Il potenziale impulso finanziario e tecnologico del Memorandum of Understandingsottoscritto da Italia e Cina a marzo, soprattutto a benificio dello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale in Italia, ora è a rischio a causa dei sempre più forti contrasti tra Pechino e gli Stati Uniti.
Ultima vicenda – ma probabilmente ne seguiranno altre -, com’è noto, la posizione durissima assunta negli ultimi giorni dal governo americano nei confronti di Huawei.
Un’escalation che ha portato l’amministrazione Trump a inserire Huawei in una blacklist commerciale e che starebbe spingendo Google – secondo l’agenzia di stampa Reuters – a sospendere tutti gli accordi in essere con l’azienda di Shenzen, maggiore produttore al mondo di smartphone, ma non solo. Notizia di martedì, Trump ha sospeso gli effetti della blacklist ma solo per 90 giorni e solo per consentire ai clienti di Huawei di prepararsi.
Quali sarebbero le amplissime conseguenze di questa decisione, se fosse confermata, al momento possiamo solo immaginarlo, ma di sicuro il Governo italiano avrà il suo da fare per mantenere le sue posizioni di fronte alle crescenti pressioni internazionali volte a mettere all’angolo il potente alleato.
Huawei al centro del conflitto
Come è noto, Huawei è un conglomerato cinese che opera negli ambiti più avanzati del mondo ICT, dalle reti ed apparati di telecomunicazione, agli smartphone nel mercato consumer, ai prodotti software Big Data e business analytics, in diretta concorrenza con le grandi software house americane quali Oracle ed IBM.
Da quando Huawei è passata dall’essere una delle tante società produttrici di hardware nell’area di Shenzen ad un vero e proprio colosso che può vantare come clienti governi e multinazionali in gran parte del mondo occidentale, è stata accusata di essere troppo vicina al governo cinese. In particolare, le autorità americane hanno messo in dubbio l’opportunità che Huawei fornisca le infrastrutture tecnologiche della nascente rete 5G nei paesi occidentali, e comunque membri della NATO. Il rischio, infatti, è che tali infrastrutture possano includere delle backdoor o vulnerabilità che permettano a “stati avversari” di impossessarsi di informazioni segrete indispensabili alla sicurezza nazionale.
Sebbene diversi stati NATO (inclusa la Gran Bretagna e la Germania) abbiano assicurato che l’utilizzo delle tecnologie Huawei per il 5G non pone un rischio alla sicurezza nazionale, il 15 maggio il governo americano ha inserito Huawei in una speciale “Entity List”, di fatto richiedendo che le imprese americane ottengano autorizzazioni ad-hoc dal governo per poter vendere tecnologia alla Huawei.
Si tratta di una misura che, da un lato, pone a rischio la supply chain di Huawei, e la sua stessa sopravvivenza nel settore delle infrastrutture di telecomunicazioni, ma che, dall’altro, penalizza altresì numerose società tecnologiche statunitensi (ad esempio Cisco) che hanno in Huawei un fondamentale cliente.
Huawei è anche all’avanguardia nello sviluppo di soluzioni di Intelligenza Artificiale, da quelle avanzate di predictive analytics nel campo dei Big Data, a quelle ad uso “dual”, ovvero potenzialmente utilizzabili anche per scopi militari.
Usa vs Cina: le conseguenze per l’Italia
Che conseguenze potrà avere la presa di posizione del governo americano per l’Italia, ed in particolare per le aziende italiane? In primo luogo, sicuramente getta un’ombra di incertezza sui recenti accordi strategici conclusi tra il nostro Paese e la Repubblica Popolare Cinese. Infatti, come è noto, il 24 marzo l’Italia e la Cina hanno sottoscritto un Memorandum of Understanding con il quale si sono impegnate a perseguire congiuntamente gli obiettivi della Belt & Road Initiative, l’ambizioso progetto di opere infrastrutturali che dovrebbe rafforzare le strutture connettive tra la Cina e l’Europa Occidentale.
Infatti, parzialmente celata tra le righe dell’accordo, si annida (o si annidava, prima dell’affaire Huawei) un’incredibile opportunità per il sistema-Paese di promuovere l’adozione dell’Intelligenza Artificiale nel suo tessuto produttivo.
La Cina accelera sull’intelligenza artificiale
L’Italia, infatti, come il resto dell’Europa, non sta tenendo il passo con la Cina e gli Stati Uniti d’America nella corsa verso l’adozione e lo sviluppo di soluzioni di IA. Se, infatti, gli USA detengono un saldo predominio della ricerca più avanzata nel campo dell’IA, la Cina negli ultimi anni si è rivelata il paese in cui gli algoritmi di IA si sono già rivelati nella loro pervasività, irrompendo nelle vite di tutti i cinesi che oggi possono fruire di servizi impensabili fino solo a qualche anno fa, ma oramai acquisiti nelle abitudini collettive e quasi dati per scontati.
Infatti, già da qualche anno Tencent e Alipay hanno introdotto sistemi di pagamento evolutissimi a mezzo di applicazioni per smartphone, bypassando completamente la fase di adozione delle carte di credito e di debito e trasformando, in brevissimo tempo, la Cina in una cashless society. Queste applicazioni, infatti, consentono non solo di effettuare pagamenti ai vendor, ma anche tra privati. Altre applicazioni per smartphone permettono poi a banche ed istituti di credito al consumo di concedere prestiti immediati (i così detti Point of Sales Loans), basato su un giudizio di merito creditizio effettuato sulla base dei dati personali trattati dall’applicazione stessa e raccolti principalmente sulle piattaforme digitali. Il saltare a piè pari la fase intermedia dello sviluppo di prodotti digitali (come, ad esempio, quello delle carte di credito) è un fenomeno generalizzato e comune a settori produttivi e servizi molto diversi tra loro e dovuto alla consapevolezza che l’adozione graduale di nuove tecnologie avrebbe costretto la Cina ad una rincorsa affannosa dei paesi occidentali sulla via della parità tecnologica e ad un rallentamento dello sviluppo sociale del miliardo e mezzo di cittadini cinesi.
L’Europa in forte ritardo
A fronte di un’adozione rapidissima di algoritmi di IA nel tessuto produttivo e dei servizi cinese (favorito anche dagli ingenti capitali pubblici dedicati alla ricerca e all’implementazione dell’Intelligenza Artificiale e ad una legislazione dei dati personali che contempera i diritti degli individui con gli obiettivi di sviluppo economico e sociale determinati dal governo cinese), l’Europa sembra versare in una situazione di grave ritardo.
Recentemente il fondo di Venture Capital britannico MMV Ventures ha commissionato uno studio che ha rivelato che delle 2.830 startup europee che sostengono di utilizzare algoritmi di Intelligenza Artificiale, in realtà oltre il 40% non utilizza alcuno strumento di IA. La mancata utilizzazione di strumenti effettivi di IA può sicuramente essere ricondotta all’”hype” che circonda l’Intelligenza Artificiale in questo periodo, ossia il tentativo di molte startup di utilizzare un concetto altamente in voga per caratterizzare i propri prodotti e servizi anche in assenza di alcun algoritmo che sia effettivamente in grado di riconoscere degli andamenti (pattern) e formulare delle previsioni. Ciò anche al fine di spuntare valutazioni superiori e finanziamenti più sostanziosi.
Non ritengo, invece, che la mancata adozione di algoritmi di IA anche da parte di quelle startup che sostengono di fondare le loro offerte di prodotti e servizi su tale tecnologia possa derivare da difficoltà di ordine tecnologico. Infatti, la creazione ed implementazione di soluzioni di IA sono assolutamente alla portata di qualsiasi buon team di sviluppatori con conoscenze di Data Science, anche di livello non avanzatissimo. Ed infatti, con l’eccezione di algoritmi particolarmente complessi quali, ad esempio, alcune soluzioni avanzate di image recognition, il sourcing di soluzioni di IA è sempre più agevole nel mercato globalizzato degli sviluppatori software.
I motivi della mancata diffusione dell’IA in Europa e Italia
Si potrebbe argomentare, pertanto, che la mancata diffusione dell’Intelligenza Artificiale in Europa, ed in particolare in Italia, possa essere ricondotta all’annoso problema della scarsezza di capitali di rischio profusi in startup tecnologiche. Se da un lato, infatti, il Venture Capital in Europa si è attestato da anni su una traiettoria crescente sia per numero di investimenti che per valore dell’investimento medio, le dimensioni del fenomeno sono drasticamente inferiori rispetto al mercato USA ed a quello cinese.
Tuttavia, se ciò potrebbe spiegare la mancata “esplosione” del numero di startup che effettivamente dispiegano soluzioni di IA, difficilmente giustifica la mancata adozione di algoritmi e soluzioni IA all’interno di contesti più strutturati come, ad esempio, all’interno di istituti di credito, compagnie assicurative o operatori della grande distribuzione organizzata, settori questi che in Cina hanno già proposto sul mercato servizi e prodotti supportati da Intelligenza Artificiale.
La Cina e il fenomeno dell’O2O (online to offline)
In realtà, l’ingrediente segreto dell’esplosione del mercato e dell’adozione dell’Intelligenza Artificiale in Cina sembra essere duplice.
Da un lato vi è certamente la possibilità per i data scientist e gli imprenditori cinesi di accedere a dei data-set di dimensioni enormi (in quanto relativi ad una popolazione di circa un miliardo e mezzo) ma altresì granulari. Ed è proprio la granularità dei dati, ottenuta attraverso il fenomeno dell’O2O (online to offline) a fare la differenza. Per O2O si intende il fenomeno dei servizi del mondo reale (offline) acquistabili online. Il servizio O2O per antonomasia è stato Uber, seguito dalle piattaforme per la consegna di cibo a domicilio e ad una moltitudine ulteriore di applicazioni simili che sono fiorite in Cina. D’altronde tali servizi possono unicamente essere offerti in contesti urbani ad alta densità di popolazione e la Cina, con oltre cento città con più di 1 milione di abitanti, si è rivelata il contesto ideale per la rivoluzione O2O. Infatti, il caotico traffico delle metropoli cinesi (e la volontà di evitare quanto più possibile di respirare l’aria inquinata dei contesti urbani) sono le ragioni predominanti dietro allo sviluppo esponenziale dei servizi O2O e, di conseguenza, della possibilità di raccogliere e trattare data-set di enormi dimensioni (in quanto riferibili a numerosissimi interessati) e caratterizzati da un’elevatissima granularità.
Opportunità e rischi per l’Italia
Il Memorandum of Understanding potrebbe rappresentare, quindi, un’opportunità per lo sviluppo delle aziende tecnologiche in Italia e per un’adozione più capillare e consapevole di tool di Intelligenza Artificiale. Le imprese cinesi, infatti, tendono ad investire nel settore tech – e soprattutto nelle startup – dei paesi con cui instaurano robusti rapporti commerciali. Ciò è una conseguenza della convinzione che la strategia O2O (con l’applicazione intensiva di algoritmi di AI) sia sempre vincente quando adattata alle realtà locali, soprattutto quando tali realtà, come nel mercato italiano, garantiscono una scalabilità dei prodotti o servizi con un bacino di utenza di oltre sessanta milioni di residenti.
Ovviamente esistono altresì dei rischi. La Cina è un esperimento politico ed economico, in cui un partito comunista egemonico se da un lato incoraggia l’imprenditorialità ed il libero mercato, dall’altra interviene direttamente nel tessuto imprenditoriale del paese sia attraverso un esercito di società – e conglomerati – a partecipazione pubblica, che imprimendo ed imponendo direzioni ed obiettivi attraverso un sistema di incentivi sia statali che capillarmente diffusi nelle provincie.
La Cina è stata spesso accusata di aver tollerato o, in alcuni casi, addirittura incoraggiato la violazione di diritti di proprietà intellettuale di imprese occidentali. Sebbene molti storici dell’economia abbiano sottolineato come il poco riguardo per i diritti di proprietà intellettuale altrui abbia sempre caratterizzato determinate fasi di sviluppo economico contraddistinte da una forte industrializzazione, le imprese italiane devono rimanere sul chi vive. In particolare, le aziende che sono riuscite a coniugare le peculiarità italiane con i recenti avanzamenti tecnologici (si pensi alle numerose startup che stanno nascendo nei settori del fashion-tech e del food-tech) dovranno vigilare affinché, a fronte di possibili iniezioni di capitali, i nuovi partner cinesi non possano accampare diritti sui propri asset IP.
Ma la posizione durissima del governo americano potrebbe provocare un effetto domino in cui sia governi che aziende private non solo interrompono ogni partnership con Huawei per compiacere il potente alleato (un po’ come si verificò nel caso Kaspersky), ma addirittura iniziano a diffidare dei fornitori di tecnologia cinese in generale.
In Italia Huawei è stata, sino ad ora, protagonista dello sviluppo della rete 5G, ed ha in essere importanti accordi di partnership con Leonardo e Poste Italiane. La firma del Memorandum of Understanding, unitamente ai rapporti “istituzionali” che la società ha nel nostro Paese ed al suo significativo portafoglio di prodotti e competenze di Intelligenza Artificiale avrebbero mettere il turbo al tessuto imprenditoriale ITC italiano.
Resta da vedere se la posizione USA si stempererà nel caso in cui i negoziati tra America e Cina sul commercio internazionale giungano ad una soluzione positiva e se il governo italiano riuscirà a mantenere il timone saldo a fronte delle pressioni internazionali.