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AI, i primi grandi dubbi sul super boom



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La Borsa continua a puntare sull’AI generativa, con le big tech che incrementano gli investimenti. Tuttavia, la stampa economica internazionale esprime scetticismo sui ritorni per gli investitori. Le autorità antitrust statunitensi indagano le principali aziende tech. Nel frattempo, nuove applicazioni AI emergono, sperimentate da un numero crescente di startup

Pubblicato il 10 giu 2024

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano



etica AI
etica AI

La Borsa continua a scommettere pesantemente sull’AI generativa, le big tech che la sostengono accrescono i livelli degli investimenti, mentre la grande stampa economica internazionale esprime spesso scetticismo sui ritorni che essa sarà in grado di garantire agli investitori con i prodotti e servizi che attualmente la incorporano, le authority antitrust statunitensi partano all’attacco delle big tech storiche (Microsoft in primo luogo per i suoi rapporti con OpenAI) e di successo più recente (Nvidia) che dominano il settore.

E nel frattempo nuove promettenti applicazioni al momento più di nicchia – quali ad esempio quelle nella robotica – vengono sperimentate da un numero in continua espansione di AI startup.

Come nasce questo mio articolo? Ho scelto 13 articoli, prendendoli da 4 famose testate internazionali (The Economist [EC], Financial Times [FT], The New York Times [NYT], The Wall Street Journal [WSJ]), il più vecchio del 20 maggio e il più recente dell’8 giugno, e ho cercato di costruire a partire da essi una sorta di quadro che guardasse all’AI sotto diverse angolature, in un contesto comunque dominato dal cambiamento: nelle tecnologie, nella strutturazione della filiera, nella propensione degli utilizzatori finali (consumatori e imprese) ad adottarle, nei business model e negli assetti organizzativo-gestionali innovativi costruiti su di esse, nella regolamentazione (normative antitrust, protezione della privacy e della proprietà intellettuale …), nella geopolitica.

Le scommesse della Borsa

Tre grafici e due tabelle ci forniscono una idea immediata di come molte delle scommesse della grande finanza sull’AI generativa – iniziate un anno e mezzo fa circa con il lancio di ChatGPT da parte di OpenAI (finanziata e spalleggiata mediaticamente da Microsoft) – siano tuttora in atto, o addirittura in crescita, a livello di big tech da un lato e di AI startup dall’altro.

Il primo grafico (Fig. 1), tratto da un articolo [WSJ_1] del senior market columnist James Mackintosh – “This Record Stock Market Is Riding on Questionable AI Assumptions – Just four giant technology stocks [Microsoft, Apple, Nvidia and Alphabet-Google] added more market value [$1.4 trillion] than the rest of the S&P 500 put together this month. More than half of the gain came from Nvidia” – mostra come le prime 4 imprese per capitalizzazione (market cap) a livello mondiale (Tab. 1) abbiano un valore complessivo prossimo a ben un terzo di quello dello S&P 500, dell’insieme cioè delle 500 imprese più rappresentative dell’intera economia statunitense. Non solo: come appare dal sottotitolo, il loro valore complessivo è cresciuto in un solo mese di 1,4 trilioni di $, più delle restanti 496 imprese dello S&P 500 messe insieme.

E perché la denominazione “The magnificent … four?”, ancorché dubitativa, nella didascalia? È presto detto, per richiamare quella “The magnificent seven” – che includeva anche Amazon, Meta e Tesla – che era al centro dell’attenzione fino a qualche mese fa.

Che cosa hanno a che fare le magnifiche quattro con l’AI (non uso la sigla IA per continuità con i titoli degli articoli), e in particolare con l’AI generativa?

    • Nvidia deve all’AI – che vede (almeno al momento) le sue GPU-graphic processing unit come le migliori in assoluto per l’istruzione dei modelli – la sua enorme crescita, nelle vendite e nell’utile, ma ancor più nella capitalizzazione: circa allineata, dopo una impressionante marcia di avvicinamento, a quelle di Microsoft e Apple, come ben messo in luce dalla Fig. 2.

Le ambizioni di Nvidia sembrano peraltro andare al di là dell’hardware, verso il software e le applicazioni, e anche per questo essa è diventata uno dei principali punti di approdo delle risorse umane di maggior talento nell’AI, in una fase in cui “The war for AI talent is heating up – Big tech firms scramble to fill gaps as brain drain sets in” [EC_1]. E il suo enorme successo l’ha fatta recentemente entrare nel mirino dell’antitrust statunitense [NYT_1].

    • Microsoft, oltre che (come detto) grande finanziatore di OpenAI e regista della gigantesca campagna d’immagine, è stata la prima delle big tech a inserire l’AI in tutti i suoi prodotti ed è quella che ha visto maggiormente crescere l’attività del suo cloud, punto privilegiato per l’accesso a ChatGPT. Oltre che in OpenAI è entrata recentemente nel capitale della francese Mistral e – non potendo procedere all’acquisizione di Inflection.ai (una startup di notevole valore ma in difficoltà finanziarie) per la quasi certezza di un veto da parte delle authority antitrust – ha fatto la scelta creativa (non sfuggita però alla FTC-Federal Trade Commission [NYT_1]) di assorbire al proprio interno la quasi totalità delle persone di Inflection.ai e di nominare CEO della neo-costituita Microsoft AI il suo co-fondatore e CEO Mustafa Suleyman. Microsoft appare vedere strategicamente l’AI come lo strumento per attaccare allo stesso tempo la posizione dominante di Google nel search (ove il suo Bing ha sempre avuto una posizione marginale), la leadership di Amazon nel cloud (ove è seconda ma in crescita relativa) e – con i Copilot+PC (nuove versioni di Windows arricchite con strumenti AI) – i Mac di Apple.
    • Alphabet-Google ha una presenza storica nell’AI (fu al suo interno che nel 2017 nacque Transformer, la metodologia che sta ora alla base dell’istruzione di tutti i modelli AI e la cui iniziale T è inserita nella sigla GPT). Il suo Gemini è il principale concorrente del GPT di OpenAI: in una gara che vede nelle prime posizioni anche il Claude di Anthropic (finanziato tra gli altri da Amazon e dalla stessa Google), il LLama di Meta (a differenza degli altri open source) e probabilmente nel prossimo futuro il Grok della xAI di Elon Musk; in una gara in cui non tutte le AI startup sono in grado di tenere il ritmo dei finanziamenti necessari per la crescita, come visto per Inflection.ai.
    • Apple, che pure introdusse Siri nell’iPhone già nel lontano 2012, è stata sinora la grande assente e anche – ma non solo – per questo motivo è stata penalizzata dal mercato finanziario, con una caduta di mezzo trilione circa della sua capitalizzazione (ora quasi interamente recuperata). Le sue mosse, relativamente all’inserimento dell’AI generativa negli iPhone (ove i grandi competitori a partire da Samsung sono all’attacco) e nei Mac (dove all’attacco vi è Microsoft) sono attese dal mercato a breve: “How Apple Fell Behind in the AI Arms Race – After years of playing it safe with general artificial intelligence, Apple is set to unveil new features next week” [WSJ_2].

Messe assieme (Tab. 1), le magnificent four capitalizzano 11,3 trilioni di dollari. Se alle quattro si aggiungono Amazon e Meta si arriva a 14,5 trilioni e se si ricostituiscono le magnificent seven, ma con la taiwanese TSMC – leader mondiale nel manufacturing dei microprocessori – al posto di Tesla (che sta risentendo delle tensioni nel mercato delle auto elettriche), si arriva a 15,3 trilioni: equivalenti, per fornire un ordine di grandezza, a quasi il 60 per cento del PIL statunitense 2023 e a oltre 6 volte e mezzo quello italiano. Perché TSMC?

  • perché essa occupa (Tab. 1) il nono posto assoluto al mondo per market cap (il settimo fra le tech), mentre Tesla è scivolata al quindicesimo posto (il nono fra le tech), con un valore – 566 miliardi circa – di un terzo inferiore a quello di TSMC e pari a circa la metà del suo massimo storico di novembre 2021;
  • per la sua grande crescita di valore (Tab. 3) nei primi 5 mesi di quest’anno, inferiore a quella di Nvidia ma di gran lunga superiore a quella dello S&P 500;
  • perché essa, forte del fatto di non avere reali concorrenti per il ruolo di contract manufacturer delle GPU di Nvidia, appare aver appena concordato con Nvidia stessa una variazione contrattuale che le garantirà una fetta della torta più ampia;
  • infine perché ha fra i suoi clienti tutte le big five (Microsoft, Apple, Alphabet-Google, Amazon e Meta), che pur continuando ad acquistare i microprocessori di Nvidia stanno mettendo a punto i propri: un po’ inferiori come prestazioni, ma più che adeguati quando devono essere istruiti modelli – come si vedrà nel seguito in crescente popolarità – con un numero molto più limitato di parametri.

Crescono gli investimenti in infrastrutture per l’AI ma anche la loro concentrazione in poche mani

Se è vero che la Borsa continua a premiare le imprese tech a maggiore capitalizzazione – le magnificent four piuttosto che le magnificent seven – è anche vero che sono esse che fanno i maggiori investimenti per promuovere la crescita e la diffusione dell’AI generativa. La somma ad esempio degli investimenti di Microsoft, Alphabet-Google, Amazon e Meta previsti per il 2024 – in buona misura destinati al potenziamento delle infrastrutture per l’AI – è stimata pari a circa 200 miliardi di dollari.

E le imprese a più elevata capitalizzazione sono anche quelle che, soprattutto nel 2023, hanno maggiormente investito in quote delle AI startup più promettenti: con finalità non meramente finanziarie, come viceversa le società di venture capital (Andreessen Horowitz e Sequoia Capital tra le più famose), ma prevalentemente interconnesse con accordi reali: riguardanti ad esempio la messa a disposizione delle AI startup delle proprie risorse di calcolo per l’istruzione dei modelli AI piuttosto che il supporto (sempre ripagato con quote di capitale) alle AI startup che rendono accessibili i loro modelli (una volta istruiti) sui propri cloud. Non sono infrequenti poi progetti di ricerca svolti in comune, che permettano alle big di sfruttare le competenze degli AI talent operanti nelle startup.

La Tab. 2 [EC_2] riporta l’elenco delle principali AI startup, ordinate sulla base dei finanziamenti complessivamente ricevuti e con una informazione sul valore ad esse attribuito in occasione del round più recente di finanziamenti. OpenAI è la startup di maggior valore – 86 miliardi di $ – ed è quella che ha ricevuto i maggiori finanziamenti (essenzialmente da Microsoft), seguita da Anthropic per i finanziamenti ricevuti e invece da xAI per il valore: quest’ultimo presumibilmente più alto per la fama di cui gode Elon Musk, fondatore e maggior azionista di xAI. E xAI, in questo momento, appare essere in lotta con Meta per un accordo di collaborazione con Character.ai (“Meta and Elon Musk’s xAI fight to partner with chatbot group Character.ai – Talks come as Big Tech seeks tie-ups with Silicon Valley artificial intelligence firms” [FT_2].

I dubbi delle grandi testate economiche internazionali

A fronte di una Borsa che, seppur con qualche momentaneo retropensiero, continua come visto a premiare un numero ristretto di imprese, sino a far superare contemporaneamente all’inizio di giugno a ben tre di esse la soglia dei 3 trilioni di dollari, sono apparsi nel giro di pochissimi giorni, sulle più note testate economiche internazionali, una serie di articoli con molti dubbi non tanto sul futuro dell’AI in generale, quasi impossibile da decifrare per i cambiamenti indotti sia dai continui incrementi degli ordini di grandezza nella potenza di calcolo sia dalla messa a punto di nuovi strumenti concettuali per l’analisi e l’elaborazione dei dati (quali il Transformer visto in precedenza alla base dei modelli attuali) , quanto sulla reale utilità – per le imprese e per i consumatori finali – dei prodotti e servizi sinora messi a punto per sfruttare l’AI generativa, sui loro costi effettivi e sui problemi ambientali che generano, sulle prospettive dei ritorni per gli investitori.

Cercherò di riportare alcuni dei dubbi che mi sembrano più significativi, conscio come detto del fatto che in una realtà in così veloce movimento nuovi approcci – più attenti al mercato che alla spettacolarità, più attenti ai risultati di bilancio che non a gonfiare le capitalizzazioni – potranno cancellare, o almeno ridurre la portata, di diversi di questi dubbi.

“Il ritmo di innovazione è in calo, l’utilità è limitata, il costo per farla funzionare continua a essere esorbitante”, ha scritto ad esempio Christofer Mims – technology columnistdi WSJl – in un articolo di fine maggio intitolato “The AI Revolution is Already Losing Steam” [WSJ_3]: un articolo in cui egli sostiene che notevoli delusioni potrebbero essere all’orizzonte, in relazione sia a quello che l’AI generativa può realmente fare, sia ai ritorni che essa potrà generare per gli investitori. E il giorno prima era stata la volta del senior market columnist dello stesso WSJ James Mackintosh – nell’articolo “This Record Stock Market Is Riding on Questionable AI Assumptions” [WSJ_1] già citato in precedenza – a commentare gli incredibili incrementi nelle capitalizzazioni delle magnificent four, a fronte di aspettative a suo avviso illusorie sulle reali prestazioni e quindi sulle reali prospettive di crescita della domanda. Lo stesso giorno Richard Waters, west coast editor di FT, in un articolo dal titolo significativo “AI’s biggest promise for consumers remains just that — a promise“ [FT_3], si poneva retoricamente la domanda, a nome dei consumatori: “quando e come questa nuova costosa tecnologia renderà le cose migliori per me?”. Una domanda che egli più volte si era scetticamente posto nei mesi scorsi, a fronte della gigantesca operazione di marketing posta in essere da Sam Altman di OpenAI e da Microsoft e dei suoi riflessi reali: con i microprocessori di Nvidia quali principali beneficiari seguiti a distanza dai servizi cloud di Amazon, Microsoft e Google.

I dubbi riguardano in sintesi l’attrattività dell’AI generativa per gli acquirenti finali (consumatori o imprese):

  • la loro disponibilità ad acquistare prodotti e servizi centrati totalmente o quasi sull’AI stessa (quali ad esempio l’accesso via cloud al GPT di OpenAI piuttosto che al Claude di Anthropic) e in stretta interconnessione la remuneratività dei prezzi che sono disposti a pagare;
  • la loro disponibilità (non considerata così certa dagli analisti), a fronte ad esempio del prossimo affiancamento agli attuali PC dei più costosi AI PC (“notebook and desktop computers embedded with specialised silicon to run AI applications such as digital assistants and software that can generate everything from code to videos on the device itself, rather than relying on cloud services” [FT_4]), avviato come detto da Microsoft e visto dal CEO di Intel come “il più eccitante momento dall’arrivo di WiFi 25 anni fa”, a “rispettare” le previsioni di Morgan Stanley Research (Fig. 4) di un aumento del tasso di penetrazione dei secondi al 65% nel 2028.

È superfluo ricordare che mentre in questa fase di messa a punto delle infrastrutture:

  • sono le imprese collocate più a monte nella filiera – operanti nella progettazione dei microprocessori (ove è leader Nvidia), nel loro manufacturing (ove è leader TSMC) e nella messa a punto delle apparecchiature fotolitografiche per il manufacturing (ove leader è l’olandese ASML) – che godono della domanda più elevata e certa e presentano i bilanci più brillanti;
  • sono le imprese più impegnate nei grandi investimenti infrastrutturali, essenzialmente le big tech, che vengono ampiamente premiate sulla fiducia dalla Borsa, che scommette (essendo poco visibili quelli correnti) sui ritorni che l’IA generativa sarà in grado di garantire nel futuro;

tutto cambierebbe se la domanda finale non cominciasse a mostrare segni significativi di interesse: calerebbe la domanda di microprocessori e si ridimensionerebbero drasticamente gli investimenti infrastrutturali. La domanda consistente di AI talent [EC_1] anche da parte delle imprese che si occupano delle applicazioni indica che le esplorazioni sono in corso, ma i grandi risultati sono ancora da vedere.

Grandi modelli istruiti con un numero enorme di dati o modelli più piccoli ma più focalizzati e attenti alla qualità dei dati?

Mi sono chiesto più volte, dal lancio di ChatGPT (con la messa a disposizione per la prima volta dell’AI al largo pubblico) in poi, il perché della corsa a mettere a punto modelli sempre più grandi, in una gara estremamente costosa che coinvolge – come visto e come ben noto – AI startup e big tech, con legami complessi fra loro. Mi è tornata alla mente, dai ricordi degli studi classici, la voglia di conoscere e far conoscere tutta la cultura del tempo di:

  • un personaggio rinascimentale come Pico della Mirandola (1463-1494), che – come ricorda Wikipedia – aveva grandi doti nel campo della matematica; padroneggiava perfettamente molte lingue (latino, greco, ebraico, aramaico, arabo e francese); era celebre in tutta Europa per la sua memoria che si diceva fosse talmente fuori dal comune da ricordare l’intera Divina Commedia e molte altre opere letterarie e scientifiche.
  • Due personaggi del “secolo dei lumi”, come Diderot (1713-1784) e d’Alembert (1717-1783), che lavorarono per oltre vent’anni per condensare in un’opera a molte mani, la famosa “Encyclopédie – dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers”, tutte le conoscenze nei campi più svariati di allora.

Ho pensato, tornando ai giorni nostri, alla sfida su chi per primo riuscisse a soddisfare il famoso test di Turing, proposto dal celebre scienziato inglese nel 1950 come metro per misurare il raggiungimento/ superamento dell’intelligenza umana da parte di una intelligenza artificiale. Un obiettivo cui sicuramente è sensibile Sam Altman, CEO di OpenAI e apostolo di ChatGPT in tutto il mondo, che recentemente [FT_5] – in occasione della presentazione dei modelli più piccoli e focalizzati messi a punto dalla società – ha dichiarato che comunque “OpenAi would remain focused on building larger AI models with scaled-up capabilities, including the ability to reason, plan and execute tasks and eventually achieve human-level intelligence”. Un obiettivo cui è sensibile sicuramente Elon Musk, che in occasione del lancio della sua xAI ha pronosticato il superamento del test di Touring come un qualcosa ormai molto prossimo.

Non è una questione però solamente di orgoglio, anche se ho sempre creduto all’importanza delle motivazioni non strettamente economiche, soprattutto laddove l’innovazione gioca un ruolo importante. È una questione anche economica, per l’impatto sull’opinione pubblica, per le speranze sul futuro che si vengono a creare, in ultima analisi per l’impatto sulla Borsa. Mentre i modelli piccoli e focalizzati hanno più speranze di essere redditizi, i grandi modelli sono quelli che con il loro sensazionalismo – come accadde ai tempi della formazione della bolla Internet – più impattano sulla Borsa: con la differenza, rispetto a quanto accadde alla fine del secolo scorso, che le imprese che stanno traendo i maggiori vantaggi in termini di incremento della loro capitalizzazione sono le stesse – il discorso vale meno per Nvidia e TSMC – che già prima dominavano la scena mondiale. E le AI startup di maggiore successo, che viceversa sono lontanissime dal pareggio di bilancio, sono rassicurate dalla presenza delle big nel loro capitale.

Perché i modelli piccoli e focalizzati hanno più speranza di essere profittevoli dei grandi e spingono le big tech – che pur non rinunciano ai grandi – a puntare in misura crescente sui piccoli (”Artificial intelligence companies seek big profits from ‘small’ language models – Microsoft, Meta and Google have released new versions with fewer ‘parameters’ that are cheaper to build and train”? [FT_5])?

Riassumendo punti in parte già visti in precedenza, il loro primo vantaggio mi sembra essere la focalizzazione su obiettivi precisi, e non general-generici, che

  • permette innanzitutto una maggiore selettività nella scelta dei dati da utilizzare in fase di istruzione, ponendo più attenzione sulla loro qualità e riducendo – anche se non cancellando del tutto – la probabilità dell’emergere delle cosiddette allucinazioni;
  • permette un maggior controllo a priori sui rischi di violazione sia della privacy sia della proprietà intellettuale: un tema quest’ultimo che è diventato estremamente critico per l’istruzione dei grandi modelli, tanto da spingere OpenAI a sottoscrivere accordi (Tab. 3) anche molto onerosi con i grandi editori (250 milioni di $ distribuiti su 5 anni quello con News Corp) per il diritto di sfruttamento dei loro archivi;
  • riducendo drasticamente la complessità dei modelli (in gergo il loro numero di parametri), riduce in larga parte dei casi anche la necessità di utilizzare nella fase di istruzione le GPU più raffinate, quali quelle di Nvidia, a favore di quelle (meno costose) messe a punto dalle imprese concorrenti o progettate in casa dalle big tech;
  • permette, se tali modelli AI vengono inseriti negli smartphone o negli AI PC, di farli funzionare – per tutta una serie di compiti – senza la necessità di connessione con la rete, con vantaggi per la sicurezza e per la protezione della privacy;
  • riduce i consumi energetici, con vantaggi per l’ambiente ma anche per i bilanci.

“I robot sono sempre più intelligenti: diventano più capaci, più facili da programmare e più bravi a spiegarsi.” (The Economist)

Ho rubato il titolo di questo paragrafo a The Economist, per evidenziare

  • come, al di là dei servizi virtuali offerti attualmente dalle big tech e da alcune delle AI tech più capitalizzate, esista un mondo di applicazioni reali nei comparti più diversi, e
  • come quelle nell’ambito della robotica possano giocare un ruolo particolarmente importante in un settore – trasversale per eccellenza e ricco di criticità – quale quello del lavoro.

Proprio su questo rapporto è focalizzato l’articolo di The Economist, il cui titolo completo è ““Three reasons why it’s good news that robots are getting smarter” [EC_3] e di cui riporto le considerazioni conclusive: “Le economie avanzate avranno bisogno di più automazione se vogliono mantenere i loro standard di vita. La Corea del Sud, il Giappone e la Cina sono tra i 5 Paesi con il rapporto più alto fra numero di robot e numero di lavoratori nel comparto manifatturiero. E non è una coincidenza che essi siano in una fase di rapido invecchiamento. Senza l’aiuto dei robot, più persone dovrebbero lavorare più a lungo e ritardare il pensionamento. Nei prossimi l’attitudine nei riguardi dei robot potrebbe rovesciarsi: da timore per il loro arrivo [rubando posti di lavoro] a desiderio di un loro arrivo il più presto possibile”.

L’antitrust Usa e l’AI: lo sviluppo dell’AI non deve diventare un affare interno delle “magnificent six”

U.S. Clears Way for Antitrust Inquiries of Nvidia, Microsoft and OpenAI – The Justice Department and the Federal Trade Commission agreed to divide responsibility for investigating three major players in the artificial intelligence industry” è il titolo neutrale dell’articolo [NYT_1] in cui The New York Times racconta l’accordo raggiunto fra le due componenti dell’antitrust statunitense su come dividersi I compiti nell’attacco a Nvidia, Microsoft e OpenAI: l’Antitrust Division del DoJ-Department of Justice investigherà sulla correttezza delle pratiche di Nvidia (sul suo software secondo le indiscrezioni, che appare impedire ai clienti di utilizzare insieme alle sue GPU quelle di altri, e sulle modalità con cui decide le priorità di consegna ai clienti); la FTC-Federal Trade Commission si occuperà invece di Microsoft e della sua creatività nell’individuare formule per aggirare i vincoli all’acquisizione di startup ad alto potenziale innovativo (OpenAI in primo luogo, coinvolta direttamente nell’investigazione, ma anche Inflection.ai). Più diretto il titolo dell’intervista [FT_6] al capo della divisione antitrust del DoJ – “Big Tech’s AI dealmaking needs ‘urgent’ scrutiny, says US antitrust enforcer – Jonathan Kanter pushes for ‘meaningful intervention’ over concentration of power in artificial intelligence sector”, che spiega chiaramente come non siano nel mirino solo Nvidia e Microsoft, ma anche le altre quattro big tech statunitensi (da cui l’appellativo “magnificent six”) – Apple, Alphabet-Google, Amazon e Meta – tutte peraltro in fasi avanzate dei processi per le accuse loro rivolte anni addietro dal DoJ o dalla FTC. Kantor dice qualcosa di più, che egli sta esaminando I punti di strozzatura che possono favorire la formazione di monopoli, nonchè il contesto competitivo più generale, “encompassing everything from computing power and the data used to train large language models, to cloud service providers, engineering talent and access to essential hardware such as graphics processing unit chips.” E sottolinea l’importanza di muoversi con urgenza, per assicurarsi che le già dominanti imprese tech non prendano il controllo completo del mercato.

Il mio commento:

  • senza un cambiamento “stile UE” delle regole del gioco, con una definizione a priori dei soggetti che per la loro rilevanza e dimensione devono essere sottoposti a un trattamento diverso (con maggiori obblighi di richieste di autorizzazioni a priori per le operazioni ritenute più critiche), saranno moltissime le argomentazioni “a favore” a disposizione degli avvocati – unici sicuri beneficiari di processi destinati a durare per tempi lunghissimi – che difendono gli interessi delle magnifiche sei sotto attacco
  • non esistono collusioni visibili a occhio nudo fra le magnifiche sei stesse, che possano far pensare alla presenza di un grande oligopolio, ma sembra piuttosto essere in atto una guerra “interna” fra loro: con Microsoft che vuole come detto attaccare Alphabet-Google, Amazon e Apple nelle tre aree di business in cui queste ultime sono dominanti; con Nvidia che cerca di sfruttare il momento favorevole per allargare la sua presenza; con OpenAI e Microsoft che, nonostante i rapporti azionari, giocano spesso in contrapposizione; con le AI startup che con poche eccezioni vivono la presenza delle big come un’ancora di sicurezza, a livello societario e ancor più personale;
  • non esistono significativi concorrenti esterni – se non a livello geopolitico – che vogliano assumersi l’onere di investire nella crescita delle grandi infrastrutture per la diffusione dell’AI.

È un caso che non credo si sia mai presentato nella storia e che richiede quindi cambiamenti delle regole del gioco: gli europei lo hanno capito, peccato però che abbiano un ruolo marginale nell’AI (se non per la presenza di ASML) e che abbiano in generale un numero estremamente ridotto di imprese tech competitive su scala mondiale.

Gli articoli citati nel testo

  • EC_1 “The war for AI talent is heating up – Big tech firms scramble to fill gaps as brain drain sets in”, 8 giugno
  • EC_2 Can Elon Musk’s xAI take on OpenAI? – It has some advantages. But it is entering a crowded field”, 29 maggio
  • EC_3 Three reasons why it’s good news that robots are getting smarter – They are becoming more capable, easier to program and better at explaining themselves”, 6 giugno
  • FT_1 “Nvidia market cap jumps by $350bn amid ‘gamma squeeze’ – Options trading frenzy fuels wild swings in share price”, 1giugno
  • FT_2Meta and Elon Musk’s xAI fight to partner with chatbot group Character.ai – Talks come as Big Tech seeks tie-ups with Silicon Valley artificial intelligence firms”, 24 maggio
  • FT_3AI’s biggest promise for consumers remains just that — a promise“- An arm’s race is in full swing in the personal computing and smartphone worlds but fundamental problems are unresolved”, Richard Waters, 30 maggio
  • FT_4 ‘Most exciting moment’ since birth of WiFi: chipmakers hail arrival of AI PCs – Intel, AMD, Qualcomm and Nvidia battle to get their processors into next wave of artificial intelligence-enabled computers”, 6 giugno
  • FT_5 Artificial intelligence companies seek big profits from ‘small’ language models – Microsoft, Meta and Google have released new versions with fewer ‘parameters’ that are cheaper to build and train”, 20 maggio
  • FT_6 Big Tech’s AI dealmaking needs ‘urgent’ scrutiny, says US antitrust enforcer – Jonathan Kanter pushes for ‘meaningful intervention’ over concentration of power in artificial intelligence sector”, 6 giugno
  • NYT_1 “U.S. Clears Way for Antitrust Inquiries of Nvidia, Microsoft and OpenAI – The Justice Department and the Federal Trade Commission agreed to divide responsibility for investigating three major players in the artificial intelligence industry”, 5 giugno
  • WSJ_1This Record Stock Market Is Riding on Questionable AI Assumptions – Just four giant technology stocks [Microsoft, Apple, Nvidia and Alphabet-Google] added more market value [$1.4 trillion] than the rest of the S&P 500 put together this month. More than half of the gain came from Nvidia”, James Mackintosh, 30 maggio
  • WSJ_2How Apple Fell Behind in the AI Arms Race – After years of playing it safe with general artificial intelligence, Apple is set to unveil new features next week”, 5 giugno
  • WSJ_3The AI Revolution is Already Losing Steam”- The pace of innovation in AI is slowing, its usefulness is limited, and the cost of running it remains exorbitant”, Christofer Mims, 31 maggio

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