Da anni si fanno analisi su analisi sulla carenza di competenze digitali in generale nel nostro paese e in particolare nella PA e quasi sempre questa è indicata come la motivazione dello scarso progresso digitale del paese. Del resto gli indicatori dell’Italia sono tutti negativi, fra le percentuali più basse di laureati in generale fra i 30 e 34 anni (secondo Eurostat penultimi in Europa), con una bassissima percentuale di laureati nelle discipline scientifiche (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica, in inglese STEM) e il settore digitale ne risente in modo particolare.
Solo che a fronte di queste analisi non siamo andati oltre la promozione di grandi coalizioni o iniziative estemporanee e pertanto non solo abbiamo poche competenze disponibili, ma non abbiamo nemmeno la speranza di averne molte di più nel brevissimo periodo e la scadenza del 2020 è sempre più incombente con tutti gli obiettivi europei da raggiungere in particolare nel digitale, come indicato in particolare dalla strategia nazionale crescita digitale.
Prima che i lettori smettano di leggere pensando al solito articolo che si limita a piangersi addosso, vorrei anticipare che a mio modesto parere ci sono alcune buone speranze che qualcosa cambi nel breve, pertanto prego il lettore di proseguire nella lettura.
Il commissario alla trasformazione digitale, Diego Piacentini, a più riprese ha mostrato di essere consapevole di questo problema e di essere anche alla ricerca di soluzioni adeguate, indicando spesso due direttrici d’azione: l’avvio di un percorso a medio termine che muova il maggior numero di leve per favorire la crescita delle competenze nel paese (piani formativi, modifiche ai programmi educativi, incentivi per l’assunzione di personale qualificato, ecc.) e la ricerca di una soluzione a brevissimo termine che consenta in particolare di attuare il piano triennale ICT nella PA.
Non ho le competenze e l’esperienza per poter dare suggerimenti sulla prima direttrice sulla quale tuttavia auspico il successo del maggior numero possibile di azioni perché è evidente che si tratta di un problema paese, basta cercare una qualsiasi analisi del numero di avvocati in Italia in rapporto agli altri paesi e della inversa situazione del numero di ingegneri, senza nessun giudizio sulle due lauree, ma solo per capire l’evidente distorsione della loro distribuzione nel nostro paese.
Mi affascina invece riflettere sulla seconda direttrice sia perché è più urgente, sia perché la conosco direttamente lavorando da anni nell’ambito dei sistemi informativi della PA che sono sicuramente l’ambito che maggiormente è coinvolto nelle politiche di trasformazione digitale.
Attuare il piano triennale ICT in tutto il paese, in particolare in tutte le Pubbliche Amministrazioni di tutti i territori, è una grande sfida, di più, una grande scommessa, che bisogna assolutamente vincere se non si vuole aumentare ulteriormente la distanza che ci separa dalle migliori pratiche europee.
Chiariti il problema e l’obiettivo finale, serve individuare la strategia e un piano d’azione che consenta di raggiungere o quantomeno di avvicinarsi il più possibile all’obiettivo e in questi ultimi giorni sono arrivati segnali incoraggianti, in particolare durante l’incontro fra Piacentini e Samaritani e le Regioni e Province Autonome.
Di fronte ad una richiesta apparentemente provocatoria di un assessore regionale di finanziare a livello centrale un piccolo esercito di 400 esperti digitali che si occupi di affiancare le pubbliche amministrazioni sul territorio per l’attuazione del piano triennale, il commissario Piacentini ha manifestato forte interesse per la proposta.
Ma davvero 400 esperti disseminati sul territorio per un paio d’anni possono risolvere tutti i problemi? Ovviamente no, a meno che questi 400 non vengano con sapienza messi in rete con le poche ma ottime competenze che già ci sono nella PA.
Conosco e ho avuto la fortuna di lavorare con tanti esperti digitali presenti nella PA (nei comuni, nelle province, nelle regioni, nelle aziende sanitarie e nei ministeri), spesso non sono valorizzati nella propria amministrazione, ad esempio qualche amministrazione territoriale in una perversa interpretazione della legge sull’obbligo di rotazione dei dirigenti ha piazzato ingegneri a occuparsi del servizio economale o del servizio trasparenza e anticorruzione, ma fortunatamente ci sono, sia nelle PA in senso stretto, che nelle in-house e nelle università e nei centri ricerca.
Le competenze digitali cui mi riferisco sono sia quelle tecniche-specialistiche, in questo senso la maggioranza si trova nelle università, nei centri ricerca, nelle in-house e purtroppo in poche pubbliche amministrazioni nel senso stretto del termine (ministeri, regioni, province, comuni e aziende sanitarie), sia quelle di innovazione di processo, che sanno quindi coniugare i principi di innovazione del digitale con le competenze specifiche di settore (spaziando in tutti i settori: imprese, ambiente, agricoltura, sanità, ecc.) che si trovano in molte pubbliche amministrazioni.
Il primo passo quindi è mettere in rete attraverso diversi strumenti e azioni queste preziosissime risorse, il team per la trasformazione digitale ad esempio ha avviato diverse community, molto tecniche, che mettono in rete tecnici ed esperti della PA e del privato, ma si possono pensare anche altre iniziative, perché per creare un sentire comune serve anche vedersi e confrontarsi, magari evitando i classici convegni o i classici incontri a favore di modalità più aderenti al piano, come laboratori o hackaton, opportunamente rivisti (ad esempio se tutto il piano triennale è fondato sulle API e se l’interoperabilità è la chiave perché non lanciare per la primavera 2018 l’iniziativa APPAIA, una sorta di hackaton, che premi chi realizza una APP per la PA che unisca almeno due servizi di due PA esposti attraverso API?).
Una rete di questo tipo, con eventi distribuiti sul territorio, costa moltissima fatica e i tentativi in tal senso più volte avviati, basti pensare alla rete dei Digital champions, dimostrano che per avere successo serve inserirli in un contesto e in una azione più strutturata e incardinata nella PA che deve attuare la strategia nazionale, ma credo sia l’unica vera strada percorribile nel brevissimo.
Se a questa rete, che purtroppo non si crea automaticamente con obblighi normativi o con nomine più o meno formali, si aggregano nuove figure che possono portare grandi competenze specifiche, in genere però associate a scarsa conoscenza dei processi della PA, si può innescare un meccanismo virtuoso di collaborazione e contaminazione che è fondamentale per il raggiungimento degli sfidanti obiettivi che abbiamo davanti.
Concludendo prendiamo atto una volta per tutte che le competenze digitali in generale nel paese sono poche e concentriamoci sul da farsi, avviamo un programma a medio-lungo termine per creare nuove competenze in tutti i sensi, e creiamo un sistema semplice per valorizzare quelle che ci sono, rinforzandole con una iniezione temporanea (2 o 3 anni) di esperti che possano dare quell’accelerata di cui il paese ha assoluto bisogno nel breve termine e forse nel 2020 avremo una situazione diversa.