Si parla molto di rete unica e il processo per realizzarla, nel bene o nel male, è finalmente avviato. L’esperienza del lockdown sembra avere illuminato anche i più riluttanti e praticamente tutti si sono convinti dell’importanza delle reti ultrabroadband in fibra.
Ma, a parte il gioco, il lavoro da remoto e le videoconferenze, cosa possiamo farne per migliorare la competitività dell’Italia? Attendiamo i Recovery Funds, ma che ne faremo? Se riusciamo a rimontare le posizioni che ci vedono arretrati nelle classifiche europee, quali conseguenze possiamo attenderci per la nostra economia?
Gli impatti economici dell’ultrabroadband
Qualche punto fermo c’è, per fortuna. Ci sono diversi studi che misurano gli impatti economici dell’ultrabroadband. Alcuni stimano una crescita del Pil pro capite fino all’1,1% nelle aree servite dalla fibra rispetto a quelle che ne hanno poca o non ne hanno affatto. Altri, una maggiore creazione di imprese dovute alla presenza della fibra rispetto alle zone che ne sono sfornite. Altri ancora indicano un impatto positivo sull’occupazione ma solo quando localmente è presente capitale umano con un alto livello di scolarizzazione o paralleli investimenti in capitale “organizzativo”. Altri, infine, misurano un impatto positivo sui prezzi del mercato immobiliare dove vengono sviluppate infrastrutture in fibra ottica o sui tassi di promozione nelle scuole primarie, soprattutto per gli studenti di famiglie con bassi redditi.
Un recentissimo studio sull’Italia fatto da The European House-Ambrosetti per conto di TIM quantifica in 14 miliardi di euro il valore aggiunto incrementale nel triennio 2017-19 dovuto al dispiegamento della banda ultralarga in Italia e in 180 miliardi il PIL aggiuntivo che, entro il 2030, un completo dispiegamento della banda ultralarga in Italia potrebbe dare.
Questi effetti economici, però, non sono degli automatismi statistici. Se si porta la fibra nel deserto, dove non c’è neanche un computer, non cambia niente. Se si rende più veloce la connessione di chi la usa solo per la posta elettronica e navigare un po’, cambia qualcosa, ma ben poco. Se, invece, l’ottiene chi davvero può sfruttarla, prenderne beneficio e usarla per creare valore, sfruttarla a fondo, allora le cose cambiano di molto.
Gli investimenti in infrastrutture di telecomunicazione sono in gran parte vantaggi “derivati” perché dipendono da altri fattori. In generale, ci sono tre regole da ricordare.
In primo luogo, le loro ricadute positive godono del first mover advantage. Sono più forti per i paesi che investono per primi. E ciò spiega la forte pressione che Cina, Giappone e Corea stanno esercitando per primeggiare nelle reti in fibra come nel 5G. La competitività è un valore differenziale: se ce l’ha già un concorrente, avrà meno valore per chi l’adotta solo successivamente. Chi arriva dopo trova gli spazi già occupati da chi ha avviato per primo lo sviluppo di nuovi servizi più competitivi, lo sfruttamento delle nuove possibilità, ha fatto già esperienza e migliorato le condizioni che permettono di sfruttare al meglio le nuove infrastrutture.
In secondo luogo, dalla velocità e dall’estensione del loro sfruttamento. Più è veloce la loro utilizzazione e maggiore la propensione a utilizzarle, minori saranno i costi e migliori saranno le ricadute positive. Per questo ha senso accompagnare una svolta infrastrutturale con voucher, sconti e promozioni: diminuiscono il costo per la collettività o gli investitori di una svolta tecnologica.
Per questo, la recente notizia che non si è riusciti a spendere ben 1,1 miliardi di euro già stanziati per la banda ultralarga è una pessima notizia, anche se non sono soldi persi ma rimodulati entro il 2023.
Infine, proprio per questo, a parità di investimenti in infrastrutture di telecomunicazione, questi daranno maggiori vantaggi a chi ha già fatto altri investimenti strutturali che permettono di valorizzare i vantaggi delle nuove infrastrutture. E sono investimenti a livello individuale (il livello di scolarizzazione e istruzione medio di chi le utilizzerà), micro (la digitalizzazione e l’organizzazione di famiglie, aziende e amministrazioni pubbliche) e macro (la presenza o meno di servizi che permettono di sfruttarle). Ed è proprio quest’ultimo punto che vorrei approfondire. Se avremo una rete ultrabroadband in fibra fino a casa (FTTH), quali altri servizi ci permetteranno di massimizzarne le ricadute?
I servizi ultrabroadband: infrastrutturali e applicativi
I servizi sono di due tipologie: infrastrutturali e applicativi. I servizi infrastrutturali che possono valorizzare la fibra ottica includono le reti mobili 5G e l’edge computing. In Italia, la sperimentazione del 5G è stata già avviata nelle principali città ma non sono ancora chiare le tempistiche del completamento della rete. Dal punto di vista della readiness, misurata dalla Commissione UE, l’Italia è addirittura quarta, dopo Germania, Finlandia e Ungheria. Ma le incertezze del Governo in merito all’esclusione dei fornitori cinesi dal 5G e alcune forme di ostruzionismo locale all’installazione di nuove celle 5G sulla base di presunte, ma mai provate, conseguenze negative sulla salute, ne stanno rallentando la diffusione. Pertanto, mentre la Spagna annuncia la copertura del 75% della popolazione entro la fine dell’anno, in Italia è tutto incerto. Resta un punto fermo però lo scenario di fondo che fissa un ordine di priorità riflesso nelle previsioni: al 2025 l’Europa avrà il 34% delle connessioni in 5G, dietro all’Asia più sviluppata, che sarà già al 50% e gli USA al 48% (GSMA, 2020).
Per quanto riguarda l’edge computing, invece, se ne parla molto ma si investe ancora poco. Nel mondo, il totale degli investimenti è vicino ai 3 miliardi di dollari (MarketsandMarkets, 2019), con gli USA che sono il mercato maggiore (1,2 miliardi di dollari), seguiti dall’Europa (800 milioni di dollari) e dall’Asia (500 milioni di dollari). Ma l’edge computing è legato soprattutto allo sviluppo delle reti mobili 5G. Finché queste non decolleranno, i numeri degli investimenti e, conseguentemente, i ricavi dei servizi, resteranno marginali. Nel frattempo, soprattutto in Italia, la sua diffusione dipenderà dall’evoluzione delle reti in fibra. Nessun operatore sembra avere al momento intenzione di investirvi. Se Open Fiber restasse pubblica, una sua evoluzione naturale è proprio quella di sviluppare all’interno delle sue 1.100 centrali con cui coprirà il territorio italiano dei mini datacenter per l’edge computing. Se, invece, dovesse finire nell’orbita di TIM, sicuramente ci sarebbero più remore da parte degli altri operatori telefonici a condividerle. Anche questo è un punto di incertezza che non è destinato a sciogliersi troppo presto.
I servizi applicativi, però, sono quelli che possono fare la differenza. In primo luogo, lo streaming e l’entertainment. A causa del Covid, le stime di crescita degli abbonati a pagamento entro il 2025, che sono circa 350 milioni nel mondo, sono passate da 530 milioni a 640 milioni, una differenza di circa il 30% (Digital TV Research, 2020). Inoltre, le visualizzazioni globali di video nel secondo trimestre 2020 sono aumentate del 40%, con un aumento del 160% dei televisori connessi (Brightcove, 2020). Al di là dei numeri, con discrezione e sperimentazioni mirate, lo streaming sta vincendo la sua battaglia epocale con i cinema per la revisione delle finestre di uscita e, allo stesso tempo, sperimentando con Netflix nuovi modelli di approccio al mercato offrendo contenuti gratuiti. Anche in Italia lo streaming dovrebbe essere un fattore di sviluppo positivo che, grazie all’ingresso di Sky sul mercato dei fornitori di connettività in fibra, dovrebbe accelerare la crescita del mercato e, indirettamente, la domanda di connettività. Ma, se si esclude Sky, che con il lancio del decoder Q ha fatto una chiara svolta verso la Rete, il panorama della TV generalista italiana mostra timidi tentativi privi di convinzione, riflessi da app di scarsa qualità, un’offerta ancora povera e la riorganizzazione dell’offerta che è bel al di là da venire.
L’Internet of Medical Things
A parte lo streaming, però, il vero salto è avvenuto nel mondo della sanità, dove il mercato dell’Internet of Medical Things (IoMT) ha compiuto in poco tempo un enorme salto. Nel 2019 il fatturato negli USA era di circa 21 miliardi di dollari. A causa del COVID, le previsioni di vendite per quest’anno sono state incrementate da 27 miliardi di dollari a 33 miliardi di dollari (una crescita passata da +30% a +57%), più che triplicando entro il 2022 a 66 miliardi di dollari. Allo stesso tempo, l’adozione della telehealth, che negli USA era all’8% a dicembre 2019, a marzo 2020 aveva già superato il 17%, giustificando una previsione di adozione per la fine anno tra il 22% e il 27%, che è una vera rivoluzione (Business Insider Intelligence, 2020). Mentre in Italia le esperienze di diversi ospedali, con maggiore o minore convinzione e sistematicità, si stanno spostando tutte in questa direzione, i numeri sono ancora bassi anche se l’attenzione è alta. Ma, essendo proprio il modello ospedale-centrico il grande accusato per la crisi vissuta dalle strutture italiane durante il lockdown, è proprio in questo ambito che dovrebbero incentrarsi i maggiori investimenti, valorizzando le possibilità create dalla banda ultralarga.
La realtà virtuale e la realtà aumentata
Gli altri servizi che saranno toccati dall’incremento dell’offerta in banda ultralarga sono la realtà virtuale e la realtà aumentata. Di entrambe si è parlato, e si parla, più di quanto non si pratichi. Eppure, complice l’emergenza COVID, tutto sta accelerando. La consapevolezza che i cambiamenti in corso lasceranno un’impronta non episodica e che l’esperienza di interazione digitale attuale è ancora piuttosto povera danno la certezza che il bello è ancora da venire. Bloomberg ha recentemente rilanciato un’indiscrezione, alimentata dallo stesso Tim Cook, CEO di Apple, che circola da tempo: Apple si sta preparando a lanciare i suoi occhiali per la realtà virtuale nel 2022 ma, nel frattempo, sta già producendo e mettendo insieme contenuti per Apple TV in vista di un lancio nel 2021. Data l’esperienza di Apple nel lancio di prodotti rivoluzionari, ma soprattutto i suoi successi come disruptor in diversi campi, ciò rafforza ulteriormente l’idea che vi saranno presto novità rivoluzionarie. Inoltre, Facebook, che nel 2014 aveva comprato per 2 miliardi di dollari Oculus, il maggiore produttore di occhiali per realtà immersiva, ha riorganizzato qualche giorno fa il suo gruppo di ricerca sulla realtà aumentata e virtuale creando un vero e proprio laboratorio di ricerca separato, i Facebook Reality Labs. Per i meno tecnici, è importante notare che la realtà immersiva ha una richiesta di banda molto superiore a quella del video a parità di definizione, avendo uno spazio visivo molto più ampio sia in altezza sia in larghezza. Per intenderci, serve una banda di almeno 50 Mbps con una risoluzione comparabile a 720p, un livello al di sotto dell’HD (1080p) che ormai è stato superato dal 4K (2160p) e dall’8K (4320p), ormai già lanciato. Stando a un white paper di Huawei di qualche anno fa, l’equivalente del 4K avrà bisogno di 1 Gbps per essere utilizzato in modo fluido, arrivando fino a 2,35 Mbps per un’interazione istantanea. Pur tenendo conto di innovazioni nella gestione dell’immagine (ad es. nuovi algoritmi di compressione, tiling, selective scaling, ecc.), è già chiaro fin da adesso che non sarà accessibile senza la fibra FTTH e che sarà una di quelle applicazioni per cui l’edge computing potrà fare la differenza.
L’intelligenza artificiale e il cloud
Per finire, un posto a parte in questo scenario avranno l’intelligenza artificiale e il cloud, che sono da un punto di vista tecnologico trasversali rispetto alla banda ultralarga, ma che proprio dalla sua diffusione riceveranno una forte accelerazione. L’intelligenza artificiale perché non solo permetterà di avere reti più efficienti, gestendo al meglio il loro funzionamento e ottimizzandone il comportamento in funzione delle prestazioni, ma anche perché, in generale, ha strutturalmente sempre più bisogno di dati e la banda ultralarga permette di aggregare informazioni in enormi quantità e in tempo reale. Infine, il cloud computing, che è il fratello maggiore dell’edge computing, perché presuppone di avere in remoto le applicazioni e/o i dati e , quindi, dipende strutturalmente dalla qualità delle connessioni. Ma anche perché sta diventando il pardigma informatico dominante. Nel 2019, sul totale della spesa informatica mondiale in IT, il cloud computing (public e private) ha superato il 50%, quest’anno raggiungerà il 55% per raggiungere il 63% nel 2023, anche grazie alla spinta dell’emergenza COVID.
Conclusioni
In conclusione, le reti a banda ultralarga stanno arrivando, seppure in ritardo. Ma il valore che porteranno non arriverà soltanto per questo. Arriverà se, come sistema produttivo ci faremo trovare pronti a sfruttarle, con le giuste infrastrutture immateriali e organizzative. C’è molto da fare in proposito, ma manca ancora questo tipo di riflessioni all’interno del dibattito più generale sia per l’utilizzo dei Recovery Funds sia per la gestione delle infrastrutture. Eppure, abbiamo già accumulato un ritardo tale che ogni ulteriore indugio sarebbe un lusso che non possiamo permetterci. Quando ne inizieremo a parlare?
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Bibliografia
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[5] A. Grimes and W. Townsend, “Effects of (ultra-fast) fibre broadband on student achievement,” Information Economics and Policy, vol. 44, 2018, pp. 8-15; DOI https://doi.org/10.1016/j.infoecopol.2018.06.001.
[6] The European House-Ambrosetti, Lo sviluppo della banda ultra larga in Italia: Prospettive, assetti organizzativi e linee d’azione, The European House-Ambrosetti su incarico di TIM, 2020.