L’AI sta trasformando radicalmente il mondo della pubblicità digitale, automatizzando la pianificazione e l’acquisto di annunci con strumenti come Performance Max di Google e Advantage+ di Meta.
Se da un lato l’AI promette maggiore efficienza e migliori risultati, dall’altro riduce il controllo degli inserzionisti, lasciando molte decisioni nelle mani degli algoritmi.
Molti marketer si affidano comunque a questi strumenti, privilegiando il ritorno sulle vendite rispetto alla trasparenza, mentre le piattaforme digitali ne traggono enormi vantaggi economici. Il dibattito tra efficienza e perdita di controllo resta aperto, con la necessità di trovare un equilibrio tra automazione e autonomia nelle strategie pubblicitarie.
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L’AI nell’ad buying: efficienza o perdita di controllo per i marketer?
Gli inserzionisti si trovano sempre più spesso a dover scegliere tra efficienza e controllo nell’adozione di strumenti basati sull’AI per la pianificazione e l’acquisto di annunci pubblicitari digitali. Queste soluzioni, sviluppate da colossi come Google e Meta, promettono di automatizzare quasi ogni fase delle campagne pubblicitarie, ottimizzando i risultati ma limitando la trasparenza sulle decisioni prese dagli algoritmi. Il funzionamento è semplice: i marketer impostano parametri generali, come budget e obiettivi di vendita, dopodiché l’AI decide dove mostrare gli annunci, a chi indirizzarli e, in alcuni casi, persino come dovrebbero apparire. Tuttavia, questo sistema lascia agli inserzionisti poca visibilità sulle scelte effettuate dall’algoritmo.
Di fatto, possono solo premere un pulsante e lasciare che la campagna si gestisca da sola. Secondo i suoi sostenitori, l’AI può migliorare significativamente l’efficienza delle campagne pubblicitarie. TikTok, Amazon e Pinterest si sono uniti a Google e Meta nel lancio di strumenti simili nell’ultimo anno, puntando su un approccio sempre più automatizzato. Ma chi trae davvero vantaggio da questa evoluzione? Secondo Karsten Weide, consulente in tecnologia pubblicitaria, questi strumenti favoriscono soprattutto le piattaforme digitali, che possono vendere pubblicità in modo più efficace a piccole e medie imprese, ovvero quelle che non dispongono delle risorse per gestire strategie pubblicitarie complesse. Per le grandi aziende, invece, il compromesso tra automazione ed esposizione al “black box” dell’AI resta un nodo cruciale da sciogliere.
Automazione sì, ma a quale prezzo? Il dilemma del controllo per gli inserzionisti
Se da un lato l’AI sta rivoluzionando il mondo della pubblicità digitale, dall’altro molti inserzionisti si trovano a fare i conti con una realtà che li mette a disagio: la perdita di controllo sulle proprie campagne. “È quasi un male necessario”, afferma Nicole Fisch, vicepresidente senior del marketing presso Lalo, brand di prodotti per bambini che utilizza Performance Max, il sistema pubblicitario basato su AI di Google. “Vedi i numeri e ti rendi conto che generano vendite, ma… a quale prezzo?” .
Performance Max è una piattaforma che permette agli inserzionisti di impostare obiettivi generali – come budget, target di conversione e metriche di vendita – e lascia che l’AI di Google gestisca tutto il resto, decidendo dove pubblicare gli annunci, a chi mostrarli e persino come ottimizzarne l’aspetto in base al contesto.
I report di Google indicano spesso Performance Max come una soluzione più efficiente rispetto alle campagne tradizionali, con rendimenti superiori. Secondo Fisch, il team di Lalo però non ha modo di verificare se gli annunci abbiano effettivamente raggiunto il proprio target di riferimento – genitori attenti al design – né può selezionare in modo preciso i siti web e le app su cui gli annunci vengono visualizzati. Nonostante queste criticità, sempre più marketer scelgono di affidarsi a questi strumenti. Secondo Ben Hovaness, chief media officer di OMD (parte del colosso Omnicom), il futuro è già scritto: “Gli agenti di acquisto basati sull’AI gestiranno oltre l’80% degli acquisti di media digitali entro il 2030.” L’automazione sembra dunque inarrestabile, ma il dibattito sul bilanciamento tra efficienza e perdita di controllo resta aperto.
Meno controllo, meno trasparenza: la sfida dell’AI nella pubblicità digitale
Per anni, i marketer hanno richiesto maggiore controllo e trasparenza nella gestione dei budget pubblicitari, cercando di ottimizzare il posizionamento degli annunci su un panorama digitale sempre più frammentato. Oggi, però, i colossi del settore sembrano andare nella direzione opposta, potenziando l’AI e riducendo il ruolo decisionale degli inserzionisti. Uno degli esempi più evidenti è Advantage+ di Meta, un sistema che automatizza la distribuzione degli annunci all’interno delle sue piattaforme, come Facebook e Instagram, decidendo in autonomia il pubblico target e l’allocazione del budget. A differenza di Performance Max di Google, che può distribuire le campagne su un ecosistema più ampio, Advantage+ resta confinato agli ambienti Meta, con un approccio fortemente guidato dagli algoritmi. Molti marketer ormai definiscono questi strumenti delle “scatole nere”, perché non offrono visibilità su dove e a chi vengono mostrati gli annunci, né su quali fattori influenzano i risultati finali. “L’idea è rinunciare al controllo e fidarsi dell’algoritmo”, afferma Zach Thompson, direttore delle operazioni pubblicitarie di Arm Candy. L’agenzia, che inizialmente destinava il 45% del budget e-commerce di alcuni clienti agli strumenti di AI, ha poi ridimensionato il loro utilizzo, consigliandoli solo in casi specifici. Secondo Thompson, sebbene l’AI abbia migliorato metriche come il tasso di click-through (CTR) e il costo per clic (CPC), in molti casi non ha portato a un aumento significativo delle vendite.
L’AI nell’ad buying: vendite prima di tutto
Nonostante le critiche sulla trasparenza, molti marketer hanno comunque scelto di affidarsi a questi strumenti basati sull’AI, privilegiando i risultati sulle vendite rispetto al controllo diretto sulle campagne. Secondo Ben Kruger, Chief Marketing Officer di Event Tickets Center, Performance Max di Google garantisce un traffico più elevato rispetto alle tradizionali campagne di ricerca. “Finché ci porta vendite redditizie, non mi interessa davvero dove venga mostrato e cosa stia facendo”, afferma Kruger. L’azienda ora destina circa il 10% del suo budget annuale di 100 milioni di dollari a Performance Max.
Anche Advantage+ di Meta ha dimostrato vantaggi operativi. Kevin Meikle, direttore del marketing digitale di Saxx, spiega che l’uso dell’AI ha ridotto il tempo dedicato alla configurazione delle campagne e all’identificazione dei lead, permettendo al team di concentrarsi su altri canali pubblicitari e sulla strategia creativa. Saxx investe tra il 20% e il 30% del budget pubblicitario su Meta in Advantage+, una quota che in alcuni periodi ha raggiunto il 50%-60%, a seconda delle fluttuazioni dei costi pubblicitari. Nel tentativo di rispondere alle preoccupazioni degli inserzionisti, Google e Meta hanno introdotto alcune migliorie. Da marzo 2024, ad esempio, gli utenti di Performance Max possono escludere fino a 20.000 siti o app dalle loro campagne. Tuttavia, resta aperta la questione di quanto controllo sia realmente sufficiente per i marketer che vogliono bilanciare automazione ed efficacia.
L’AI domina l’ad buying: chi ne trae davvero vantaggio?
Nonostante i miglioramenti introdotti, molti marketer preferirebbero scegliere dove far comparire i propri annunci, piuttosto che limitarsi a escludere alcune piattaforme. Anche una lista di 20.000 siti e app bloccabili rimane solo una frazione dei miliardi di spazi disponibili nel digitale. Tuttavia, per i giganti tecnologici, l’approccio dell’AI-driven advertising sta dando risultati concreti. Secondo Susan Li, CFO di Meta, l’adozione di Advantage+, lo strumento che automatizza le campagne di shopping online, è cresciuta del 70% su base annua e potrebbe generare fino a 20 miliardi di dollari l’anno. Meta ha ricevuto feedback estremamente positivi e sta ora testando una nuova configurazione che attiverà automaticamente gli strumenti di AI per determinati tipi di campagne, semplificando il lavoro per gli inserzionisti.
Anche Google punta sempre più sull’AI. Philipp Schindler, Chief Business Officer di Alphabet, ha confermato che l’azienda continuerà a sviluppare strumenti avanzati per la creazione e l’acquisto di annunci pubblicitari. “Quando gli inserzionisti hanno successo, anche noi abbiamo successo, quindi i nostri interessi sono molto allineati”, ha dichiarato Brendon Kraham, vicepresidente globale degli annunci di ricerca e commercio di Google. Ma il vero equilibrio tra interessi delle piattaforme e controllo degli inserzionisti resta ancora da trovare. Secondo Ben Hovaness, il settore pubblicitario deve spingere le big tech a garantire maggiore trasparenza e controllo, man mano che l’AI assume un ruolo sempre più dominante nei budget pubblicitari dei brand. Ma i colossi del digitale hanno priorità chiare. Karsten Weide evidenzia che il loro obiettivo principale è rafforzare la propria posizione in un mercato sempre più volatile. “Fanno ciò che è nel loro interesse e, nella misura in cui ciò coincide con gli interessi degli inserzionisti, lo faranno. Ma non oltre”, conclude Weide.
Considerazioni conclusive sulla trasformazione del marketing digitale
L’adozione crescente degli AI-driven ad tools evidenzia il cambiamento strutturale nel settore della pubblicità digitale. L’automazione sta ridisegnando il rapporto tra inserzionisti e piattaforme tecnologiche, spostando il potere decisionale verso gli algoritmi. Sebbene i vantaggi in termini di efficienza e scalabilità siano innegabili, il rischio per i marketer è la perdita di trasparenza e controllo sulle proprie campagne. Il futuro dell’advertising dipenderà dalla capacità delle aziende di bilanciare automazione e strategia, mantenendo una supervisione efficace senza rinunciare alla flessibilità. La sfida sarà capire fino a che punto convenga affidarsi all’AI senza perdere il controllo sul proprio brand.