analisi

Tutti gli ostacoli sulla via dell’Industry 4.0

Il pacchetto del Governo è utile e importante soprattutto se si inserisce in una più ampia strategia politica volta ad accompagnare la trasformazione digitale dell’Italia. Sarebbe ingannevole immaginare che le potenzialità positive della digitalizzazione per i cittadini e per l’economia si possano realizzare senza l’aiuto della politica pubblica.

Pubblicato il 28 Ott 2016

Ginevra Bruzzone

Senior Fellow Luiss School of European Political Economy

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Il Piano nazionale Industria 4.0 presentato dal Ministro Calenda e inserito nella legge di bilancio sta attirando l’attenzione sia per l’entità degli investimenti che il Governo si propone di attivare che per la facilità con cui le imprese potranno usufruire degli incentivi.

Vi è un altro aspetto, di natura più generale, che va sottolineato. Questo pacchetto è utile e importante soprattutto se si inserisce in una più ampia strategia politica volta ad accompagnare la trasformazione digitale dell’Italia. Come osservato dallo stesso Calenda in occasione della presentazione pubblica del Rapporto Assonime “Mercato unico digitale: le sfide per la politica pubblica in Italia”, organizzata a Roma qualche giorno fa, la digitalizzazione è un tema intrinsecamente politico.

La tecnologia offre delle opportunità. In tutti i settori economici la digitalizzazione consente di migliorare i processi produttivi e i prodotti, soddisfare nuovi bisogni, ampliare i mercati di sbocco. Con particolare riferimento al made in Italy, la trasformazione digitale permette di conciliare un’elevata personalizzazione del prodotto con costi competitivi, riducendo le spinte alla delocalizzazione della produzione. Facendo leva sulla digitalizzazione, anche il funzionamento della pubblica amministrazione può essere radicalmente ripensato, modificando i processi in modo da eliminare interi passaggi, aumentare l’efficienza, soddisfare meglio i bisogni dei cittadini.

Sarebbe però ingannevole immaginare che le potenzialità positive della digitalizzazione per i cittadini e per l’economia si possano realizzare senza l’aiuto della politica pubblica.

Le analisi della Commissione europea (DESI 2016) mostrano che l’Italia si trova ancora in posizione arretrata nel confronto internazionale in termini di connettività, capitale umano, uso di internet, integrazione della tecnologia digitale nell’attività d’impresa, servizi pubblici digitali. Stiamo recuperando velocemente, ma occorre ancora uno sforzo significativo per ridurre il gap rispetto agli altri paesi europei.

A questo fine, non è sufficiente procedere per comparti o per settori. Già il rapporto Caio del 2012 evidenziava che la politica pubblica per la crescita digitale richiede una visione complessiva su cui fondare la definizione di chiare priorità di intervento. La successiva adozione della Strategia per la crescita digitale 2014-2020 con le sue azioni infrastrutturali trasversali e le piattaforme abilitanti, della Strategia per la banda ultralarga e da ultimo del Piano Industria 4.0 danno il segnale di una maggiore consapevolezza circa l’importanza di una visione strategica. Emerge anche una maggiore disponibilità, rispetto al passato, a fare leva su forme di cooperazione virtuosa tra il settore pubblico e il settore privato per favorire la crescita digitale.

La direzione è giusta. Per conseguire i risultati, però, occorre far fronte a una serie di carenze che hanno tradizionalmente ostacolato i progressi dell’agenda digitale italiana.

Anzitutto, a partire dalla fine degli anni Novanta i continui cambi di rotta della governance hanno rallentato i processi. Per mettere progressivamente a punto la strategia e attuarla a ritmi sostenuti occorre un endorsement forte e stabile a livello politico, con una posizione alta e unitaria. La nomina del Commissario Piacentini, con il compito di coordinare l’agenda digitale in tutte le sue declinazioni, persegue questo obiettivo. E’ chiaro, tuttavia, che l’esigenza di governance politica si pone anche su un orizzonte di tempo più lungo. L’Agid sta contribuendo in modo importante all’attuazione della strategia e al monitoraggio dello stato di avanzamento dei lavori, ma ha un ruolo essenzialmente tecnico, non è suo compito svolgere la funzione di governance sul piano politico.

Una seconda esigenza è quella di una sempre più stretta integrazione tra la politica pubblica nazionale per il digitale e quella europea. L’Italia deve assicurare, più che in passato, una partecipazione stabile e incisiva ai tavoli in cui sono definite le regole e gli standard a livello europeo. Inoltre, per evitare successive e costose correzioni di rotta, le scelte compiute a livello nazionale devono seguire traiettorie coerenti con gli sviluppi europei. E’ positivo, ad esempio, come in più occasioni sottolineato da Samaritani, che con lo Spid l’Italia si sia mossa in anticipo rispetto agli altri paesi europei adottando per prima nel marzo 2016 un sistema di identificazione online ispirato al regolamento eIDAS. Per gli aiuti di Stato, una maggiore familiarità delle nostre amministrazioni con gli aspetti tecnici della disciplina europea accompagnata da un atteggiamento costruttivo può favorire i negoziati con la Commissione, contribuendo a velocizzare processi decisionali che spesso risultano troppo lenti rispetto alle necessità di mercati in rapida evoluzione.

Una terza esigenza riguarda l’e-government ed è quella di riflettere sul modello economico per l’offerta al cittadino dei servizi pubblici di base. Per i servizi a valore aggiunto, invece, l’accesso agli open data della pubblica amministrazione, l’interoperabilità/cooperazione tra servizi e le possibilità di dialogo tra sistemi offerte dalle tecnologie (le API) portano verso un modello in cui l’offerta potrà essere assicurata dal mercato e la concorrenza aiuterà a contenere i prezzi.

Resta da affrontare il tema di come organizzare e coordinare nel modo più efficace la messa a disposizione dei dati delle pubbliche amministrazioni, che costituiscono un’importante risorsa per il paese sia in termini economici (negli Usa, la sola messa a disposizione dei dati del catasto ha un valore di circa 4 punti di PIL) che come materia prima per la crescita delle start-up. I giacimenti di dati presso le PA vanno gestiti razionalizzando le banche dati ed eventualmente affidando il compito a una struttura dedicata.

La trasformazione digitale dell’economia comporta che, accanto ai vincitori, vi siano imprese che vengono spiazzate. Anche in questo caso spetta alla politica pubblica affrontare il problema. Sulla riqualificazione dei lavoratori per far fronte alle sfide della trasformazione del mercato del lavoro si gioca una delle sfide più significative per il welfare.

Un maggiore sviluppo del digitale in Italia richiede che tutti i soggetti (cittadini/consumatori, imprese, pubblica amministrazione) possano fare conto sull’affidabilità di un ecosistema digitale sempre più interconnesso. Occorre quindi rafforzare decisamente le iniziative sul fronte della cybersecurity, attraverso la cooperazione tra mondo della ricerca, istituzioni pubbliche e imprese. Le iniziative di formazione, inoltre, non devono limitarsi all’alfabetizzazione digitale, ma devono promuovere l’utilizzo consapevole e corretto dei nuovi strumenti, anche sotto il profilo della tutela dei dati personali e della tutela dei consumatori.

Per Industria 4.0 la principale sfida per la politica pubblica nazionale consiste nel superare la frammentazione e la disorganicità degli interventi che hanno sinora caratterizzato le iniziative in Italia. Non bisogna partire da zero. Si tratta di valorizzare i centri di eccellenza sul territorio nazionale e le numerose iniziative sui fronti della ricerca, del collegamento tra ricerca e impresa e dell’incontro tra imprese attraverso una visione strategica di lungo periodo, un migliore coordinamento a livello centrale e una maggiore informazione per le PMI circa le opportunità a loro disposizione.

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