Dopo oltre un anno dall’avvio dell’Agenda digitale in Italia, introdotta a fine 2012 dal Decreto Crescita 2.0. possiamo valutare che i passi in avanti fatti per la costruzione di un ecosistema dell’innovazione digitale hanno riguardato per lo più la dimensione normativa e quella della governance, fattori entrambi molto importanti, ma ancora da completare.
Mancano invece progressi significativi sul piano attuativo, in particolare per quanto riguarda la digitalizzazione della Pa, che, nei fatti, stenta molto a decollare.
Se nel Forum di Confindustria Digitale dell’ottobre scorso il Presidente del Consiglio Enrico Letta aveva dimostrato chiara consapevolezza dell’importanza di accelerare in questa direzione, giungendo ad affermare che “l’Agenda digitale è la riforma della Stato”, già suffragata dal forte impulso dato con la nomina a commissario di Francesco Caio e il coordinamento messo sotto la responsabilità politica di Palazzo Chigi, nei mesi successivi, tuttavia, sono emersi segnali contrastanti. Non solo si è evidenziata una forte criticità su tempi e modalità di attuazione dei progetti prioritari individuati dallo stesso Caio, ma una serie di iniziative – dalla web tax, alle proposte di aumento dell’equo compenso per la copia privata, all’esclusione dei libri digitali dalle detrazioni fiscali previsti invece per i libri cartacei – sono apparse addirittura remare contro. A ciò si aggiunga l’impantanamento sulle scrivanie ministeriali di norme molto importanti per lo sviluppo delle Ngn fisse e mobili come il regolamento scavi, emesso ma con un articolo che ne vanifica l’impatto positivo, e quella sulle linee guida sui nuovi metodi di rilevazione delle emissioni elettromagnetiche, per avere l’immagine di un quadro ancora confuso e farraginoso.
Il processo di digitalizzazione, per le caratteristiche di trasversalità e capacità di interconnessione, richiede politiche coerenti in tutti i settori, specie nella Pa che deve riuscire a marciare tutta nella stessa direzione. Il rischio, altrimenti, è che prevalgano le molte resistenze che si frappongono al cambiamento digitale imponendo una visione che si consuma nel day by day, invece che ispirarsi a una strategia di ampio respiro necessaria per modernizzare il Paese. La coerenza delle scelte e il rispetto di una tabella di marcia valida per tutti si ottengono solo grazie a una governance che abbia piena autorità politica, tanto più in un contesto difficile come quello italiano, dettato dal moltiplicarsi delle competenze e dei centri decisionali. Autorità che, evidentemente, in materia di Agenda digitale, non è riuscita ancora a consolidarsi nonostante gli sforzi dei singoli protagonisti.
Va sottolineato che questo clima condiziona fortemente anche il comportamento dell’industria dell’Ict: per le imprese, infatti, è estremamente rischioso allocare risorse verso progetti che hanno ancora un tale grado di incertezza. Eppure tutti noi siamo consapevoli che l’istaurarsi di partnership importanti tra il settore pubblico e l’industria dell’Ict, dalle fasi precompetitive alle forme attuative del project financing , costituisce un tassello essenziale a sostegno della crescita dell’economia digitale.
Per uscire dall’impasse il Governo non può più prescindere dall’acquisire una visione d’insieme e unitaria del processo di digitalizzazione della Pa. E’ indispensabile, per questo, definire un quadro di riferimento dell’informatica pubblica di medio-lungo periodo, in cui siano chiariti i criteri di scelta delle tecnologie, gli standard, i tempi, le modalità di acquisto e di partnership con il mondo privato. Bisogna assicurare l’armonizzazione dei progetti di aggiornamento ed evoluzione delle infrastrutture IT delle diverse amministrazioni centrali e locali, avendo come focus il raggiungimento della piena interoperabilità delle architetture che gestiscono dati e informazioni.
La definizione di questo quadro di riferimento è assolutamente prioritaria sia nell’ottica della Pa, che altrimenti non potrebbe avviare alcun efficace ed efficiente progetto di digitalizzazione dei propri processi in una logica end-to-end, sia nell’ottica del mercato. Una domanda pubblica d’innovazione digitale che si presentasse, infatti, come un sistema trasparente e unitario, capace di comunicare con chiarezza logiche e obiettivi verso cui si muoverà nel medio lungo periodo, consentirebbe alle imprese dell’Ict di disporre di un importante strumento per pianificare i propri investimenti e qualificare la propria offerta in virtù delle nuove esigenze. Ai grandi gruppi nazionali e multinazionali si aprirebbe una finestra per valutare se aprire o riportare in Italia centri e attività di ricerca e sviluppo e per proporre le best practices già attuate all’estero. Per le piccole imprese, che costituiscono la stragrande maggioranza del settore It italiano, potrebbe rappresentare un’importante occasione di crescita competitiva e dimensionale, spingendole a cercare nuove sinergie e nuove alleanze che gli consentano salti di qualità nell’offerta di servizi It, all’altezza delle trasformazioni verso cui si indirizza la Pa.
Il passaggio dall’attuale assetto dispersivo e frammentario, a quello di sistema strutturale strategico per la modernizzazione e messa in efficienza della Pa, è cruciale per trasformare la domanda pubblica di tecnologie digitali in un formidabile driver di innovazione e crescita in Italia. E il 2014 potrebbe essere l’anno giusto per spingere in questa direzione e recuperare i ritardi accumulati rispetto ai target europei.