Il 13 aprile 2016, le tre principali istituzioni dell’Unione europea – Commissione, Parlamento e Consiglio – hanno sottoscritto un accordo interistituzionale intitolato “Legiferare meglio” (Better Regulation Agreement)[1]. Scopo dell’accordo, dichiarato nell’art. 2, è quello di «promuovere la semplicità, la chiarezza e la coerenza nella redazione della normativa dell’Unione nonché di promuovere la massima trasparenza nel processo legislativo». Si tratta in realtà della revisione e implementazione di un precedente accordo interistituzionale sullo stesso tema, risalente al 2003[2]. Infatti, il processo attraverso il quale le Istituzioni dell’Unione tentano di perseguire il miglioramento nella qualità della legislazione ha preso il via già dai primi anni Duemila contestualmente al varo della “strategia di Lisbona”, che si poneva l’obiettivo – purtroppo lungi dall’essere realizzato – di rendere l’Unione europea entro il 2020 l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo. Fin da allora, le Istituzioni dell’Unione hanno avviato un percorso volto a migliorare la qualità e l’efficienza della legislazione da esse prodotta, smantellando gradualmente la diffusa percezione di un eccesso di regole dettate dall’alto, inutili, ridondanti e addirittura di ostacolo allo sviluppo economico.
Non è possibile ripercorrere in questa sede le varie tappe di questo lungo percorso. Quindi, venendo ai tempi più recenti, come emerge da una Comunicazione della Commissione del 2015, intitolata Legiferare meglio per ottenere risultati migliori – Agenda dell’UE[3], l’obiettivo del Better Regulation Agreement è quello di fare in modo che la legislazione raggiunga l’obiettivo per cui è stata concepita, sia facile da attuare, garantisca la certezza e la prevedibilità del diritto e non imponga oneri inutili. La Comunicazione evidenzia in più punti la necessità che le azioni intraprese per migliorare la qualità della legislazione possano essere apprezzate dai destinatari finali. Per questo, rispetto al passato, la nuova “agenda” è caratterizzata da una maggiore apertura verso l’esterno: il giudizio sulla valutazione della qualità non deve rimanere appannaggio di gruppi di esperti, per quanto indipendenti essi possano essere, ma deve confrontarsi con quanti sono direttamente interessati dall’applicazione delle misure. Il potenziamento degli strumenti di consultazione e partecipazione e la loro estensione a tutti i tipi di atti (legislativi, delegati e di esecuzione) e a tutte le fasi dell’iter decisionale (dalla fase della preparazione a quella del controllo dell’efficacia) diventano, dunque, elementi centrali della strategia. Oltre a ciò, la Comunicazione del 2015 insiste molto sulla necessità che gli strumenti di verifica della qualità delle regole vengano estesi a tutto il ciclo di vita degli atti, con particolare riferimento alle valutazioni ex post di efficacia e adeguatezza. In tal modo, oggetto di verifica non è più solo la regola in sé, ma anche i suoi effetti in concreto. Infine, la Commissione europea appare intenzionata a incorporare nella strategia di better regulation il principio think small first: la semplificazione normativa deve infatti essere pensata per avvantaggiare principalmente le piccole e medie imprese, che più delle grandi subiscono gli effetti negativi di una regolamentazione sovrabbondante ed eccessivamente complicata.
Dunque, in estrema sintesi il Better Regulation Agreement vincola le tre istituzioni a un reciproco scambio di opinioni nella preparazione del programma di lavoro annuale; a far precedere la presentazione di proposte di atti non solo legislativi, ma anche delegati e di esecuzione, da accurate valutazioni di impatto, i cui esiti devono essere resi pubblici; a effettuare anche valutazioni ex post di efficienza, efficacia, pertinenza, coerenza e valore aggiunto della legislazione dell’Unione e delle politiche vigenti; a migliorare la trasparenza in tutte le fasi del decision-making; a perseguire la semplificazione delle regole amministrative.
Fra i contenuti del Better Regulation Agreement, che non possiamo qui esaminare nel dettaglio, ci interessa in particolare l’aspetto relativo alle consultazioni pubbliche. Tanto nell’ambito della valutazione di impatto che precede l’adozione delle proposte legislative, quanto in quello della valutazione ex post sull’efficacia delle misure adottate, la Commissione europea è tenuta a svolgere ampie consultazioni del pubblico e dei portatori di interesse. Tali consultazioni devono essere condotte in maniera aperta e trasparente, permettendo la partecipazione più ampia possibile e incoraggiando la partecipazione diretta alle consultazioni delle PMI e di altri utenti finali, anche tramite Internet.
Le consultazioni pubbliche non sono certo una novità per la Commissione: infatti, la pratica di far precedere la presentazione formale di una proposta legislativa da ampie consultazioni pubbliche, solitamente inaugurate mediante la pubblicazione di appositi Libri Verdi, risale agli anni Novanta. Si trattava però allora di iniziative varate di volta in volta, senza previa definizione di procedure e scadenze standardizzate e in assenza di specifici obblighi legislativi in tal senso. Oggi, invece, procedere a ampie consultazioni delle parti interessate, al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, è per la Commissione europea un obbligo giuridicamente vincolante sancito dall’art. 11 comma 3 del Trattato sull’Unione europea (TUE). Analogamente, in virtù del comma 1 del medesimo articolo, le istituzioni dell’Unione europea devono offrire ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione. Quindi, sebbene l’accordo interistituzionale Legiferare meglio non sia giuridicamente vincolante per le tre istituzioni che lo hanno sottoscritto, ma sia da considerarsi semplicemente un gentlemen’s agreement, l’obbligo di consentire la partecipazione dei cittadini europei ai processi decisionali deriva direttamente dai Trattati.
In più rispetto al passato, il Better Regulation Agreement ha creato un apposito organo incaricato di monitorare lo svolgimento delle valutazioni di impatto e delle valutazioni ex post, denominato Regulatory Scrutiny Board[4], il quale ha predisposto delle linee-guida[5] estremamente precise e puntuali sulle modalità con cui le consultazioni pubbliche devono essere condotte. Dunque le consultazioni pubbliche, in precedenza affidate all’iniziativa spontanea della Commissione europea, sono oggi sottoposte a dettagliate regole procedurali.
Secondo le Better Regulation Guidelines, dunque, le consultazioni pubbliche (stakeholder consultations) sono finalizzate essenzialmente a far sì che nelle sue proposte politiche la Commissione tenga conto dell’interesse generale dell’Unione e non degli interessi particolari degli Stati membri o di singoli specifici gruppi. Le consultazioni devono rispettare quattro principi: 1) partecipazione, attraverso un approccio ampio e inclusivo; 2) trasparenza dei processi consultivi sia per coloro che vi sono coinvolti sia per il pubblico generico; 3) efficacia, nel senso che le consultazioni devono essere svolte con tempistiche adeguate a far sì che l’opinione degli stakeholder possa avere un effetto sui processi decisionali; 4) infine coerenza, nel senso che tutte le fasi dell’iter decisionale, inclusa quella della valutazione ex post e del controllo della qualità, devono basarsi sugli esiti delle consultazioni. A questi quattro principi si affiancano alcuni minimum standards che le consultazioni sono tenute a rispettare: a) assoluta chiarezza, trasparenza e pubblicità dei processi consultivi e dei risultati della consultazione; b) appropriata individuazione del target; c) precisa e adeguata individuazione delle scadenze temporali; d) feedback con soggetti consultati.
Le Guidelines spiegano nel dettaglio come preparare la strategia di consultazione: precisa individuazione del problema, degli scopi e obiettivi della consultazione; focus sulla differenza fra la raccolta di dati e la rilevazione di opinioni; individuazione delle categorie di stakeholder la cui opinione può essere rilevante nella policy area interessata dalla consultazione, adoperandosi affinché nessun target group rilevante venga escluso; utilizzo di metodi e pratiche accessibili; creazione di una specifica pagina web per la consultazione; svolgimento della consultazione con la massima trasparenza; mantenimento di una posizione neutrale; attenta analisi dei risultati della consultazione; controllo interno della qualità dei processi consultivi.
Nello svolgimento delle consultazioni, Internet svolge un ruolo assai rilevante: in una apposita sezione del portale dell’Unione europea[6] sono elencate tutte le consultazioni pubbliche – aperte, in procinto di essere avviate o già concluse – organizzate dalla Commissione europea in vari ambiti tematici. Per ciascuna di esse, in specifiche pagine web, sono riportati il tema e gli obiettivi della consultazione, il target di riferimento, la documentazione utile, il questionario online che chiunque può compilare e le relative scadenze. La compilazione del questionario non è anonima, ma il rispondente può chiedere che il suo contributo venga reso pubblico in forma anonima.
Sebbene chiunque possa rispondere al questionario online, è evidente che difficilmente il cittadino comune può venire a conoscenza dell’apertura di una consultazione o essere interessato a partecipare. La partecipazione spontanea dei singoli cittadini alle consultazioni pubbliche, dunque, è certamente minoritaria rispetto a quella dei gruppi organizzati rappresentativi dei portatori di interessi, che regolarmente interagiscono con la Commissione europea, sono ben informati delle iniziative intraprese e hanno interesse e vocazione alla partecipazione al fine di cercare di influenzare i processi decisionali. I portatori di interessi che intendono ufficialmente qualificarsi come tali in modo da poter interloquire con la Commissione europea e il Parlamento europeo – in altre parole, i cosiddetti “lobbisti” – possono oggi iscriversi in un apposito Registro pubblico denominato Registro per la trasparenza[7], consultabile attraverso Internet, e sono tenuti al rispetto di uno specifico codice di condotta. Chiaramente sono le stesse istituzioni europee che invitano gli stakeholder registrati a partecipare alle consultazioni pubbliche. Il lobbying può essere considerato una pratica virtuosa ed efficiente, in quanto consente ai portatori di interesse di dialogare su un piano di parità con i decisori pubblici, in modo che la decisione finale risulti effettivamente rispondente ai bisogni della collettività. Tuttavia, non può essere considerato una pratica autenticamente democratica in quanto favorisce solo gli esponenti meglio organizzati, e probabilmente anche economicamente più solidi, della società civile, lasciando in secondo piano i portatori di interessi non economici. Per questo motivo, sarebbe auspicabile un incremento della partecipazione spontanea alle consultazioni pubbliche, che possa almeno in parte controbilanciare quella dei gruppi organizzati.
Mentre, come si è visto, la Commissione europea ricorre estensivamente e sistematicamente alle consultazioni pubbliche, le altre Istituzioni ne fanno uso raramente, sebbene ne abbiano la possibilità. Secondo il regolamento del Parlamento europeo (art. 27 par. 5) la competenza per l’organizzazione di consultazioni pubbliche sarebbe della Conferenza dei Presidenti. Si tratta comunque di pratiche sporadiche, tant’è che sul sito del Parlamento europeo c’è attualmente evidenza di un’unica consultazione pubblica promossa dalla Commissione giuridica (JURI) nel periodo febbraio-maggio 2017, intitolata Il futuro della robotica e dell’intelligenza artificiale [8]. Si vede che i membri del Parlamento europeo preferiscono intrattenere contatti personali con i “lobbisti” iscritti al Registro per la Trasparenza, senza contare il fatto che i cittadini possono comunque interagire con il Parlamento europeo attraverso il tradizionale strumento della petizione. Non risulta che il Consiglio dell’Unione europea, che rappresenta i governi degli Stati membri dell’Unione, abbia mai organizzato consultazioni pubbliche.
Se le consultazioni pubbliche sono da considerarsi, almeno per la Commissione europea, un obbligo giuridicamente vincolante ai sensi dell’art. 11 TUE, ci si chiede quali forme di reazione siano consentiti ai cittadini – individualmente o in forma associativa – che volessero opporsi a una decisione eventualmente assunta in assenza di previa consultazione pubblica oppure in seguito a una consultazione condotta senza rispettare le linee-guida procedurali oppure ancora senza tenere adeguatamente conto degli effettivi risultati delle consultazioni svolte. In realtà, poiché l’art. 11 TUE non prevede l’emanazione di un Regolamento o di una Direttiva europea per la sua attuazione e poiché le consultazioni pubbliche sono disciplinate solo da fonti non legislative (comunicazioni della Commissione europea, accordo interistituzionale e linee-guida), ben difficilmente la Commissione europea potrebbe essere considerata inadempiente rispetto a un obbligo giuridico ed è quindi improbabile che la Corte di Giustizia dell’Unione europea accoglierebbe un ricorso per l’annullamento di un atto legislativo adottato senza rispettare le regole (non legislative) sullo svolgimento delle consultazioni pubbliche. Tuttavia, può avanzarsi l’ipotesi che la Corte possa giudicare la misura adottata sotto il profilo del mancato rispetto del principio di proporzionalità, prescritto dall’art. 5 TUE, che presuppone da parte delle Istituzioni l’accurata valutazione di tutti gli elementi, i fatti e le circostanze rilevanti per l’atto legislativo che si intende adottare (fra cui, ad esempio, gli esiti delle consultazioni pubbliche). Oppure, qualora la decisione finale consistesse in una misura di carattere amministrativo e non legislativo, si può ipotizzare la possibilità per i cittadini di ricorrere al Mediatore europeo, perché una decisione adottata dalla Commissione senza rispettare le regole sulle consultazioni pubbliche potrebbe essere considerata un caso di cattiva amministrazione.
Dalle dettagliate regole sulle consultazioni degli stakeholder presenti nelle Guidelines, emerge un elemento di debolezza che non può essere trascurato: le consultazioni avvengono solo rispondendo ad un questionario su format prestabilito, che però comprime le possibilità di espressione, anche a causa delle modalità di formulazione delle domande. Non si tratta quindi di un vero dialogo, anche in forma di contraddittorio, fra cittadini e decisori pubblici. In effetti, le stesse Guidelines delineano pratiche consultive realizzate “dall’alto verso il basso”, in cui le istituzioni in una prima fase raccolgono le risposte fornite ai questionari e in una seconda fase le esaminano e rendono pubblici i risultati della consultazione. Ciò genera l’impressione che il fine della consultazione non sia – o non sia solo – quello di rendere la decisione finale corrispondente agli effettivi bisogni della società civile, ma (anche) quello di ricercare il consenso in assenza di un efficace circuito di democrazia rappresentativa a livello europeo, oppure di misurare il gradimento rispetto a un indirizzo politico già deciso.
Oltre alle consultazioni degli stakeholder descritte fin qui, nel contesto dell’iniziativa Legiferare meglio la Commissione europea ha recentemente predisposto una piattaforma online, denominata Di’ la tua[9], attraverso la quale chiunque, in forma del tutto libera, dopo essersi registrato al sito, può inviare commenti, osservazioni e opinioni personali riguardanti una gran varietà di iniziative (tabelle di marcia, proposte legislative, proposte di atti delegati o di esecuzione, relative valutazioni di impatto). Non è affatto chiaro, però, in che modo la Commissione europea possa tenere effettivamente conto nel processo legislativo di manifestazioni di interesse così eterogenee, tanto più che né l’Accordo interistituzionali né le Guidelines fanno riferimento a queste forme libere di dialogo con i cittadini. In ogni caso, per il momento la loro rilevanza appare assai scarsa, se si considera che i commenti inseriti dagli utenti registrati per ciascuna iniziativa disponibile si contano sulla punta delle dita e non sono affatto infrequenti i casi di iniziative per le quali non è stato espresso alcun commento. Si ha dunque l’impressione che l’iniziativa Di’ la tua sia un’operazione essenzialmente cosmetica, resa possibile dal facile utilizzo di Internet, volta a pubblicizzare il volto “dialogante” delle Istituzioni dell’Unione europea, ma di nessuna importanza pratica.
Va evidenziato, in conclusione, che le regole finora prodotte sulle consultazioni pubbliche appartengono alla categoria del soft law, cioè degli atti non giuridicamente vincolanti, ma in grado di produrre effetti solo sul piano politico. Se, in effetti, la scelta del soft law consente la massima flessibilità degli strumenti partecipativi e l’evoluzione delle relative prassi nel tempo, anche sfruttando anche il potenziale offerto dalle nuove tecnologie, allo stesso modo consente di lasciare nell’indeterminatezza tanto la qualificazione quanto i diritti e i doveri dei coinvolti nei processi di partecipazione. Così, però, gli strumenti partecipativi possono confondersi con mezzi di ricerca del consenso o di misurazione del gradimento di un indirizzo politico già deciso. Proprio per questo, potrebbe essere auspicabile – anche se finora le istituzioni europee non sembrano interessate a percorrere questa via – l’approvazione di un Regolamento-quadro che assumesse come base giuridica l’art. 11 TUE, in modo da conferire natura prescrittiva alle regole della democrazia partecipativa.