“I capi delle Big Tech chiedono pazienza agli investitori, mentre continuano a spendere sull’AI: Nessun segno di rallentamento della spesa, anche se il ritorno appare ancora molto lontano”. È il titolo dell’articolo con cui The New Times (2 agosto) commenta le presentazioni – avvenute nei giorni appena precedenti – delle trimestrali delle “big five”, in particolare di quelle di Alphabet-Google, Amazon, Meta e Microsoft (Apple rappresentando come si può vedere dalla Fig. 1 una storia un po’ a parte).
A The New York Times fa eco, lo stesso giorno, il Financial Times: “Le Big Tech dicono che I 100 miliardi di dollari spesi [nel primo semestre] nell’AI costituiscono solo l’inizio: le azioni delle imprese tech sono diventate molto volatili da quando Microsoft, Meta, Amazon e Google hanno fatto conoscere i forti aumenti nei loro investimenti in AI”. E nell’articolo viene evidenziato come nel I semestre le quattro abbiano incrementato del 50% le spese in conto capitale, raggiungendo i 106 miliardi di dollari, con la prospettiva di superare i 200 nell’intero anno e di investire una cifra equivalente – se non superiore – nel 2025. E questo “despite growing scepticism from Wall Street about the returns on the unprecedented investment (nonostante il crescente scetticismo di Wall Street sui ritorni di un livello di investimenti di questa portata)”.
Trimestrali delle big tech: gli aspetti che meritano attenzione
Ho aperto questo mio commento richiamando i titoli di due fra i giornali più autorevoli a livello internazionale per sottolineare alcuni aspetti su cui voglio porre l’attenzione.
Focus sugli investimenti nei commenti alle trimestrali
È inusuale innanzitutto che nei commenti ai dati trimestrali non si dia la precedenza ai ricavi e agli utili, ma al livello degli investimenti: non per una sola impresa (come accadde quando l’allora Facebook cambiò nome in Meta e annunciò un grande investimento nel metaverso) ma per ben quattro nelle posizioni di testa per capitalizzazione a livello mondiale.
Lo scetticismo verso i ritorni degli investimenti in AI
In ambedue i titoli è evidenziato lo scetticismo del mercato sulla possibilità che questi investimenti possano garantire ritorni a breve-medio termine: con una chiara inversione rispetto alle aspettative che si erano create – a partire dalla presentazione di ChatGPT a fine 2022 – sulle prospettive dell’AI generativa e che avevano portato a un incremento delle capitalizzazioni delle Big Tech, viste come le imprese che più avevano la possibilità di sfruttare tali prospettive.
Il confronto tra Ceo e investitori
I due articoli fanno chiaramente capire come sia in atto un confronto fra i CEO delle quattro e gli investitori, con i primi che cercano di spiegare ai secondi l’importanza di investire velocemente, anticipando una domanda che sicuramente (ne sono convinti) sarà molto consistente e che essi dovranno essere pronti a soddisfare per non perdere quote di mercato a favore degli altri: “The risk of under-investing is dramatically greater than the risk of over-investing (il rischio di non investire abbastanza è drammaticamente superiore a quello di investire in eccesso)” ha detto ad esempio Sundar Pichai, CEO di Alphabet-Google, più o meno la stessa affermazione che fanno Satya Nadella di Microsoft, Mark Zuckerberg di Meta e Andy Jassy di Amazon.
I dati finanziari delle big five e l’accoglienza del mercato
Non discuterò nel dettaglio i dati dei ricavi e degli utili delle “big five”. Guardati con gli occhi cui si guarderebbe a un’impresa “normale” sono complessivamente dati più che buoni, ma per imprese con capitalizzazioni superiori al trilione di dollari come Meta o addirittura ai 3 trilioni come Apple una attenzione molto maggiore è dedicata sia alla dinamica della crescita sia agli specifici andamenti, in assoluto e rispetto alle aspettative, delle singole unità di business, e qui è più facile trovare alcuni punti deboli: Meta è fra le cinque quella che più ha stupito favorevolmente; Alphabet-Google e Amazon sono all’altro estremo; negativa anche l’accoglienza dei dati di Microsoft (il mercato aspettava ritorni più sostanziosi dall’AI cloud); neutrale quella riservata a Apple, che vede la caduta delle vendite degli iPhone in Cina “bilanciata” dall’attesa di un aumento generalizzato delle vendite degli iPhone stessi con la prossima introduzione della “Apple Intelligence”.
L’aumento dello scetticismo verso l’AI generativa: cause e conseguenze
Voglio fare qualche considerazione sullo scetticismo crescente del mercato – giusto o sbagliato che sia – nei riguardi dell’AI generativa. The Economist, in un suo articolo del 28 luglio “What could kill the $1trn artificial-intelligence boom?”, nel mettere in evidenza come (ovviamente) il maggior rischio per la gigantesca “AI supply chain” che si sta costruendo sia quello del vanificarsi della domanda finale dei potenziali utenti (imprese in primo luogo) dei servizi costruiti sull’AI, richiama un recente studio di Goldman Sachs e Sequoia, che mette in dubbio i benefici degli attuali “generative-AI tools”.
Il Financial Times, in un articolo del 2 agosto: “Elliott says Nvidia is in a ‘bubble’ and AI is ‘overhyped’” parla (pur con qualche riserva sul soggetto) di una recente lettera ai clienti di Elliott Management, l’hedge fund statunitense che divenne famoso in Italia quando acquistò il Milan, che sostiene che la valutazione di Nvidia rappresenta una bolla, che l’AI generativa è sopravvalutata (“overhyped”) e che molte delle sue supposte applicazioni non riusciranno mai a diventare operative (are “never going to be cost-efficient, are never going to actually work right, will take up too much energy, or will prove to be untrustworthy”).
The Wall Street Journal infine, in un articolo del 22 luglio nell’ambito del CIO Journal: “A Clamor for Generative AI (Even If Something Else Works Better): CIOs say they feel pressure to shoehorn the tech into areas better served by other forms of predictive AI—or perhaps just a spreadsheet”, parla della pressione che viene spesso esercitata sui CIO delle imprese potenziali utilizzatrici finali a trovare utilizzi per l’AI generativa anche quando esistono soluzioni molto migliori, per non deludere la voglia di apparire innovativi dei loro CEO e dei loro board.
Il ruolo di Nvidia nell’ecosistema dell’AI generativa
Una considerazione finale: ovunque si parla di AI si parla di Nvidia, l’impresa che produce le GPU ritenute di qualità imparagonabile per istruire i modelli di AI, e le sorti di Nvidia – come emerso anche in precedenza – sono strettamente legate alle decisioni di investimento delle quattro grandi: quella che è una fuoruscita di cassa per Alphabet, Amazon, Meta e Microsoft è in larga misura un ricavo (nonché in misura percentualmente rilevante un profitto) per Nvidia. Non è un caso che la capitalizzazione di Nvidia abbia superato a un certo momento – a quota 3,3 trilioni – quelle di Microsoft e Apple.
Non è un caso che il titolo sia estremamente volatile: che salga ad ogni notizia di aumento degli investimenti delle big, che scenda al diffondersi delle incertezze sulle loro scelte e/o su notizie riguardanti il mercato finale. Nvidia comunicherà i dati trimestrali il mese prossimo, dati che saranno sicuramente estremamente positivi in termini di crescita sia dei ricavi sia degli utili: non c’è dubbio sul presente, il dubbio riguarda semmai il futuro dell’AI generativa. Ricordando che AI generativa e AI non sono sinonimi, ma che la prima è un capitolo della seconda e che la seconda ha molti fronti lungo cui svilupparsi.