Un giusto mix di tecnologie e un approccio corretto di incrocio tra domanda e offerta permettono di tutelare uno dei pilastri dell’economia italiana: l’agrifood. Caratterizzato da una forte innovazione, il Made in Italy del food è l’eccellenza delle imprese distrettuali del nostro Paese ed il valore dei suoi imprenditori, da tempo riconosciuti in tutto il mondo.
Insieme con la Francia, l’Italia è uno dei maggiori esportatori al mondo di prodotti agro-alimentari di origine controllata ma, da un confronto con i cugini d’oltralpe, emerge che il nostro Paese ha maggiori difficoltà a valorizzare il proprio “Made in”. Le cause sono da ricondurre proprio alla natura distrettuale del settore, ricco di imprese di piccole dimensioni e frammentate, che ostacola la creazione di valore in assenza di innovazione digitale, sinergie strategiche e propensione all’internazionalizzazione.
Sarebbe quindi di fondamentale importanza in tale contesto, l’adozione di soluzioni digitali integrate lungo tutta la catena del valore, in modo tale da favorire la certificazione della qualità dei prodotti e l’anticontraffazione delle merci con un impatto considerevole sull’export verso i mercati a maggior potenziale, Cina in primis.
Data la piccola dimensione delle imprese dell’Agrifood, private equity, venture capital e grandi investitori privati hanno infatti iniziato a investire sul settore con un obiettivo chiaro: “generare valore in un mercato che deve ancora imparare a sfruttare le economie di scala e la rivoluzione digitale”. Anche TIM con le sue iniziative di Open Innovation, tra cui l’acceleratore wCap, sta incrementando l’attenzione su questo vertical dell’industry.
Agricoltura 4.0, il valore del mercato italiano
Secondo i dati dell’osservatorio del Polimi, il valore del mercato italiano per la cosiddetta Agricoltura 4.0 è stimato essere circa di 100 milioni di euro, il 2,5% di quello mondiale (dati 2017, osservatorio Smart Agrifood). Gli Stati Uniti e l’Europa, con il 49% ed il 29% rispettivamente, sono le aree con la più elevata densità di start-up sull’agricoltura, con investimenti destinati prevalentemente a tecnologie Big Data e internet delle cose, il monitoraggio da remoto dei terreni e la gestione dei processi in tempo reale. La fase successiva, cruciale, sarà l’incontro tra domanda e offerta. Tutta questa tecnologia emergente deve cioè supportare le PMI operanti nel settore nella digitalizzazione della loro filiera produttiva. Questa sarà la vera sfida per lo sviluppo del business ed a supporto del Sistema Paese, e dobbiamo partire proprio da quelli che sono i settori di eccellenza dell’industria agroalimentare italiana. Primo fra tutti va citato il mercato del vino, settore in crescita che negli ultimi anni ha superato i 10 miliardi di euro di fatturato, di cui più della metà derivanti da esportazione (dati Coldiretti, 2016). Ma non possiamo dimenticare anche altre eccellenze, quali quelle nei formaggi ed ovviamente nella pasta. Su quest’ultima, dove si comincia a far sentire una crescente competizione dai paesi del nord Africa, è stato recentemente siglato un accordo tra coltivatori, produttori e commercianti di prodotti agricoli allo scopo di creare una filiera integrata. Qui l’impatto delle tecnologie digitali, e IoT in particolare, è potenzialmente enorme, con oltre 1,2 milioni di ettari di grano duro coltivati, contro 2 milioni di grano duro importate (in quanto quello italiano non è sufficiente) e oltre 3 milioni di tonnellate di pasta prodotte nel 2017 (anche qui oltre il 50% destinate all’export). Con questi numeri e queste dinamiche si capisce l’importanza sia di tecnologie in grado di monitorare i campi agricoli, come l’NB-IoT, sia di altre in grado di monitorare la filiera produttiva. In questo senso si pensi all’impatto della Blockchain, ad esempio per certificare la corretta provenienza del grano, l’effettivo processo di essicazione della pasta e così via, che determinano i parametri di qualità tipici del prodotto Made in Italy.
Il giusto mix di abilitatori tecnologici
Ovviamente l’attenzione non va posta solo sull’export, ma anche sul mercato interno, i cui benefici sono fortemente correlati con un altro settore in forte digitalizzazione, quello del turismo. Infatti, il prodotto agroalimentare è, al pari del patrimonio artistico e culturale, uno degli attrattori chiave per i turisti nel nostro paese, e grazie al digitale può essere sempre più guardato come un unico mercato.
Come per tutta l’Industry 4.0, ma forse in misura maggiore per la filiera agroalimentare, si tratta quindi di applicare il giusto mix di abilitatori tecnologici: dalle tecnologie NB-IoT per il monitoraggio dei campi, al cloud per l’esportazione dei dati, anzi dei Big Data, all’intelligenza artificiale per la loro interpretazione, ma anche per supportare un processo di produzione sempre più all’insegna del controllo di qualità, magari “certificata” grazie alla Blockchain. Ed infine alle tecnologie di digital retail, per coinvolgere il cliente in tutta la filiera, dalla produzione alla logistica e distribuzione, fino al consumo. Ma questo giusto mix da solo potrebbe non essere sufficiente: affinché l’Industry 4.0 applicata alla filiera agroalimentare produca effettivamente valore facendo quindi incontrare l’offerta tecnologica con la domanda delle PMI del settore, che ovviamente si aspettano benefici concreti ed immediati, sarà fondamentale muoversi secondo alcune direttrici chiave.
Le direttrici per la creazione di valore
- Il primo driver di valore è la necessità di un approccio end-to-end, guardando all’intera catena del valore, piuttosto che alla digitalizzazione di porzioni isolate di essa. Questo consentirà di massimizzare il valore complessivo, evitando potenziali dispersioni se gli sforzi andranno in direzioni diverse, con un effetto da “moto browniano”. Per fare un esempio concreto, una PMI produttrice di pasta sarà interessata ad investire su tecnologie che tracciano la filiera (ad esempio la blockchain) se anche le catene di retail saranno a loro volta digitalizzate, e quindi in grado di esportare ai clienti finali i dati di eccellenza del prodotto e ricevere da questi importanti feedback di mercato.
- Un secondo driver di valore è l’adozione di modelli di piattaforma aperta, basati su tecnologie cloud, che permettano di monetizzare i dati provenienti dall’intera catena e fruibili da produttori, commercianti e consumatori attraverso applicazioni e strumenti digitali. Se il produttore di vino utilizza la stessa tecnologia del commerciante, può beneficiare di ulteriori vantaggi (statistiche di marketing, feedback dei consumatori, informazioni sulla vendita dei prodotti, ecc.). Ma anche, i diversi produttori agricoli beneficiare di una quantità di dati sufficienti (big data) a decidere sugli interventi per salvaguardare la produzione stessa del raccolto, limitando i pesticidi e migliorando costi e qualità.
- In ultimo è necessario, come già detto, combinare i fornitori di servizi e quelli di tecnologie per l’incontro di domanda e offerta, ad esempio sviluppando pilot e progetti all’interno della catena del valore, promuovendo la creazione di ecosistemi e la crescita del mercato.
L’articolo è parte di un progetto di comunicazione editoriale che Agendadigitale.eu sta sviluppando con il partner TIM