio punto di vista sul Piano Triennale ICT della PA, evitando un approccio troppo “cerchiobottista” che renderebbe questo contributo uno dei tanti in cui si plaude all’azione nazionale sollevando qualche timida perplessità.

Al sistema Paese serve un piano nazionale di sviluppo del “digitale”, nel 2014 abbiamo visto la definizione di un piano di Crescita Digitale e di uno per la Banda Ultra Larga. Il primo oggi trova, finalmente, una prima definizione attuativa nel Piano Triennale ICT della PA che è un buon punto di partenza in quanto, diversamente dal passato, tende a proporre approcci anche nuovi e comunque al passo con le evoluzioni della tecnologia e delle esperienze sin qui maturate. In molti casi è stato tenuto conto dei fallimenti del passato che avevano creato “mostri sacri ed imbattibili” per definizione privi di risultati concreti e sostanziali per cittadinanza e società in genere.

L’apporto del Team Digitale, che in senso positivo ha un poco scompigliato le carte in tavola, e un’Agid che mette più in discussione il passato e si mette più in discussione rispetto al passato, sono un ottimo punto di partenza ma non possono ritenersi il punto di arrivo che ancora è lontano e che necessita di una struttura organizzativa più articolata e ampia, oltre che livelli di confronto e condivisione delle decisioni più ampi e strutturati. Su questo si potrebbe dire che serve una “cinghia di trasmissione” tra livello nazionale e territorio e che questa cinghia è rappresentata dalle Regioni. Serve davvero un “link” ed un vero e proprio “coordinamento” delle azioni a livello locale e credo che tale compito potrebbe essere svolto a livello istituzionale dalle Regioni ma forse, in alcuni casi, anche da altri soggetti. Il mio pensiero è che se si vuole produrre risultati nel breve periodo, e credo sia nell’interesse di tutti, ci si deve necessariamente confrontare con l’esistente e con quello che è fattibile. Credo quindi che si debba immaginare una organizzazione “a tendere”, che fa perno sui livelli istituzionali e quindi anche e soprattutto sulle Regioni, ed una “di transizione” quest’ultima molto operativa e concreta, quasi una fotografia dell’esistente (e quindi di quello che già funziona oggi).

Le Regioni, come descritto dal rapporto dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico, sono già impegnate nell’attuazione delle proprie politiche di sviluppo “digitale” in parte incluse nei Piani Operativi Regionali (che utilizzando fondi FESR e FSE attuano quella che è definita la strategia di specializzazione intelligente), in parte nelle Agende Digitali regionali (policy dedicate al tema che in alcuni casi possono contare su risorse dirette delle Regioni ma che in molti casi utilizzano sempre fonti POR) e altre policy settoriali di tipo più verticale. Gli enti territoriali (Città Metropolitane, Comuni, Unioni di Comuni, ecc…) sono impegnati nell’attuazione delle politiche connesse ai PON Metro, ai PON Scuola, ai fondi e finanziamenti per le Periferie, alle risorse destinate alle aree interne, ecc… E’ quindi evidente che il Piano triennale ICT della PA si inserisce in un contesto che non è statico ma fortemente dinamico e che è in piena fase attuativa, un aspetto questo che influenza in modo significativo il livello di sinergia attivabile tra di esso e progetti ed azioni in essere (per le quali il territorio ha preso impegni con livelli nazionali ed europei su tempi e modi di spesa). Questo è un primo punto di attenzione e di criticità che non deve essere sottovalutato o derubricato ad una aspettativa di “adeguamento” dell’esistente al nuovo Piano.

Ultimo ma non ultimo è il tema delle priorità, il Piano è ampio, completo nella trattazione dei temi rilevanti, ma proprio l’elevato numero di azioni in esso previste, la contemporaneità di tali interventi e la ridotta o limitata copertura economica legata alla loro attuazione porta all’estrema necessità di fissare delle priorità esplicite (quello che è da fare prima e che non è negoziabile e quello che può essere fatto dopo – quindi in ritardo). E’ chiaro che messa in questo modo pare una resa alla incapacità della Pubblica Amministrazione ma così non è, il combinato disposto di ridotte risorse disponibili (intendo nella disponibilità della PA locale) e di un elevato numero di azioni e adeguamenti porta inevitabilmente a questo scenario. Per questo le priorità sono necessarie come pure una revisione costante del Piano che deve adeguarsi alla capacità di attuazione e alle risorse presenti (e future – auspicabilmente nuove e ulteriori).

Il Piano è quindi di difficile ma possibile realizzazione, una sfida che a tratti potrebbe anche risultare molto divertente. Credo sia compito e responsabilità di tutto il sistema pubblico dare il miglior contributo possibile.

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