Agenda. Ovvero: la parola più udita in questo periodo a cavallo tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013.
Termine che ricomincia ad assumere un significato dopo l’evidente débacle della profezia dei Maya: il mondo continua, e quindi ha senso avere un “elenco di cose da fare/discutere” (definizione di “agenda” nel dizionario “Sabatini Coletti”).
Ci eravamo appassionati, a partire dall’estate scorsa, al tema dell’Agenda Digitale: ci avevano addirittura promesso un decreto legge ad-hoc. “Ecco, finalmente la svolta!”, abbiamo detto in molti.
Consultazioni on-line, richieste di contributo ai principali stakeholder, di tutto e di più. Ma… Qualcosa non ha funzionato, evidentemente.
Perché il tanto agognato “DigItalia”, a un certo punto, è stato inglobato all’interno di un più miscellaneo “Sviluppo Bis” (“Crescita 2.0”, tanto per non farci mancare il “duepuntozero” che fa tanto à la page) dove la banda larga condivide spazio coi pneumatici invernali obbligatori, le basi dati strategiche di interesse nazionale si sposano con la mitica autostrada Livorno-Civitavecchia, e il Fascicolo Sanitario Elettronico va a braccetto con l’ABS per i motocicli.
Il pessimismo raggiunge e supera il livello di guardia quando si legge che “sono impartite direttive finalizzate all’immediato contenimento dei costi di gestione e di personale della società Stretto di Messina S.p.A.” (ma si fa o non si fa, questo benedetto ponte? Perché, se la risposta è “no”, allora a che serve contenere i costi di gestione e di personale? E, se la risposta è “sì”, allora forse sarà necessario investire nuovi denari, altro che tagliare!).
Superata l’angoscia, ci siamo rimessi a leggere le sezioni del “Crescita 2.0” che si occupano di “digitale”. Ed è a questo punto che, inevitabilmente, è scattata la “wish list”: l’elenco delle cose che mancano, o che sono state posposte in funzione di prossimi decreti attuativi e/o regole tecniche demandate all’Agenzia.
Da qui, immediatamente, discende la “madre di tutti i desideri”: che l’Agenzia venga messa – in tempi rapidissimi – in condizione di lavorare nel pieno delle sue forze e al massimo delle sue potenzialità, recuperando il ritardo causato da oltre un anno di quasi completo immobilismo. In una situazione in cui, ai nuovi compiti assegnati dal decreto si somma la coda delle cose rimaste in sospeso dopo le (pen)ultime modifiche al CAD.
Il lavoro che attende il nuovo DG, Agostino Ragosa, è quantitativamente e qualitativamente importante: a partire dalla ricostruzione di uno spirito di appartenenza all’interno della “truppa” (ufficiali e sottoufficiali compresi), troppo a lungo tenuta sotto stress da “attesa nelle retrovie”.
Con una grande incognita rappresentata dalle ormai imminenti elezioni politiche, in uno scenario nel quale di “agenda digitale” nei programmi delle coalizioni in lizza si parla poco o niente.
Ed ecco il secondo desiderio: un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio investito una buona volta di tutte le deleghe in materia di modernizzazione del Sistema Paese. Si badi bene: “Sistema Paese”, non (solo) Pubblica Amministrazione.
Uscendo (e sarebbe davvero l’ora!) dal tunnel delle deleghe frammentate tra quattro – cinque ministeri più o meno importanti e più o meno con/senza portafoglio. Il terzo desiderio è relativo alle risorse economiche da trovare per avviare un “serio” piano di modernizzazione e digitalizzazione del Sistema Paese. Risorse che difficilmente possono essere reperite al di fuori da uno scenario di forte coinvolgimento di investitori privati, cui eventualmente affiancare la Cassa Depositi e Prestiti e la BEI.
Il coinvolgimento di finanziatori privati (a partire dai grandi vendor IT a dimensione internazionale) rappresenta, a nostro modo di vedere, la “garanzia” per la riuscita dell’operazione. Abbiamo già avuto modo di vedere, nel corso di questi ultimi dieci-undici anni, quanto non funzionino i bandi per il finanziamento di piani più o meno improbabili e – inevitabilmente – destinati nel migliore dei casi a far nascere decine di “doppioni” e di “sperimentazioni a macchia di leopardo”.
Un “grande” piano di modernizzazione attuato in regime di partenariato pubblico-privato rappresenta l’unica strada percorribile se ci si vuole garantire in tempi ragionevoli (tre anni) un risultato tangibile e misurabile. Il “resto dei desideri” verrà esaudito da sé: nel senso che a partire da una regia forte, una governance stabile e un “tesoretto” di dimensioni rispettabili, l’attuazione del CAD e di tutte le novità previste dal “Crescita 2.0” diventano “ordinaria amministrazione”.
Soprattutto se ci si convince, tutti quanti, della necessità di affidare alla modernizzazione del Sistema Paese (che diventa un mezzo, e non più un fine) il compito di dare la “picconata” definitiva al grande muro della burocrazia autoreferenziale, della mancanza di trasparenza a copertura della corruzione, della complicazione della “macchina” a copertura dell’evasione fiscale e dei mille privilegi di casta.