Una volta stabilito che è iniziata la Rivoluzione Digitale (qualcuno parla anche di Rinascimento, sempre digitale), il naturale e conseguente step è la Digital Transformation, DT per gli addetti ai lavori. Ormai si tende ad utilizzare, per definire tout court il processo in corso, la sigla che inizialmente era stata coniata per il Settore Industriale: Industria 4.0. Ovvero la quarta rivoluzione industriale dopo: vapore, elettricità, l’automatizzazione informatica e finalmente il digitale. Da questa sigla contenitore partono tutta una serie di definizioni per specifiche attività e/o settori applicativi: Smart City, IoT, Internet of Things, BYOD, Bring Your Own Device, Agile/Smart Working e chissà quante altre ne seguiranno.
Detto questo, mentre il “digitale” iniziava a permeare il mondo di bits & bytes, un altro Settore assurgeva agli onori della cronaca, in termini decisamente positivi bisogna dire, ovvero il Terzo Settore, familiarmente conosciuto come “Volontariato”. Così d’acchito ed anche per ragioni storiche, potrebbero sembrare due mondi alquanto diversi, decisamente separati e quindi senza aver molto da dirsi reciprocamente.
La nuova vita del Terzo settore
A dire il vero, il Terzo settore è sempre esistito, ma sino a poco tempo fa si trattava di un’esistenza ai margini e con un basso profilo rispetto agli altri due Settori di maggior peso ed importanza: il Pubblico ed il Privato. La crisi economica, congiuntamente alla crisi di valori di inizio millennio, ha fatto sì che il Terzo Settore abbia acquisito una dimensione e un’importanza che prima di allora non aveva mai neanche immaginato di poter avere. E mentre i parametri delle aziende andavano pericolosamente in rosso, quelli del Terzo Settore erano decisamente in controtendenza. Veniva così scoperta una certa complementarietà, oltre all’importanza della sussidiarietà, e questa volta dal basso verso l’alto. Si è anche capito come e perché il Terzo Settore resisteva ai colpi e contraccolpi della crisi.
E questo ha destato l’interesse della classe politica, nonché del mondo cosiddetto “Profit”. Prova ne è che finalmente si è riusciti a portare in porto la legge di riforma del Terzo Settore, invocata da più parti e da diversi anni. E nel contempo nel mondo Profit, si è iniziato a parlare di RSI, Responsabilità Sociale d’Impresa o, all’Inglese, di CSR, Corporate Social Responsibility.
Tutto ciò ha dato inizio anche a modelli di sviluppo diversi, come l’Azienda Sociale o le Società Benefit, che fanno intravedere iniziative diverse e interessanti.
Le tematiche e le problematiche
Ne conseguono processi di comprensione, approfondimento e pianificazione che, matematicamente parlando e semplificando alquanto, possiamo definire a due dimensioni: culturale e digitale.
Chi scrive, dopo 30 anni da manager internazionale come provider di servizi digitali, ha passato gli ultimi 14 in quel mondo, decisamente variegato, che è il Terzo Settore, in particolare in quella parte denominata OdV, Organizzazione di Volontariato. Ovvero quelle associazioni di media e piccola dimensione, da tempo radicate sul territorio, che conoscono le necessità ed i bisogni, sia macro che micro, soprattutto delle frange deboli e/o dell’umanità emarginata: quell’umanità sempre più bisognosa di maggior assistenza. La speranza di risposte adeguate alle domande poste dai suddetti bisogni si basa su soluzioni che faranno uso del digitale per rendere il tutto possibile e sostenibile. Operativamente ed economicamente. Non si intravedono altri tipi di soluzioni.
Un esempio per tutti: telemedicina, teleassistenza, telecontrollo, per permettere una domiciliarità quanto più estesa e continuativa, limitando ai casi estremi gli interventi d’ospedalizzazione e/o ricovero. Si può parlare a questo punto di Smart City?
Quindi il tema di base diviene far sì che le OdV non perdano il treno della DT in quanto, se rimanessero a terra, informazioni, conoscenze e risorse fondamentali per trovare soluzioni che rispondano alle necessità del territorio, andrebbero perse.
Una proposta
Al momento la tematica è principalmente di carattere culturale, direi di gap cultural/operativo. Il mondo Profit parla in termini di obiettivi, di metodo, di numeri, di budget. Dall’altra parte, bisogna chiedere come il mondo Non Profit produce e misura l’attività che svolge; come si possono scambiare i dati e che livello di interoperabilità sia possibile. Conoscere bene quale siano le risorse, sia economiche sia strumentali, che il Non Profit ha a disposizione, per capire quelle che necessitano per impostare un rapporto significativamente efficace ed efficiente! Bisogna sviluppare un’interlocuzione finalizzata che crei una piattaforma, non propriamente digitale, bensì di comunicazione e di condivisione degli obiettivi e del modus operandi.
In altri termini fare proposte per innescare un percorso virtuoso per fare rete e sistema. Per far questo, il Terzo Settore necessita di tutoraggio, di essere incluso, aiutato a conoscere la DT a livello culturale, in primis, e poi deve essere messo in condizione di farla propria nell’attività che svolge sul territorio.
Si potrebbe partire da quei Comuni che hanno già un Assessorato alla DT e/o alla Smart City. Assessorati che, nei loro piani di digitalizzazione della macchina comunale, potrebbero iniziare ad includere anche le Associazioni di Volontariato che collaborano ed operano col Comune stesso. E questo potrebbe aiutare a far superare alle OdV quelle barriere nonché resistenze psicologiche che al momento le caratterizzano alquanto, e non proprio positivamente.
Bisognerebbe iniziare.