Leggendo il Piano Destinazione Italia, su cui dal 9 ottobre si è aperta la consultazione online si ha l’impressione che la visione del futuro che si vuole realizzare sia ancora fortemente ancorata alla situazione attuale. Non c’è l’idea che i talenti italiani possano diventare sempre più attraenti quanto più progredisce la politica del digitale. Il digitale è marginale, presente su alcuni aspetti relativi alla pubblica amministrazione, qualche applicazione al settore del turismo. Non si decifra nemmeno il disegno che si vuole realizzare affinché effettivamente il digitale sia “al servizio della crescita del Paese”, come hanno scritto le Regioni qualche mese fa, che nel loro documento “Contributo delle Regioni per un’Agenda Digitale al servizio della crescita del Paese” partono da qui: “L’Agenda digitale non è un documento programmatico di settore, né solo l’articolazione di un insieme di azioni o interventi, ma è, innanzi tutto, un’idea di futuro, una visione dell’Europa, dell’Italia e delle regioni nell’era digitale”.
Per far questo ci vuole una strategia che interpreti la necessità di innestare interventi di lungo periodo, cambiando il modo in cui si pongono le istituzioni nazionali e locali rispetto allo sviluppo e alla vitalità economica del territorio, svolgendo i molteplici ruoli attivi che oggi possono giocare (cliente evoluto, regolatore illuminato, stimolatore dei servizi per il mercato, acceleratore del cambiamento).
Eppure è su questo tema che si misura la capacità di riuscire ad andare oltre le buone intenzioni e utilizzare appieno le opportunità che oggi si offrono nell’ambito del programma europeo Horizon 2020 oltre che dei fondi strutturali per la programmazione 2014-2020 per lo sviluppo dei nostri territori e delle nostre imprese. Riuscire, in pratica, a disegnare un ecosistema che, sulla base delle competenze e delle potenzialità di ciascun attore identifichi con cura come favorire le interazioni virtuose intorno alle opportunità. Opportunità per lo sviluppo del territorio che si chiamano innanzitutto open data e smart city:
· Open data, perché uno dei principali vettori di sviluppo di servizi sul territorio (nei diversi ambiti del turismo, della sanità, della mobilità, solo per citarne alcuni) può essere rappresentato dalla disponibilità in formato aperto, riutilizzabile, dei dati oggi in possesso delle amministrazioni;
· Smart city, perché la costruzione di programmi integrati per lo sviluppo di un territorio sempre più interconnesso e sensibile, basato sulla partecipazione attiva dei cittadini, consente di creare un volano di crescita in grado di innescare una domanda sempre più crescente di servizi ad alto valore aggiunto. Servizi che sono legati alle tecnologie digitali e basati sulla valorizzazione massima di quelli che anche il Piano Destinazione Italia individua come i “punti di forza” da cui partire.
Per sfruttare queste opportunità occorre che l’amministrazione pubblica sviluppi alcune direttrici finora solo in parte abbozzate, tra le quali:
· costruire reti di sistema a livello territoriale in cui si incrocino le proprie competenze con le competenze ICT delle aziende-in-house, che hanno il ruolo di facilitatrici e braccio operativo delle amministrazioni pubbliche, le competenze delle imprese ICT e dei settori economici specifici, anche sviluppando laboratori operativi (come ad esempio il progetto “Pollicino” nella regione Umbria) e living labs, in una logica di open innovation;
· superare del tutto la logica dell’appalto attribuito solo sulla base del massimo ribasso sui temi dell’innovazione, che è una delle cause della crisi del settore ICT italiano, oltre che della bassa qualità complessiva dei sistemi della Pubblica Amministrazione;
· affiancare alle nuove possibilità di procurement pre-commerciale anche la possibilità di innestare progetti pluriennali, valorizzando le capacità di programmazione e di partnership di medio termine.
Da questo punto di vista diventa sempre più necessario imprimere un’accelerazione nell’ancora lento processo di definizione di una governance e di una organica programmazione su tutte le aree che investono l’Agenda Digitale e che trasversalmente interessano tutti i settori della nostra economia. Trascurare questo tema significa lasciare le amministrazioni da sole nei percorsi di evoluzione digitale che sono inevitabili (sollecitati dallo sviluppo europeo e mondiale, e dalle aziende che operano nel settore ICT) ma che non sono predeterminati. L’assenza di strategia può condurre a utilizzare male le non molte risorse disponibili e a disperdere le energie in numerosi sentieri isolati.
Per questo, adesso che la Cabina di Regia per l’Agenda Digitale sembra poter riprendere il suo cammino, il primo punto rimane quello reclamato dalle Regioni e previsto dal decreto Crescita 2.0 (legge 179/2012): definire la strategia nazionale sul digitale, uscendo dalla logica perenne del breve termine e provando a disegnare un percorso per il digitale nella società italiana.
Senza dimenticare che una strategia efficace richiede la partecipazione attiva di tutti gli stakeholder e che la scelta di escludere la rappresentanza della società civile da tutti i tavoli permanenti e le commissioni di indirizzo, di consultazione e di monitoraggio sull’Agenda Digitale è un grave errore su cui è necessario porre rimedio.
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