Ci troviamo all’avvio di quello che qualcuno ha definito il “nuovo piano Marshall per l’Italia” con la speranza che il PNRR possa effettivamente produrre una discontinuità, permettendoci di recuperare i gap che registriamo rispetto agli altri Paesi europei in molti ambiti tra i quali spicca il digitale.
È tuttavia importante evidenziare come l’Europa abbia posto delle condizioni all’utilizzo di questi fondi. Una su tutte la necessità di avviare un’importante campagna di riforme strutturali tra cui quella della Pubblica Amministrazione (PA). Il digitale è uno dei pilastri su cui si dovrebbe fondare questa riforma, diventando quindi al contempo fine e mezzo della stessa. È forse anche a causa di questa dicotomia che tutt’oggi risulta ancora poco definito il piano con cui saranno impiegate le risorse a disposizione e, più in generale, la strategia di digitalizzazione del Paese e della sua PA.
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Verso il nuovo Piano triennale: i punti deboli della strategia digitale
Nel prossimo mese ci aspettiamo la pubblicazione del nuovo piano triennale 2021-2023. Esso fornirà aggiornamenti rispetto alle azioni di digitalizzazione pianificate negli scorsi anni e porrà nuovi puntuali traguardi per il 2022. Questo importante se non addirittura fondamentale documento non è tuttavia sufficiente a definire con chiarezza la strategia del Paese per colmare il nostro gap sul digitale per almeno tre fattori:
- Non ha una visione olistica. Il Piano Triennale definisce puntualmente alcune (tutte?) le azioni che dovrebbero essere attuate dalle PA italiane di ogni ordine e grado ma manca di includere alcuni aspetti fondamentali quali la diffusione della banda ultra-larga e delle competenze digitali, demandati ad altri documenti strategici. Allo stesso modo non si parla di come le imprese possono contribuire al processo di digitalizzazione del Paese.
- Non è un atto di indirizzo politico ma di indirizzo tecnico, che cerca di interpretare indirizzi politici su vari temi prodotti in modo non coordinato in tempi diversi.
- Questi due primi fattori rendono molto difficile capire come le azioni previste dal piano possano impattare sul principale indicatore utilizzato a livello europeo per misurare lo stato di evoluzione dell’economia e della società digitale: il DESI. Non è infatti un caso che, sino a oggi, il DESI sia solo stato accidentalmente citato nel Piano.
Questa mancanza di fatto di un’Agenda Digitale Nazionale si ripercuote anche sulla produzione di documenti strategici locali non sempre all’altezza delle aspettative. A questo riguardo, l’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano ha condotto nei mesi di giugno e luglio di quest’anno un’analisi delle agende digitali delle 21 Regioni e Province autonome, ossia dei soggetti che a nostro giudizio dovrebbero giocare un ruolo decisivo per supportare la digitalizzazione del Paese a livello locale. In particolare, l’analisi si è concentrata su due aspetti:
- la struttura del documento strategico, prendendone in considerazione la completezza in termini di «ingredienti» e, di conseguenza, la capacità di informare in modo efficace;
- l’esaustività dei contenuti, sulla base delle linee di intervento del Piano Triennale e sulle variabili che determinano il posizionamento delle regioni sull’indice DESI
DESI regionale 2020: resta forte il gap digitale Nord-Sud e col resto d’Europa
Nelle seguenti tabelle è riportato il risultato di quest’analisi, dove il colore rosso sta a indicare forti mancanze e il colore verde un livello più che adeguato raggiunto dal documento sul determinato criterio. In particolare, i criteri considerati a livello di redazione del documento sono:
- Struttura: l’agenda digitale regionale presenta un’articolazione in capitoli, c’è un indice facilmente navigabile, è completa, facilmente reperibile e leggibile;
- Obiettivi: l’agenda digitale contiene un’articolazione dettagliata degli obiettivi e delle azioni pianificate per traguardarli; si identificano priorità e potenziali criticità;
- Stakeholder: l’agenda digitale contiene una mappatura degli stakeholder coinvolti/da coinvolgere sia per la definizione della strategia che per la messa in campo delle azioni;
- Governance: l’agenda digitale esplicita chiaramente i meccanismi di governance attivati/da attivare e specifica le responsabilità degli attori citati;
- Attuazione: l’agenda digitale definisce un piano di monitoraggio con indicatori specifici per i fattori abilitanti e i risultati, con un cronoprogramma strutturato in milestone;
- Comunicazione: l’agenda digitale presenta un indirizzo strategico per la comunicazione e prevede linee guida per lo scambio comunicativo interno, con stakeholder e cittadini;
- Fondi: l’agenda digitale riporta la copertura finanziaria dei progetti in termini di volume e fonti e valorizza l’uso risorse dai fondi strutturali europei.
Questi criteri sono riportati nelle tabelle sulle righe mentre sulle colonne sono riportate le 21 Regione e Province Autonome (anonimizzate per ragioni di privacy).
Per quanto riguardo i contenuti invece, i criteri considerati sono:
- Infrastrutture: l’agenda digitale include linee strategiche, obiettivi e progetti sulla creazione/messa a punto delle infrastrutture digitali;
- Cultura digitale: l’agenda digitale contiene un piano per il miglioramento delle competenze digitali interne e per la loro diffusione, a partire da un’analisi dello status quo;
- Privati: l’agenda digitale riserva attenzione al ruolo del privato e coinvolgimento dei soggetti privati nel processo di trasformazione digitale;
- Servizi: l’agenda digitale include linee strategiche, obiettivi e progetti sulla creazione/messa a punto dei servizi digitali della PA stessa e delle PA sotto-ordinate:
- Piano triennale: l’agenda digitale recepisce le indicazioni del Piano Triennale per l’informatica della PA e copre di tutte le aree di intervento indicate: (1) servizi; (2) dati; (3) piattaforme; (4) Infrastrutture; (5) Interoperabilità; (6) sicurezza.
I prossimi step per non sprecare il PNRR
Senza volere entrare in questa sede nella disamina puntuale delle tabelle, appare subito evidente un quadro molto eterogeneo, sia in termini di capacità di strutturare documenti completi e facilmente fruibili sia in quella di saper recepire appieno le strategie nazionali ed europee.
C’è innanzitutto una grande varietà nel livello di dettaglio delle agende. Alcune sono molto corpose, altre sono poco più di una presentazione in power point. Comunicazione e governance sono gli aspetti più trascurati ma risulta poco sviluppata anche la parte relativa agli stakeholder, spesso neppure esplicitamente identificati. Anche a livello di contenuti le differenze sono molto ampie. Ad esempio, per quanto riguarda il piano triennale, c’è chi individua puntualmente gli obiettivi a carico delle Regioni e le modalità con cui traguardarli nei tempi previsti e chi si limita solo a citarne l’esistenza.
I risultati di quest’analisi, che saranno approfonditi e presentati nel convengo dell’Osservatorio del 15 dicembre, mettono ben in evidenza la mancanza di un adeguato coordinamento nazionale sui temi del digitale che rischia di minare l’efficacia delle azioni che saranno implementate nel PNRR, anche se opportunamente gestite da una regia dedicata.
Si tenga infatti presente che oltre ai 191,5 miliardi previsti dal PNRR, l’Italia potrà contare anche su circa 80 miliardi di euro dei Fondi per le Politiche di Coesione oltre che sui fondi gestiti direttamente dall’Europa, come ad esempio Horizon Europe. Tutti fondi che, per una parte significativa, andranno a impattare sul processo di trasformazione digitale del Paese e che dovranno quindi trovare unitarietà di intenti al fine di evitare sprechi o, peggio ancora, dar luogo ad interventi e quindi impatti antitetici.