Ci sono poche immagini più desolanti di un’autostrada deserta. Eppure, questo è il rischio che l’Italia corre con gli investimenti nelle reti a banda ultralarga, quelle che dovrebbero essere le autostrade dell’informazione.
Se lo guardiamo da lontano, il Piano per la Banda Ultralarga per l’Italia, quello che dovrebbe realizzare queste autostrade, è un progetto Paese. Pone le fondamenta su cui costruire qualsiasi altro progetto punti ad un futuro tecnologicamente avanzato per una nazione competitiva internazionalmente, sia che si pensi ai servizi pubblici di e-government o alla sanità digitale a casa sia che si tratti dei servizi erogati da privati come il 5G, un’importante partita in streaming o il futuro dell’e-commerce. Ma questo non è vero perché il Piano renderà più moderne le nostre metropoli. Chi pensasse di cambiare l’Italia avendo in mente le grandi città dimentica che ci vive appena il 12% della popolazione. La vera Italia, anche quella produttiva, è altrove. Al contrario, il Piano può cambiare il Paese perché sta portando la fibra anche nei piccoli comuni, nelle piccole e medie città, là dove vive l’88% degli italiani. Ed è un caso quasi unico nel mondo.
Perché la fibra può fare la differenza
Non diamo però nulla per scontato. Perché per tutta questa gente dovrebbe essere un bene avere la fibra invece di qualsiasi altro tipo di collegamento? Questa domanda può avere tante risposte ma, a mio avviso, una più importante di tutte le altre. Una volta installata, ci si può dimenticare della fibra.
È perfetta perché è come se non ci fosse. Con la fibra si può dire addio a tutte le difficoltà di connessione, ai problemi in centrale, alla banda scarsa nelle ore di punta, al temporale che peggiora la situazione e ai tanti altri incubi a cui il rame e le altre tecnologie ci hanno abituati. Per la fibra, le probabilità di guasti o malfunzionamenti sono incomparabili con le altre tecnologie. E quando arriverà un futuro ancora più esigente in termini di prestazioni, per la fibra non cambierà niente, rimarrà là.
Basterà cambiare gli apparati ai suoi estremi, in casa e in centrale. Per una persona anziana, come la maggior parte della popolazione italiana, questo farà la differenza. Potrà contare sul fatto che Internet funzioni, come tutto quello che ci passa sopra, potendosi dimenticare che per vedere una partita, un film, i nipotini in videoconferenza o fare la spesa online una volta c’era un problema.
Il piano BUL italiano, modello di riferimento
Per raggiungere questo scopo, il Piano Strategico per la Banda Ultralarga fu concepito in modo organico.
- In primo luogo, con soluzioni differenziate per le varie aree del Paese, in funzione della minore o maggiore sostenibilità e competizione per gli investimenti da parte degli operatori telefonici (aree bianche, grigie e nere).
- In secondo luogo, gare pubbliche trasparenti con un’impostazione che non favorisse le rendite di posizione di alcun tipo.
- Infine, incentivi alla domanda che permettessero, soprattutto là dove era più difficile fare tornare i conti, di “popolare” rapidamente quelle infrastrutture e trasformarle in quell’opportunità per l’Italia di cui molti nel tempo si sono convinti.
Ne era convinta la Commissione Europea, che aveva autorizzato il Piano permettendo gli aiuti collegati. Ne erano convinti i diversi Governi, compreso l’attuale, che nel tempo l’hanno portato avanti. Ma ne erano convinte anche tutte le regioni italiane che, credendoci, avevano rinunciato a parte dei propri fondi e a proprie iniziative perché fosse realizzato. In poche parole, un piano nato da un parto complesso, figlio di molti padri.
Fibra, perché l’Italia è indietro
Paradossalmente, però, mentre il modello Open Fiber (società a partecipazione paritetica tra Enel e Cdp), a cui sostanzialmente è delegata la realizzazione del Piano, comincia a diventare un modello di riferimento nel mondo, il nostro paese ancora langue in termini di reale domanda di servizi in fibra. Mentre nel 2017 in Europa il numero degli abbonati al servizio in fibra (FTTH) è cresciuto del 20%, l’Italia arranca ancora al venticinquesimo posto nella UE con un numero di sottoscrittori di appena il 4,8% contro una media UE del 15,4 %.
Quindi, in Italia nessuno è interessato alla fibra? No, il problema è che siamo partiti per ultimi e quindi ancora arranchiamo. I primi cantieri pilota delle aree cosiddette a fallimento di mercato sono partiti a fine 2017 e lo sviluppo massivo del progetto di rete pubblica è stato avviato a metà 2018. Finché non si raggiungerà una massa critica di offerta in fibra, la domanda stenterà a partire. Inoltre, fino a quando l’offerta di servizi che sfruttano la banda ultralarga non avrà una ragionevole aspettativa di ritorni economici, nessuno partirà ad offrirne in Italia e quindi la domanda per il passaggio alla fibra sarà debole.
Voucher a sostegno della domanda
È un pericoloso circolo vizioso ma che si può risolvere facilmente, basta ripartire con l’attuazione del Piano e vararne l’ultima parte: i voucher ai consumatori a sostegno della domanda di abbonamenti in fibra.
I voucher non sono un regalo agli operatori telefonici. Questi ci guadagnerebbero poco o nulla dagli abbonati che passano dall’ADSL alla fibra e qualcosa in più dai nuovi abbonati che prima non avevano nessun collegamento Internet.
I voucher, soprattutto se strutturati in modo adeguato, sono semplicemente uno stimolo alla domanda, una riduzione temporanea del costo dell’abbonamento e dei servizi a banda ultralarga per i cittadini, un incoraggiamento alle famiglie che vogliono provare ad entrare nel futuro. Ma, soprattutto, non va dimenticato, i voucher sono uno stimolo economico che finisce direttamente nel PIL senza pesare sul bilancio dello Stato, perché sono a valere su fondi europei. Piuttosto, il vero problema dei voucher è che se le risorse allocate non vengono spese per tempo, saranno riallocate o andranno perse. Quindi, sarebbe stato più corretto avviarli già in concomitanza con il completamento dei primi scavi della prima parte del Piano.
Non è ancora troppo tardi per i voucher ma non resta più tanto tempo per metterli in campo. Ancora un anno e saranno semplicemente inutili. Nell’interesse del Paese, bisognerebbe fare tutto il possibile perché non diventino un’occasione persa, un altro brutto episodio da dimenticare nella lunga storia delle telecomunicazioni in Italia.
L’articolo è parte di un progetto di comunicazione editoriale che Agendadigitale.eu sta sviluppando con il partner Open Fiber