il punto

Tutte le storture da correggere per fare l’Italia digitale dal 2017

L’analisi di Alfonso Fuggetta. Digitalizzare la PA Italiana non è facile. Per avere qualche speranza di successo è vitale avere una visione chiara di obiettivi, problemi, vincoli e driver. In caso contrario rischiamo di girare a vuoto e deludere le aspettative dei cittadini e delle imprese

Pubblicato il 21 Nov 2016

Alfonso Fuggetta

professore di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Politecnico di Milano

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Quando si parla di Agenda Digitale spesso si propongono riflessioni, commenti e considerazioni che a mio giudizio non colgono l’essenza delle questioni. Per questo ritengo utile approfondire alcune tematiche importanti (anche se non tutte!), principalmente per quel che concerne il fronte Pubblico dell’Agenda.

Tre premesse:

1. Per studiare fenomeni complessi è vitale osservare le derivate prima e seconda delle variabili chiave che li descrivono e non solo il loro valore assoluto. Non basta valutare “dove siamo”: è vitale capire se le scelte e le opzioni proposte vanno nella direzione giusta (e con la velocità giusta).

2. Nonostante la crisi, la spesa in digitale dei consumatori è cresciuta. Quindi è vero che se ci sono servizi e prodotti attrattivi e utili, le persone li acquistano e usano. Non basta quindi lamentarsi della scarsa domanda: qual è oggi l’offerta? Cosa offriamo ai consumatori? Perché dovrebbero spendere soldi? Stiamo dando loro ciò di cui hanno bisogno?

3. Non serve correre più velocemente, non basta. Bisogna cambiare il modo di correre, cioè dobbiamo innovare, tutti. Cosa propongono i fornitori ICT e i system integrator? Accettano i nuovi modelli tecnologici e di business? Li promuovono o li rallentano? Stanno qualificando e facendo evolvere la loro offerta? Sono disposti loro stessi per primi a cambiare ed innovare, così come richiedono ai propri clienti e utenti?

I servizi pubblici al cittadino non sono un driver per la banda larga

Spesso si sente ripetere il mantra secondo il quale la banda larga in Italia non si sviluppa perché la domanda è debole in quanto mancano servizi utili. Per ovviare a questa debolezza si evoca anche lo sviluppo dei servizi digitali di eGov che costituirebbero un driver importante per sviluppare, per l’appunto, la domanda di connettività.

Non credo sia così.

I servizi pubblici non saranno mai un driver per la banda larga per una serie di motivi:

1. Non richiedono elevate velocità di trasmissione. Sono quasi sempre sistemi transattivi che scambiano poche informazioni di tipo convenzionale e che quindi possono funzionare anche con connessioni tradizionali.

2. Non sono acceduti quotidianamente dai cittadini. O se anche lo fossero, vale la considerazione precedente.

3. Molti dei cosiddetti “servizi al cittadino”, come discusso nel successivo paragrafo, sono in realtà adempimenti richiesti dalle amministrazioni: una vera innovazione li dovrebbe cancellare, non digitalizzare.

Quali sono quindi i “veri” driver per lo sviluppo della banda larga? Ne propongo qui alcuni tra quelli che ritengo prioritari:

Entertainment & Social: la prima fonte di domanda di banda sono i servizi video e di entertainment come Netflix, iTunes, RaiPlay e Sky On Demand, in combinazione con la diffusione dei social network e della crescente multimedialità dei contenuti che su di essi vengono distribuiti.

Imprese e filiere di impresa: le aziende, sia per virtù che per necessità, dovranno sempre più accedere alla rete per interagire con clienti, fornitori, utenti finali. Tali interazioni riguardano sia processi produttivi che servizi evoluti associati ai propri prodotti. Già oggi molte aziende vivono come una forte penalizzazione il non avere connessioni in banda larga adeguate.

“È la somma che fa il totale”: il vero e primo driver che porta a richiedere sempre più banda è la domanda aggregata. Quasi sempre, sia in una abitazione che in una impresa, non è il singolo utente o la singola applicazione (o il singolo device) che “satura” la capacità trasmissiva, quanto la somma delle richieste di tutte le applicazioni/device dei diversi utenti che insistono su quella connessione. “È la somma che fa il totale” diceva il principe De Curtis.

Impazienza: l’accesso ai servizi di rete è ormai entrato nel nostro stile di vita quotidiano e ne vogliamo poter usufruire ovunque e con tempi di risposta veloci. Ciò porta a richiedere connessioni sempre più pervasive e veloci.

La domanda di banda larga non crescerà quindi grazie allo sviluppo dei servizi digitali delle PA. È invece vero che tali servizi non potranno essere sviluppati e usufruiti se PA, cittadini e imprese non saranno interconnessi a Internet.

La banda larga è una condizione abilitante necessaria ancorché non sufficiente: è indispensabile svilupparla perché altrimenti “le altre cose non accadono e non potranno mai accadere”.

Digitalizzare vuol dire migliorare la macchina pubblica

Un altro aspetto critico che a mio giudizio non è discusso a sufficienza è il motivo di fondo che deve guidare gli investimenti in digitalizzazione. Spesso diciamo che tali investimenti devono migliorare e innovare l’interazione tra cittadini e amministrazioni pubbliche. È indubbio che questo sia un tema importante, anche per incrementare fiducia e trasparenza nelle strutture pubbliche. Ma ci sono alcune osservazioni chiave che non possiamo dimenticare:

1. Il vero problema del nostro Paese è una macchina pubblica che al suo interno non funziona bene o come dovrebbe. È solo con un ripensamento complessivo di tale macchina – grazie ed attraverso l’uso delle tecnologie digitali – che sarà possibile rispondere alle attese e alle sfide che il nostro Paese deve affrontare.

2. I servizi digitali al cittadini faranno un salto di qualità se e soltanto se la macchina pubblica verrà ripensata. Non è pensabile mettere un vestito nuovo su un corpo non in forma: o non si riesce a costruire il vestito oppure il vestito non si adatta al corpo e si straccia.

3. Molti dei cosiddetti “servizi digitali al cittadino” sono in realtà adempimenti richiesti dalle amministrazioni o perché hanno problemi al loro interno (per esempio, non sono in grado di scambiarsi informazioni) oppure perché si sono semplicemente resi digitali servizi prima “fisici” e che non avrebbero motivo di esistere in un mondo digitale (vedi il caso del DURC o delle procedure richieste quando nasce un bimbo).

Chiarire questi punti e in generale i veri motivi che guidano la digitalizzazione è vitale per indirizzare azioni e investimenti (e aspettative) nella giusta direzione. Altrimenti, il rischio è di perpetuare sprechi e aspettative deluse.

Cloud, CED e procurement pubblico

Uno dei capitoli principali dell’Agenda Digitale riguarda le infrastrutture materiali e i nuovi servizi di cloud computing. A questo proposito è opportuno fare alcune osservazioni che necessariamente coinvolgono anche le politiche di procurement pubblico:

– Uno dei principali problemi del nostro paese è una domanda pubblica poco qualificata e eccessivamente centrata sugli acquisti a volume e al massimo ribasso. Ciò è comprensibile in un’ottica di riduzione della spesa per prodotti di tipo “commodity”, ma non può applicarsi all’innovazione digitale. Ridursi a pochi grandi contratti aggiudicati al massimo ribasso non fa che deprimere ulteriormente la domanda e il mercato. E certamente non serve alle nostre amministrazioni se non per dire che “abbiamo risparmiato” nell’aggiudicazione della gara.

– Chi definisce le strategie di procurement e digitalizzazione del paese? In questi anni, avendo considerato l’IT una commodity, abbiamo assunto che tali strategie si riducessero al “comprare in modo economico”, lasciando di fatto tali strategie in mano alle centrali acquisti. È uno sbilanciamento che deve essere assolutamente riequilibrato e compensato.

– Il codice degli appalti è stato pensato per acquisire ponti e strade e per combattere la corruzione, ma è inadeguato e anacronistico quando applicato all’acquisizione di servizi IT e soprattutto di innovazione. O si interviene con una qualche differenziazione per tipologia di beni e servizi da acquisire, oppure, come sta accadendo, questo nuovo codice non farà che ulteriormente appesantire e rallentare i processi di innovazione delle nostre PA. È vitale trovare un equilibrio tra bisogno di combattere la corruzione e la velocità e la qualità richieste dai moderni processi di innovazione digitale.

– Il Cloud Computing (e le API) richiede modalità di procurement nuove e diverse in quanto concettualmente agli antipodi rispetto alle gare di appalto tradizionali. Per esempio, cosa significa “comprare una API” pagata a consumo? E cosa significa “base d’asta” nel caso dei servizi cloud che sono stati pensati per scalare verso l’alto in funzione dei bisogni dell’utenza?

– Il processo di sviluppo e consolidamento dei CED sarà possibile solo a fronte ad un consolidamento e una virtualizzazione dei software applicativi utilizzati dalle nostre amministrazioni. Se così non sarà, il tutto si ridurrà ad un puro trasloco di macchine dai sottoscala delle amministrazioni alle sale dei CED, con un quasi sicuro aumento complessivo della spesa.

Ecosistemi: oltre le buzzword

Il tema degli ecosistemi digitali rischia di divenire l’ennesimo esercizio retorico e moda del momento (ne sono ben consapevole io stesso!). In realtà, è un concetto che sta alla base di tutti gli sviluppi sia all’interno delle moderne imprese e amministrazioni, sia nell’interazione tra filiere e community e, più in generale, tra soggetti pubblici e privati. È quindi vitale identificare quei passaggi cruciali per evitare errori e rendere possibile una reale applicazione di un principio così importante.

Le basi di dati delle amministrazioni pubbliche

1. È vitale identificare le basi di dati strategiche del Paese e delle diverse amministrazioni.

2. Tali basi di dati devono essere progressivamente consolidate al fine di eliminare duplicazioni e incoerenze. Ogni amministrazione deve essere owner di dati che costituiscano una “single source of truth” messa a disposizione di tutti gli altri attori del sistema.

3. Le basi di dati devono essere accessibili sia attraverso API che web app. Le API servono per abilitare l’interoperabilità tra sistemi informativi; le web app per offrire servizi di accesso di base agli utenti finali.

Interazione pubblico-privato

Una strategia di sviluppo lungimirante deve prevedere una proficua interazione pubblico-privato, non solo perché il pubblico commissiona sviluppi software alle aziende IT.

In realtà dobbiamo spostare il piano del ragionamento:

– Il pubblico (anche attraverso in propri fornitori) deve concentrarsi sullo sviluppo dei sistemi di backend, dei servizi infrastrutturali di base (vedi SPID e ANPR) e di pochi essenziali servizi di frontend.

– Il privato deve sviluppare i frontend integrando servizi (e API) del pubblico e del privato (per esempio, un cruscotto digitale per le cure sanitarie in famiglia, che integri servizi pubblici e servizi privati).

È questa la vera chiave di volta per accelerare lo sviluppo della digitalizzazione e al tempo stesso stimolare in modo virtuoso la crescita del mercato IT.

Pivot per gli ecosistemi

Gli ecosistemi potranno nascere solo se ci sarà una governance adeguata centrata su “pivot” che aggreghino i diversi soggetti coinvolti sulla base di regole e linee guida comuni. Questo è quello che è accaduto nel caso di E015, il cui pivot è stato nella prima fase la società Expo 2015 e ora la Regione Lombardia, che ne ha esteso l’orizzonte temporale al 2021. Parlare di ecosistemi in assenza di questa visione strategica e di sistema è quanto meno velleitario.

In conclusione

Digitalizzare la PA Italiana non è facile. Per avere qualche speranza di successo è vitale avere una visione chiara di obiettivi, problemi, vincoli e driver. In caso contrario rischiamo di girare a vuoto e deludere le aspettative dei cittadini e delle imprese. Dobbiamo riflettere su questi temi, anche in modo dialetticamente acceso, nella consapevolezza che una chiarezza di visione e strategia è indispensabile per ottenere quei risultati di cui tutti abbiamo assolutamente bisogno.

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