Concorrenza

Abuso di posizione dominante per Google. La sentenza dell’UE spiegata

L’analisi del verdetto del Tribunale europeo che ha portato alla sanzione (4,125 miliardi di euro) più alta erogata dalla Commissione, che rappresenta una forte stretta al gioco delle Big Tech. Le contestazioni di Google

Pubblicato il 15 Nov 2022

Enrico Quaranta

Magistrato - già Capo di Gabinetto AGCM

google-android

Il Tribunale dell’Unione Europea (di seguito, anche il “Tribunale”) con sentenza emessa nella causa T-604/18 ha condannato Google[1] per abuso di posizione dominante, confermando in larga parte la decisione del 18 luglio 2018 con la quale la Commissione aveva ingiunto alla piattaforma il pagamento della cifra di 4,343 miliardi di euro.

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La vicenda

In particolare, con la decisione del 18 luglio 2018 la Commissione Europea (di seguito, anche la “Commissione”) aveva sanzionato Google per aver abusato della sua posizione dominante, imponendo restrizioni contrattuali anticoncorrenziali ai produttori di dispositivi mobili, nonché agli operatori di reti mobili, con riferimento a:

  1. quelle inserite negli accordi di distribuzione, che impongono ai produttori di dispositivi mobili di preinstallare le applicazioni di ricerca generica quali Google Search[2] e di navigazione Chrome per poter ottenere da Google una licenza operativa per il suo portale di vendita Play Store;
  2. quelle inserite negli accordi anti-frammentazione, che condizionano la concessione delle licenze operative necessarie alla preinstallazione delle applicazioni Google Search e Play Store da parte dei produttori di dispositivi mobili all’impegno di questi ultimi ad astenersi dal vendere dispositivi equipaggiati con versioni del sistema operativo Android senza l’approvazione di Google;
  3. quelle inserite negli accordi di ripartizione del fatturato, che subordinano il rimborso di una parte degli introiti pubblicitari di Google ai produttori di dispositivi mobili e agli operatori di reti mobili interessati all’impegno, da parte di questi ultimi, a rinunciare alla preinstallazione di un servizio di ricerca generica concorrente su un portafoglio predeterminato di dispositivi.

Tuttavia, discostandosi in parte dalla Commissione, il 14 settembre scorso il Tribunale ha ritenuto di infliggere al gigante della tecnologia un’ammenda, sebbene pur sempre consistente, di importo inferiore, pari a 4,125 miliardi di euro.

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Le contestazioni di Google

Il ricorso presentato da Google avverso la condanna della Commissione adduceva diverse ragioni giuridiche che per semplicità di lettura è possibile classificare in tre diverse tipologie di motivi:

  1. la definizione dei mercati rilevanti;
  2. il carattere abusivo delle restrizioni controverse;
  3. la presunta violazione dei suoi diritti di difesa.

I mercati rilevanti

Sul primo gruppo di contestazioni, relativo a presunti errori di valutazione nella definizione dei mercati rilevanti, va premesso che il mercato rilevante combina il mercato del prodotto e il mercato geografico definendo:

  1. il mercato del prodotto rilevante, quale comprensivo di tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati;
  2. il mercato geografico rilevante, il quale comprende l’area in cui le imprese interessate forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee.

Per individuare il mercato rilevante la Commissione ha individuato una serie di criteri che contribuiscono ad analizzare il comportamento delle imprese.

La procedura consta di un’analisi preliminare attraverso la quale essa provvede a definire il mercato del prodotto, verificando se il prodotto A e il prodotto B appartengono allo stesso mercato, individuando poi il mercato geografico, con una panoramica della suddivisione delle quote detenute dalle parti e dai loro concorrenti, i prezzi applicati e le eventuali differenze di prezzo.

Dopo aver definito il mercato del prodotto e il mercato geografico, la Commissione esegue un’analisi più dettagliata basata sul concetto di sostituibilità.[3]

Il criterio della sostituibilità permette di concentrare la ricerca su qualunque prodotto sostitutivo, riuscendo quindi a definire il mercato rilevante del prodotto e il mercato geografico con un maggior grado di certezza.

Soltanto nella fase finale si analizza il mercato rilevante per stabilire il livello di integrazione dei mercati dell’Unione Europea.

Come fase finale, la Commissione tiene conto del processo di integrazione del mercato e di come le misure per eliminare gli ostacoli al commercio e per creare un mercato europeo integrato possono avere un impatto sulla concorrenza in un determinato mercato geografico.

In conclusione, la definizione del mercato rilevante, sotto il profilo del prodotto e delle dimensioni geografiche, consente di individuare gli operatori (fornitori, clienti e consumatori) attivi sul mercato stesso.

Su questa base si possono calcolare le dimensioni complessive del mercato e le quote di mercato di ciascun fornitore, a partire dalle loro vendite dei prodotti rilevanti nella zona rilevante.

Tuttavia, nonostante le vendite costituiscano normalmente la base di calcolo delle quote di mercato, esistono altri elementi che, a seconda dei prodotti o dell’industria di riferimento, possono offrire indicazioni utili, quali la capacità, il numero degli offerenti nei mercati, etc.

Nel caso specifico, nella valutazione della posizione dominante di Google nei mercati rilevanti, il Tribunale ha concluso per la piena legittimità delle conclusioni alle quali era giunta la Commissione.

Quest’ultima aveva individuato quattro tipi di mercati rilevanti, ossia:

  1. il mercato mondiale (Cina esclusa) della concessione di licenze per sistemi operativi per dispositivi mobili intelligenti;
  2. il secondo, il mercato mondiale (Cina esclusa) dei portali di vendita di applicazioni per Android;
  3. i vari mercati nazionali nello SEE di fornitura di servizi di ricerca generica;
  4. il mercato mondiale dei navigatori Internet per dispositivi mobili non specifici di un sistema operativo.

La Commissione concludeva, quindi, rilevando la detenzione, da parte di Google, di una posizione dominante sui primi tre mercati.

Il Tribunale, dal suo canto, ha osservato che la Commissione ha debitamente evidenziato, nella sua presentazione dei vari mercati rilevanti, la loro complementarità, presentandoli come interconnessi, integranti un ecosistema.

Tale ecosistema non risulta neppure minacciato dal vincolo concorrenziale indiretto esercitato da Apple nel campo della navigazione in rete, in quanto non ha ritenuto rilevante la contestazione per cui i sistemi operativi utilizzati da programmatori verticalmente integrati, quali iOS di Apple non facessero parte del medesimo mercato.

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Il carattere abusivo delle restrizioni controverse

Circa il secondo gruppo di contestazioni, relativo alla presunta valutazione errata del carattere abusivo delle restrizioni controverse, i nodi focali della sentenza concernono le condizioni di preinstallazione imposte ai produttori di dispositivi mobili.

Sul punto il Tribunale ha rilevato come le condizioni di preinstallazione imposte in relazione al pacchetto di applicazioni Google Search e Play Store, da un lato e Chrome dall’altro integrino un importante vantaggio concorrenziale.

La Commissione aveva già ritenuto che tale preinstallazione potesse generare una tendenza allo statu quo, derivante dall’inclinazione degli utenti a servirsi delle applicazioni di ricerca e navigazione a loro disposizione, idoneo ad incrementare in modo significativo e duraturo l’uso del servizio in questione, senza che questo vantaggio potesse essere goduto dai concorrenti di Google.

Difatti il comportamento dell’utenza in tali settori appare evidentemente influenzato dalla c.d. scelta predefinita per cui il soggetto che utilizza il dispositivo sarà portato ad utilizzare l’applicazione o il browser preinstallato e difficilmente sarà invogliato a discostarsi operando una scelta autonoma.

Pertanto, il Tribunale ha respinto integralmente la totalità dei motivi di censura del primo provvedimento articolati da Google, ritenendo corretto il ragionamento e le conclusioni della Commissione, nel senso che effettivamente una siffatta preinstallazione possa generare un importante vantaggio concorrenziale nonché una non trascurabile inclinazione degli utenti a servirsi delle applicazioni di ricerca e navigazione già a loro disposizione.

Gli accordi di ripartizione sul fatturato

Per quel che concerne gli accordi di ripartizione del fatturato per portafoglio, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione avesse correttamente considerato tali comportamenti costitutivi di accordi di esclusiva, in quanto i pagamenti previsti erano subordinati all’assenza di una preinstallazione di servizi di ricerca generica concorrenti sul portafoglio di prodotti interessati, basando la propria analisi su due elementi, da un lato, l’esame dell’ampiezza della pratica contestata e, dall’altro, i risultati del As Efficient Competitor Test (nel seguito, anche “AEC”).

Orbene, relativamente al primo elemento il Tribunale ha ritenuto la contestazione non corroborata dagli elementi dedotti dalla Commissione nella decisione e che analoga insufficienza viziasse il test AEC, nella parte delle domande di ricerca contestabile da un concorrente ipoteticamente almeno altrettanto efficace la cui applicazione sarebbe stata preinstallata accanto a Google Search, non potendo corroborare un abuso derivante da accordi di ripartizione del fatturato per portafoglio.

Diversamente, in relazione agli accordi antiframmentazione, il Tribunale ha ritenuto gli stessi idonei a dimostrare l’ostacolo allo sviluppo e alla vendita di prodotti concorrenti sul mercato delle concessioni di licenze per sistemi operativi, rappresentando nel contempo un freno all’innovazione, in quanto essa aveva limitato la varietà delle offerte a disposizione degli utenti.

La violazione del diritto di difesa

Infine, circa il terzo gruppo di contestazioni, relativo ad una presunta violazione dei diritti di difesa del ricorrente, il Tribunale si è dovuto esprimere su due profili (i) la presunta violazione del diritto di Google alla consultazione dei fascicoli e (ii) la presunta violazione del diritto ad essere ascoltata.

Sul primo punto, il Tribunale ha constatato la violazione di tali obblighi, evidenziando, tuttavia, che la violazione del diritto potesse essere constatata – in presenza di irregolarità di tal genere – soltanto laddove l’impresa avesse dimostrato che, in mancanza di essa, avrebbe potuto predisporre meglio la propria difesa, dimostrazione ritenuta assente.

Sul secondo punto, anche in tal caso ha ritenuto che la Commissione avesse violato i diritti di Google in tal senso e che l’interesse all’audizione risultava rilevante in considerazione delle insufficienze rilevate in sede di esecuzione del test AEC[4], per cui l’accertamento della natura abusiva degli accordi di ripartizione del fatturato veniva annullato.

Conclusioni

Google ha accolto con delusione la sentenza del Tribunale UE che ha confermato in larga parte la sanzione comminata dalla Commissione affermando testualmente: “Abbiamo sempre creduto che le nostre azioni relative agli sconti fossero legali e non danneggiassero la concorrenza. L’industria dei semiconduttori non è mai stata così competitiva come lo è oggi.

Dal suo canto l’esecutivo ha dichiarato «La Commissione europea prende atto della sentenza odierna del Tribunale che conferma ampiamente la decisione della Commissione del luglio 2018 secondo cui Google e la sua società madre Alphabet avevano abusato della propria posizione dominante. Il Tribunale ha anche ampiamente confermato la sanzione che la Commissione europea ha inflitto a Google e Alphabet fissandola a 4,125 miliardi di euro. La Commissione studierà attentamente la sentenza e deciderà sui possibili passi successivi.

Si tratta senz’altro della sanzione più alta erogata dalla Commissione guidata da Margrethe Vestager che rappresenta una forte stretta al gioco delle Big Tech.

Emerge la precipua importanza il ruolo che tali colossi assumono nei mercati rilevanti, la cui individuazione appare cruciale al fine di comprendere al meglio l’effettiva capacità di alterare le dinamiche concorrenziali.

In tale ottica il parametro del mercato rilevante si pone con riferimento all’individuazione della capacità di un’intesa di alterare in maniera consistente il gioco della concorrenza, al fine di accertare l’esistenza di una posizione dominante e le eventuali caratteristiche abusive di un dato comportamento.

L’individuazione del mercato rilevante va correttamente intesa non come un fine a sé stante, ma come una delle fasi funzionali alla valutazione concorrenziale di un atto o di un comportamento, alla quale va attribuito un valore relativo, vagliando adeguatamente le possibilità di spostamento della clientela su altri prodotti o su una più ampia area geografica.

Tuttavia, resta ferma l’esigenza di interventi e azioni mirate da parte delle autorità, con una ferrea applicazione del diritto antitrust che abbia effetti non solo sanzionatori, ma anche di garanzia e tutela per i concorrenti deboli.

Note

  1. Con “Google” si indicano congiuntamente la società Google LLC, in precedenza Google Inc., nonché la sua società madre, Alphabet, Inc.
  2. Le imprese soggette a un regime concorrenziale devono rispettare due vincoli principali: la sostituibilità sul versante della domanda e la sostituibilità sul versante dell’offerta. Un mercato è competitivo se i consumatori possono scegliere fra una gamma di prodotti con caratteristiche simili e se il fornitore non incontra ostacoli a fornire prodotti o servizi su un dato mercato.
  3. Il principio dell’AEC è che le imprese dominanti non possono stabilire condizioni di ribasso (o altre strategie di prezzo) che siano in grado di escludere un concorrente altrettanto efficiente. Il test AEC rende operativo questo principio utilizzando una serie di parametri specifici del mercato.

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