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Antitrust e Apple, anche in Italia la sfida sul futuro degli ecosistemi digitali



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Anche in Italia si affronta la questione delle pressioni concorrenziali interne ed esterne agli ecosistemi digitali e sulle conseguenze di mercato che queste innescano. Gli ecosistemi sono sempre più chiusi, con conseguenze sulla concorrenza, mentre arrivano leggi e indagini per riequilibrare i rapporti

Pubblicato il 15 mag 2023

Valeria Falce

Jean Monnet Professor of EU Innovation Policy; Professor in Digital Transformation and AI Policy; Ordinario di diritto dell’economia nell’Università Europea di Roma e Direttore ICPC – Innovation, Regulation and Competition Policy Centre



Apple Epic

L’istruttoria appena avviata dall’Antitrust nei confronti di Apple conferma come anche da noi sia in corso una riflessione seria sulle pressioni concorrenziali interne ed esterne agli ecosistemi digitali e sulle conseguenze di mercato che queste innescano.

L’indagine Antitrust italiano su Apple

L’Antitrust, infatti, intende accertare se il diverso trattamento in termini di politica di privacy applicato nei confronti degli sviluppatori terzi di app rispetto a quello praticato all’interno del proprio ecosistema sia giustificato ovvero qualifichi una condotta discriminatoria abusiva.

Capace in quanto tale, da un lato, di interferire sulla capacità dei concorrenti di entrare o rimanere nel mercato dello sviluppo e della distribuzione di app e, dall’altro, di avvantaggiare ingiustificatamente le proprie app e, di conseguenza, gli apparati mobili e il sistema operativo iOS Apple.

Saranno i fatti a chiarire contesto, rationale ed effetti (di legittima distruzione creativa ovvero di illegittima soppressione della concorrenza).

Il vero punto

Il punto è però un altro: dall’emersione delle piattaforme ad oggi gli equilibri di mercato sono cambiati e continuano ad evolvere a velocità vertiginosa.

Prima, le piattaforme raffinavano dati e da esse estraevano valore, affacciandosi al mercato e guadagnano spazi concorrenziali. Grazie a data analitics e sistemi di intelligenza artificiale, venivano sempre più e meglio addestrate così da offrire servizi migliori, che venivano vagliati, scelti e preferiti dal mercato.

Ora, le piattaforme spuntano rapidamente e rapidamente vengono spazzate vie. A rimanere sono gli ecosistemi digitali che offrono prodotti e servizi tra loro tecnologicamente connessi e funzionalmente complementari.

Esempi di ecosistemi “felici” oltre ad Apple, sono Google, che, in aggiunta al motore di ricerca, si espande su prodotti e servizi collegati, come i browsers, cioè i software per navigare su internet, i sistemi operativi e il video streaming, o anche Facebook, che dal social network si “allarga” a prodotti e servizi contigui ma anche distanti, dal gaming alla messaggistica, dalla rivendita al dettaglio ai devices.

Com’è cambiata la concorrenza

Prima, la concorrenza era “tra” e “all’interno” delle piattaforme, i mercati risultavano dinamici, i processi innovativi, disruptive e veloci. Ora, è più difficile competere con un ecosistema (perché addestrato in maniera ineguagliabile) ed è più difficile entrare a farne parte se non alle condizioni che questo richiede.

Lnnovazione che raggiunge il mercato è prevalentemente quella che sostiene l’ecosistema e non anche quella capace di interferire se non di scardinarne i modelli di business.

Le ragioni sono diverse: ciascuna spiegata dall’economia dei sistemi a rete.

L’ecosistema, innanzitutto, per il fatto di offrire prodotti vuoi integrati vuoi complementari, è in grado di generare consistenti economie di scala perché con gli stessi fattori produttivi si possono produrre beni e servizi diversi e i risparmi aumentano all’aumentare delle quantità.

Inoltre, quanto più si estende su mercati diversi, più si fortifica, perché il valore dell’ecosistema e dei suoi servizi aumenta all’aumentare del numero di utilizzatori.

E consolida la propria posizione grazie ai dati, che, trattati e raffinati con sofisticate tecniche di intelligenza artificiale, sono in grado di intercettare, prima, e creare, poi, nuovi bisogni, classificare emozioni, indirizzare orientamenti. Ancora, poiché le forme di “occupazione preventiva” di spazi e ambiti di possibile interesse commerciale assicurano un vantaggio competitivo, predilige collaborazioni intersettoriali e acquisizioni strategiche, ma anche forme innovative di appropriazione di beni immateriali.

Sin qui tutto bene e tutto legittimo.

Di qui in poi ciascun ecosistema decide per sé e sceglie se adeguarsi o contravvenire al nuovo ordine giuridico che sta prendendo forma, in cui concorrenza e regolazione (in corso i lavori di adeguamento del sistema interno ai Regolamenti DMA, DSA e DGA, già in vigore le nuove norme sull’abuso di dipendenza economica e sulle killer acquisitions) contribuiscono a dare impulso all’innovazione, favoriscono mercati aperti e concorrenziali, e responsabilizzano gli ecosistemi digitali all’insegna dello statuto della correttezza.


Rubrica “Innovation Policy: Quo vadis?” a cura dell’ICPC-Innovation, Regulation and Competition Policy Centre

(https://www.universitaeuropeadiroma.it/ricerca/economia-e-management/centri-e-laboratori-di-ricerca/innovation-regulation-and-competition-policy-centre-icpc/)

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