Una coltre spessa si è posata sulla trasformazione digitale della pubblica amministrazione. Proprio in questa fase in cui abbiamo cominciato ad attuare i progetti di Agenda Digitale. Di qui il bilancio sconfortante di Carlo Mochi a un anno da Venaria.
Forse questa nebbia era inevitabile, dato il momento politico (referendum alle porte) e la fase di transizione che stiamo vivendo. Il nuovo commissario all’Agenda Diego Piacentini si è insediato ma deve ancora entrare nella piena operatività (la sua prima squadra è stata annunciata questa settimana, ma- a conferma della situazione- le nomine sono ancora informali nell’attesa dei decreti, depositati alla Corte dei Conti).
Fatto sta che stiamo vivendo in una fase di ritardi e (parziale) stallo delle riforme. La buona notizia è che, a un’analisi, sembra essere una fase temporanea, che durerà pochi mesi. Salvo altri terremoti nella governance del digitale di questo Paese (sempre in agguato), la primavera del 2017 può essere il giro di boa.
Vediamo infatti quali sono i nodi e i punti in sospeso, al momento. Un rapido elenco:
· Il piano triennale che indirizza la spesa IT della pubblica amministrazione è ufficialmente in ritardo. Arriverà intorno a febbraio, a quanto si apprende da fonti vicine alla Presidenza del Consiglio, perché solo da una settimana è nelle mani di Diego Piacentini l’ultima bozza fatta dall’Agenzia per l’Italia Digitale. Bozza che comunque- a quanto risulta- il commissario intende modificare nella sostanza.
· La squadra di Piacentini non è ancora completa e solo in corso d’opera vedremo il modello di lavoro (e se funzionerà, date le poche risorse) di collaborazione con l’Agenzia. Posto che comunque, sulla carta delle norme, i poteri nelle mani del commissario sono grandi abbastanza nei confronti degli enti.
· Mancano le regole attuative del CAD e a Palazzo Chigi si sta affermando l’idea che sarà sforata la scadenza di gennaio (prevista dal decreto per il loro arrivo). Ergo si continuerà sine die con le regole vecchie (su questo vedi uno speciale di approfondimento).
· Mancano all’appello anche i decreti attuativi del nuovo Codice degli Appalti e in questa fase di incertezza sono ritardate le gare pubbliche, necessarie all’innovazione PA.
In questo quadro, il punto di svolta della situazione- e anche la cartina tornasole del perdurare dei nodi- mi sembra essere il primo punto. Il piano triennale, che sarebbe dovuto arrivare in autunno (abbiamo “alcuni mesi di ritardo” ha detto il direttore dell’Agenzia al convegno Osservatorio Agenda Digitale il 14 ottobre). Un po’ è il banco di prova del dialogo Piacentini-Samaritani. Aspetto che di per sé non mi sembra però così preoccupante, dato che le norme attribuiscono certo a Piacentini un ruolo strategico superiore, mentre a Samaritani spetterà una execution (anche di alto livello, però). Piuttosto mi preoccupano le inerzie inevitabili che ci saranno prima che la nuova macchina sarà a regime e le poche risorse disponibili (di qui di nuovo l’idea di potenziarle).
In realtà il piano triennale è soprattutto l’ingranaggio mancante che sta bloccando tante cose. A due livelli. Su quello basso dell’attuazione, da una parte; su quello alto della sistematizzazione della governance, dall’altro.
Il basso livello: il piano triennale guida all’uso dei 4,6 miliardi di euro del Crescita Digitale, affinché i progetti regionali siano bene indirizzati sui progetti dell’Agenda. A tal proposito, già si registra che solo una piccola parte del Pon Governance 2014-2020 è stato speso, ancora. La precedente Legge di Stabilità obbliga inoltre le PA a seguire gli indirizzi del piano per poter spendere in ICT senza la scure del taglio del 50 per cento della spesa.
In questa situazione i rischi vanno dalla paralisi della spesa IT alla sua deviazione verso progetti diversi da quelli davvero utili alla trasformazione Paese.
L’alto livello: finché non avremo un piano triennale, Palazzo Chigi non avrà né gli strumenti né la credibilità per esercitare quella forza necessaria a trascinare il carrozzone della PA. Si pensi non solo alle resistenze negli enti locali, al cambiamento, ma anche ai ministeri. Alcuni dei quali- come Interno e Giustizia- finora hanno fatto pochissimo a favore (e molto contro) la trasformazione digitale. Altri hanno agito da soli, spesso bene: si pensi al Miur con il Piano Nazionale Scuola Digitale (che procede con più luci che ombre) e il Mise, con il piano banda ultra larga (uno dei progetti digitali meglio riusciti negli ultimi dieci anni) e il promettente (anche se agli inizi) Industry 4.0. In Sanità il ruolo principe l’hanno avuto le Regioni, anche se con la nuova legge di Stabilità si prevede un possibile accentramento di funzioni nel ministero, a partire dal Fascicolo sanitario elettronico.
Anche da questo quadro si conferma come il nodo politico della trasformazione digitale Paese sia soprattutto nella questione PA digitale in senso stretto. Dato che altri ambiti sembrano procedere abbastanza bene o comunque senza tutti questi incidenti di percorso (Scuola, Banda ultra larga, Industry 4.0).
Non è un caso che, a quanto risulta, Piacentini adesso stia concentrando il lavoro sui temi della PA digitale (pur avendo voce in capitolo anche su altri aspetti dell’Agenda, come l’Industry).
Tutto lascia pensare che non sarà il 2016 l’anno della chiarezza. L’attacco finale per attuare la trasformazione Paese, attraverso il nodo essenziale della PA, è rinviato a metà gennaio.