Premessa doverosa: questo pezzo è stato scritto nel primo pomeriggio del 20 giugno. Avendo davanti quella che, al momento, risulta essere la versione definitiva del “Decreto del Fare” e con l’obiettivo di commentarne le luci e le ombre. Limitandoci ovviamente al “Capo II” (“misure per il potenziamento dell’Agenda Digitale italiana”).
Proviamo a ripercorrere l’articolato, tenendo a fianco le versioni intermedie del testo girate negli ultimi tre giorni.
Articolo 13: la governance dell’Agenda Digitale
Il modello di governance rimane sostanzialmente immutato: la cabina di regia viene integrata con la presenza di un Presidente di Regione e di un Sindaco, entrambi designati dalla Conferenza Unificata.
Complessivamente, permane la sensazione di disorientamento nei confronti di un modello forse eccessivamente “frastagliato”: cabine, tavoli, integrazioni “dei Ministri di volta in volta interessati”.
La sensazione è che sia molto ben chiara la composizione del “cast”, ma non si capisce chi sia il “regista” e – soprattutto – chi abbia l’ultima parola. Il rischio è che il “film”, per restare nella metafora della regia, possa risultare eccessivamente pasticciato.
La speranza è che il “Mister Agenda Digitale” (Francesco Caio) e il Direttore dell’AGID (Agostino Ragosa) riescano a trovare la quadratura di un cerchio dai contorni ancora non troppo ben definiti.
Interessante il “tavolo permanente” con funzioni consultive: l’auspicio è che esso riesca a diventare il luogo delle istanze ma, soprattutto, della definizione di una vision a tendere sull’agenda digitale del Paese.
Articolo 14: domicilio digitale
Ferme restando le perplessità rispetto ai tempi di introduzione del “documento unificato”, come si è già avuto modo di rilevare nei mesi scorsi, l’idea è ottima e può – finalmente – far decollare la PEC come strumento di comunicazione tra cittadino e PA.
Ci si aspetta, magari in sede di emanazione del decreto del Ministro dell’Interno col quale verranno fissate le modalità di rilascio del domicilio, che venga prevista la possibilità di effettuare domiciliazioni “presso terzi” nei casi in cui questo sia opportuno (ad esempio, dando al medico di medicina generale la possibilità di ricevere referti, oppure al legale di ricevere atti e comunicazioni in merito a cause civili o penali).
Articolo 16: razionalizzazione dei CED
Finalmente, si inizia a vedere “la sostanza”. Dovranno essere individuati i livelli minimi di sostenibilità (in termini di sicurezza, potenza di calcolo ed efficienza energetica) dei data center della PA e della Sanità, nonché le modalità di consolidamento e razionalizzazione degli stessi.
Da qui può partire una “vera” operazione di consolidamento dell’infrastruttura IT pubblica, oggi eccessivamente frammentata e “costosa”.
Sicuramente alcune grandi società pubbliche IT (nazionali e regionali) giocheranno un ruolo determinante proponendosi come “cloud service provider” per enti della PA e della sanità, anche se – nel caso delle ICT “in-house” regionali – rimangono ancora da sciogliere alcuni nodi normativi a partire dalle limitazioni introdotte con la “Legge Bersani” del 2006.
L’importante è che questi “data center pubblici” non prevarichino il mercato ma – al contrario – riescano addirittura a favorirlo creando modelli di business aperti a fornitori privati seguendo il modello statunitense di “Apps.gov”, diventato oggi uno dei principali catalizzatori dell’innovazione tecnologica e della “migration to cloud”.
Articolo 17: Fascicolo Sanitario Elettronico
Le modifiche all’art. 12 del CAD vanno nella direzione di accelerare la piena introduzione del FSE in tutte le regioni italiane, introducendo la possibilità di accesso ad una “infrastruttura centrale” fruibile in modalità cloud e istanziata presso SOGEI.
Viene introdotto il principio della valutazione dei progetti regionali di FSE, affidata all’AGID e al Ministero della Salute. Le regioni avranno tempo fino al 31 dicembre 2013 per redigere e presentare all’AGID i propri progetti, che saranno valutati e approvati entro il 28 febbraio 2014.
Muoiono, inevitabilmente, i fascicoli sanitari elettronici delle singole ASL e/o aziende ospedaliere.
Le risorse assegnate all’AGID per il finanziamento dell’infrastruttura centrale di FSE (10 milioni di Euro per il 2014 e 5 milioni annui a partire dal 2015) sembrano presagire un (giusto e doveroso) ricorso al “riuso” di componenti mutuate dai “migliori” FSE regionali.
Aldilà della norma, è necessario che l’AGID e il Ministero della Salute si concentrino sul tema del “come rendere sexy il fascicolo sanitario elettronico”. Anche nelle regioni considerate “leader” (Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana) l’esperienza ci insegna che “la piattaforma non è tutto”: è fondamentale che i medici di medicina generale diventino veri e propri “evangelisti” nei confronti dei loro pazienti, anche attraverso incentivi economici come avviene in tutti i Paesi dove il FSE è una realtà compiuta. Occorre, inoltre, generare valore per il cittadino/assistito, consentendo lo sviluppo di modelli di business a fronte dei quali possano essere resi disponibili servizi “premium” (a pagamento) generando ricavi da destinare a parziale copertura dei costi di un’infrastruttura che – a tendere – diventerà “gigantesca”.
Stanno già lavorando in questo senso, secondo quanto risulta a Netics, alcune aziende interessate a sviluppare servizi di sanità elettronica a pagamento. Un mercato che potrebbe generare ricavi per alcune decine di milioni di euro all’anno.
L’articolo che non c’è
Rispetto alle precedenti versioni del decreto, risulta “disperso” l’articolo che introduceva l’anagrafe nazionale degli assistiti in sostituzione delle centinaia di anagrafi “locali” (in qualche caso, regionali) assolutamente disallineate tra loro.
Probabile che la “sparizione” sia dovuta a qualche incomprensione tra dirigenti ministeriali, ennesima dimostrazione del problema rappresentato dalla irresistibile tentazione di governare il dato avendolo nel server sotto la scrivania. E si ritorna al tema principale: il commitment. La forza con la quale si impone un modello (il Cloud), con buona pace dei solerti difensori del bit a chilometri zero.
Ci si augura che “l’articolo disperso” venga riesumato in sede di conversione in legge, anche perché si tratta di una misura immediatamente realizzabile e i cui ritorni economici (derivanti anche dall’allineamento in tempo reale dei dati relativi alla consistenza del “parco assistiti” in capo a ciascun medico di medicina generale) consentono all’iniziativa di “ripagarsi da sola”.
Alle commissioni parlamentari e all’aula il compito di riconsiderare il tutto, mettendo “una pezza” a un evidente errore commesso.
In conclusione, non possiamo che restare fiduciosamente a guardare.
Sperando che il grande nodo irrisolto rispetto alla governance dell’Agenda venga definitivamente risolto e che il gossip lasci spazio al fare. “Fare”, appunto.