Alla fine, il nodo dei voucher banda ultralarga è stato sciolto in grande ritardo e tradendo lo spirito e la lettera del piano che all’epoca era stato presentato e approvato in sede europea. L’Italia aveva ottenuto così tante risorse, senza che nessuno obiettasse per gli aiuti di stato, perché aveva presentato una proposta organica ad un problema reale del paese.
A che servono i voucher
Nel 2015 eravamo penultimi in Europa per la copertura a banda ultralarga e l’obiettivo era dare 100 megabit ad almeno il 50% della popolazione.
In quella proposta, i voucher avevano un ruolo molto semplice: permettere ad un’infrastruttura “greenfield” (costruita ex novo e senza clienti) e all’ingrosso – quella che poi sarebbe diventata Open Fiber – di superare la fase critica per tutte le infrastrutture di telecomunicazioni greenfield: i primi cinque anni. Infatti, non c’era nessun fondo che all’epoca finanziasse infrastrutture del genere. Tutti volevano finanziare soltanto infrastrutture brownfield (con clienti già presenti e da migrare ad una tecnologia superiore). Ma in Italia non era possibile perché l’unico operatore che poteva farlo, non lo reputava conveniente.
I problemi delle infrastrutture di telecomunicazioni è che sono apparentemente molto semplici, ma sostanzialmente così ricchi di dettagli significativi e di risvolti da sfuggire ad ogni semplificazione. Così, anche in seno alle istituzioni – italiane e non – finisce per occuparsene un numero piuttosto esiguo di persone che però ha perfetta comprensione dei problemi e ottima memoria.
Voucher, troppo poco e troppo tardi
L’effetto di questo provvedimento sarà che, se in un futuro eventuale Open Fiber dovesse avere qualsiasi problema di sostenibilità finanziaria, sarà impossibile per lo Stato tirarsi indietro, dopo avergli negato proprio quegli incentivi, parte integrante del piano, che gli avrebbero permesso di fare da soli.
Inoltre, siamo nel 2020 e nell’ultimo rapporto DESI (2019) siamo ancora penultimi per copertura a banda ultralarga, ma l’obiettivo è un gigabit.
Nel nuovo arco di programmazione, da poco aperto, niente vieterebbe all’Italia di chiedere anche il doppio delle risorse che furono chieste all’epoca per il sostegno alla domanda. E sarebbe bene farlo perché i voucher finiscono direttamente ad incrementare il PIL, convogliando quelle ingenti risorse dai fondi europei che il nostro Paese tende a sprecare e a restituire.
Ma, abbiamo aspettato tanto per usare quelle risorse, proprio il momento dell’emergenza, in cui nessuno va tanto per il sottile perché l’obiettivo è ammorbidire la situazione. Se poi le sprechiamo, dandole a pioggia, una volta superata l’emergenza, con quale giustificazione potrebbero mai riapprovarci degli aiuti alla domanda?
In conclusione
Chiunque faccia conto su uno scenario diverso, puntando sull’ignoranza, la scarsa memoria o la mancata comprensione di tutti i risvolti e di tutte le reali implicazioni delle scelte fatte, a mio avviso resterà deluso. Ma anche non potrà lamentarsi se le telecomunicazioni italiane sono così bistrattate in sede europea e così insoddisfacenti nella vita di tutti i giorni. Soprattutto quando questo accade nel momento in cui gli italiani ne avrebbero più bisogno. Anche loro non dovrebbero avere memoria?
La storia dice poche cose chiare sugli italiani. Una di queste è di non metterli mai alla prova, quando sono in difficoltà, mettendoli ancora di più in difficoltà proprio là dove sono in difficoltà. E immaginiamo uno scenario non irrealistico, in cui con l’autunno riparte, come fu per l’influenza spagnola, una nuova ondata dell’epidemia di Covid 19.
Come si risponderà, agli italiani, che dovranno restare a casa, per giustificare quel che si sarà fatto nel frattempo per migliorare la loro situazione rispetto all’unico cordone ombelicale che – di nuovo – li legherà ai cari e alla loro vita di tutti i giorni? Un conto sarà quel che si doveva necessariamente accettare nel pieno dell’emergenza. Un altro sarà il conto che la gente comune chiederà a chi doveva provvedere prima di una nuova emergenza.