condotte anticoncorrenziali

Antitrust, perché la super multa a Apple e Amazon: nuovi scenari per le big tech

Dall’Agcm, una sanzione da 200 mila euro totali alle due aziende che con la scusa di lottare contro la contraffazione dei rispettivi marchi hanno attuato una chiara condotta anticoncorrenziale. I dettagli del provvedimento

Pubblicato il 30 Nov 2021

Marina Rita Carbone

Consulente privacy

big tech

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha emesso due nuove sanzioni nei confronti di Amazon ed Apple, per un importo complessivo di oltre 200 milioni.

La contestazione riguarderebbe la violazione dell’art. 101 TFUE, che impedisce la creazione di accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri o abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno.

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L’istruttoria nei confronti di Apple

Con riferimento ad Apple, il procedimento istruttorio è stato avviato nel luglio 2020 a seguito di una segnalazione, a febbraio 2019, da parte di Digitech, relativa ai sistemi di vendita online da parte dei prodotti a marchio Apple e Beats, limitata, da quel momento, ai soli soggetti appartenenti al programma ufficiale di rivenditori autorizzati Apple (tra cui rientrava Amazon).

Nel corso dell’istruttoria, AGCM rilevava come “nell’ambito di tale sistema di distribuzione aperto, Apple “nomina” un certo numero di Apple Authorized Reseller per tutti o alcuni prodotti Apple, il che significa che tutti tali rivenditori avranno un contratto con Apple. L’Apple Authorized Reseller Agreement contiene un certo numero di obbligazioni che le parti assumono […] Subordinatamente al rispetto dei termini dell’Agreement, i rivenditori possono avere accesso a una serie di benefici […] nonché l’ammissione a programmi Apple. Ai rivenditori ufficiali, pertanto, vengono riconosciuti dei benefici, quali sconti sugli approvvigionamenti e servizi di supporto, a fronte di un impegno a mantenere la qualità” Tuttavia, il processo di selezione dei rivenditori ufficiali è lasciato alla discrezionalità di Apple, che valuterà “ciò che sembra più opportuno per il cliente, per il rivenditore e per Apple stessa”.

Tra i marketplace autorizzati per la vendita dei prodotti Apple, figura anche Amazon, piattaforma più utilizzata dai rivenditori italiani. Amazon-EU, in qualità di reseller, riceve numerosi benefici da Apple (come sconti sui prodotti) al fine di incentivare le vendite di prodotti Apple originali e combattere la lotta alla contraffazione, potendosi anche rifornire dai distributori autorizzati Apple o direttamente da quest’ultima.

Nel 2017, Apple chiede ad Amazon di riformulare l’accordo già in essere, al fine di controllare l’accesso al marketplace da parte dei rivenditori terzi (gating). Viene così inclusa nel Global Tenents Agreement tra le due società una lista di venditori autorizzati a vendere i propri prodotti sul marketplace Amazon.it.

“La limitazione del numero di rivenditori”, si legge nel provvedimento, “non è dettata da caratteristiche di natura qualitativa, ma è puramente quantitativa, pari a 20 circa rivenditori, i quali saranno selezionati ad uno ad uno (“handpicked”) […] Dal medesimo documento di Amazon precedentemente analizzato emerge, altresì, che i rivenditori proposti da Apple sono poco rilevanti in termini di vendite, mentre Amazon tenta di scegliere, tra i rivenditori ufficiali, quelli che hanno maggiori vendite nel marketplace di ciascuna nazione”.

Il GTA prevede anche delle limitazioni in tema di pubblicità effettuata sul marketplace di Apple, come il divieto di sponsorizzazione, nelle pagine dei prodotti Apple, di prodotti di marche concorrenti, individuate in uno specifico elenco, o la restrizione dei termini di ricerca.

L’accordo, così come formulato, causa non pochi problemi ai rivenditori dei prodotti a marchio Apple, che si trovano dinanzi all’impossibilità di acquisire informazioni sull’ottenimento dell’autorizzazione alla rivendita sul marketplace Amazon.it, anche durante la pandemia da Covid-19, che costringe molte attività a chiudere gli store fisici, in assenza di un canale di distribuzione essenziale. Digitech, in particolare, dichiarava che fosse necessario “verificare la non regolarità di un’azione volta ad escludere dal principale mercato e-commerce italiano migliaia di rivenditori di prodotti Apple e Beats, come la nostra azienda, la quale ha risentito pesantemente del divieto imposto improvvisamente da Amazon.it, in quanto, fino al momento dell’esclusione, basava la sua politica di vendita principalmente sulla vendita di smartphone e computer Apple sul marketplace Amazon.it, con ottimi volumi di vendita e numerosi feedback positivi da parte degli acquirenti”.

Un rivenditore di prodotti Apple sul marketplace Amazon.it fino al gennaio 2019, ritiene che “che sia giusto e condivisibile che i produttori dei brand attuino delle strategie mirate alla tutela dei loro diritti di proprietà intellettuale; ciononostante, allo stesso tempo, a nostro avviso quanto messo in atto dalla Amazon in relazione al brand Apple, oggetto del vostro procedimento, va oltre questa legittima esigenza, in quanto rappresenta una restrizione assoluta della concorrenza”.

Le difese di Apple ed Amazon

Da quanto sinora descritto, emerge chiaramente come le tattiche poste in essere da Apple mediante l’accordo siglato con Amazon costituisca una chiara condotta anticoncorrenziale. Infatti, secondo la giurisprudenza comunitaria, afferma il provvedimento, “in linea di principio, accordi volti ad impedire o limitare il commercio parallelo sono diretti ad impedire la concorrenza, senza che l’esistenza di un oggetto anticoncorrenziale possa essere subordinata alla prova che l’accordo implichi inconvenienti per i consumatori finali, in quanto l’art. 101 del TFUE non è destinato a tutelare soltanto gli interessi di concorrenti o consumatori, bensì la struttura del mercato e, in tal modo, la concorrenza in quanto tale”.

Peraltro, secondo alcuni rivenditori ufficiali, la motivazione della lotta alla contraffazione addotta da Apple per giustificare la condotta sarebbe infondata, posto che la restrizione è stata applicata senza alcuna verifica di quali rivenditori avessero effettivamente venduto merci contraffatte; Apple, insomma, avrebbe “sfruttato la circostanza che Amazon sia anche il principale provider di servizi di marketplace per ottenere un risultato che altrimenti non avrebbe potuto validamente ottenere nella contrattazione con i rivenditori, in quanto una clausola che vietasse ai rivenditori in un sistema di distribuzione aperta di utilizzare piattaforme terze per la vendita online sarebbe stata una restrizione fondamentale della concorrenza”.

Secondo quanto riportato da Apple, la restrizione delle vendite sul marketplace non costituirebbe, invece, una restrizione della concorrenza, non estendendosi anche agli altri circuiti online paralleli e costituendo quest’ultima solo una delle modalità di vendita: “Considerando quindi anche le vendite nei negozi fisici dei prodotti Apple/Beats venduti in Italia, Apple ritiene di stimare che le vendite online da parte di rivenditori terzi attraverso Amazon.it rappresentino meno dell’1%, in ciascuno dei vari mercati/categorie di prodotto. Ciò dimostrerebbe quindi l’irrilevanza della restrizione investigata”.

“Il riconoscimento dei marketplace ban come accordi legittimi”, continua Apple, “ai sensi del diritto della concorrenza dell’Unione si applicherebbe sia ai sistemi di distribuzione selettiva che ai sistemi aperti, secondo la giurisprudenza comunitaria e ciò avrebbe maggior valenza anche con riferimento alla circostanza che la restrizione consiste nel divieto a utilizzare solo il marketplace di Amazon, mentre è possibile vendere sugli altri marketplace […] In aggiunta, le restrizioni intra-brand relative alle modalità di vendita dei prodotti (premium) sarebbero state riconosciute legittime nei casi in cui esse siano volte a porre rimedio a condotte illecite o fraudolente da parte dei distributori”, al fine di mantenere la protezione e il posizionamento dei marchi rispetto a fenomeni di contraffazione e parassitismo che potrebbero restringere la concorrenza.

Anche Amazon sostiene la piena legittimità dell’accordo, avendo lo stesso “aumentato la concorrenza all’interno del marchio (intrabrand) e la concorrenza tra marchi (interbrand): mentre, prima del Contratto, il Negozio amazon.it non era considerato una destinazione di acquisto interessante per i Prodotti Apple, grazie al Contratto questo ora costituisce una valida alternativa per i clienti interessati all’acquisto di Prodotti Apple in termini di scelta e qualità, come dimostra l’aumento delle vendite di questi prodotti e di prodotti complementari ai Prodotti Apple (cioè gli accessori), con il conseguente aumento della concorrenza esercita dal Negozio Amazon nei confronti degli altri negozi che vendono Prodotti Apple nonché dei marchi concorrenti”. Tuttavia, Amazon ritiene di non avere alcun incentivo economico ad escludere i venditori terzi.

Il provvedimento dell’Autorità

Rigettando le opposizioni in rito legate alla “decadenza” del diritto all’accertamento e al mancato accesso ai documenti di terze parti, ritenute infondate e pretestuose, in quanto le elaborazioni economiche sono state svolte proprio sui dati resi da Apple e da Amazon, oltre che all’asserita violazione del diritto di difesa in merito ai tempi di deposito delle memorie finali, l’Autorità provvede a motivare nel merito il provvedimento sanzionatorio.

L’analisi svolta da AGCM riguarda, in particolare, la capacità dell’accordo tra Amazon ed Apple, per mezzo dell’esclusiva dei servizi di marketplace, di determinare una preclusione anticoncorrenziale degli sbocchi, “dovuta all’impossibilità per i rivenditori diversi dalla stessa Amazon e da quelli specificati nella lista di utilizzare il canale di vendita Amazon.it, che è il più importante, e pressoché totalitario, marketplace in Italia, nonché il più rilevante e diffuso strumento per i consumatori italiani di acquisto dei prodotti di elettronica di consumo on-line”.

Si tratterebbe, infatti, di condotte che influiscono sull’operato di Amazon come fornitore di servizi di intermediazione su piattaforme per la vendita on-line nei confronti di soggetti terzi.

Sulla scorta dell’istruttoria svolta da AGCM, si è ritenuto che tali clausole configurano una violazione dell’art. 101 TFUE, in quanto “precludono a soggetti che legittimamente esercitano l’attività di compravendita di prodotti di elettronica di consumo a marchio Apple e Beats di accedere ai servizi di intermediazione erogati dal principale operatore di servizi per la vendita su marketplace in Italia, peraltro in distonia con le regole previste per il sistema di distribuzione adottato da Apple”.

All’art. 101, par. 1, lettera b) e lettera d), del TFUE si vietano espressamente, infatti, tutti gli accordi che consistono nel “limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti e nell’applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza”.

Nello specifico, l’accordo siglato tra le due Big Tech, avente ad oggetto l’esclusione degli operatori economici terzi, esterni al rapporti contrattuale di distribuzione tra i due gruppi societari, dai servizi di marketplace erogati da Amazon-SE e Amazon-EC, “impedisce a un consistente numero di rivenditori di prodotti a marchio Apple e Beats di accedere a un canale di distribuzione qualificato, che costituisce un imprescindibile sbocco per le vendite online, soprattutto per gli operatori di piccole e medie dimensioni, con significativi effetti sulla concorrenza”.

I mercati interessati dall’accordo sono, in particolare:

  • Il mercato dei servizi di intermediazione per la vendita su marketplace, da distinguersi rispetto alla vendita su un sito web proprietario, che consentono di raggiungere una platea di consumatori ben più ampia e di aumentare la propria visibilità. Detto mercato non può, peraltro, essere ricondotto al canale di vendita su negozio fisico, che è dotato di differenze sostanziali rispetto alle modalità online, in termini di vantaggi e svantaggi, struttura ed entità dei costi, ecc. Addirittura, con riferimento al mercato marketplace, si rileva che “la gestione di un dominio nazionale o di un sito localizzato a livello nazionale testimonia la necessità di presidiare un determinato mercato geografico nazionale (nel caso di specie, l’Italia)”.
  • Il mercato della vendita al dettaglio di prodotti di elettronica di consumo su internet, nel quale Amazon, in Italia, ha assoluta preminenza (“almeno il 70% degli acquisti on-line di prodotti di elettronica di consumo effettuata dai consumatori italiani avviene su Amazon.it, sicché tale piattaforma è il canale di acquisto principale per i prodotti di elettronica di consumo da parte dei consumatori italiani”).

Alle clausole esaminate non appare neppure applicabile l’esenzione prevista dall’art. 101 par. 3 del TFUE, applicabile solo alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi. Nel caso di specie, “È pacifico che la restrizione in esame (limite all’accesso al marketplace Amazon.it da parte dei rivenditori terzi) non è relativa alle condizioni in base alle quali Amazon può acquistare, vendere o rivendere i beni forniti da Apple. […] In ogni caso, anche laddove si considerasse, come sostengono Apple e Amazon, che l’oggetto dell’accordo riguardi la fornitura da parte di Apple, di prodotti Apple e Beats ad Amazon, il regolamento comunque non troverebbe applicazione. Infatti, le vendite di prodotti di elettronica di consumo effettuate direttamente da Amazon appaiono essere significativamente superiori al 30% delle vendite totali del mercato della vendita al dettaglio di prodotti di elettronica di consumo su Internet”.

Anche la tesi sostenuta dalle due Big Tech, relativa alla necessità di risolvere il problema della contraffazione, viene ritenuta dall’Autorità del tutto pretestuosa oltre che in piena contraddizione con gli elementi di fatto acquisiti in atti: “Come ampiamente argomentato, sono stati esclusi dal marketplace Amazon.it dei rivenditori ufficiali di prodotti Apple, che hanno la stessa qualifica di Amazon o dei soggetti ammessi su Amazon.it. Tali soggetti, essendo rivenditori ufficiali di prodotti Apple e Beats, garantiscono la medesima qualità e la medesima sicurezza rispetto al problema della contraffazione”.

Il dato sostanziale, per AGCM, prevale, nel provvedimento, sul dato contrattuale, ritenuto una semplice giustificazione da date dinanzi ad eventuali accuse sulla legittimità della clausola di c.d. gating, che ha comportato anche una limitazione geografica delle vendite: è possibile, infatti, esclusivamente acquistare sul marketplace di riferimento da rivenditori nazionali.

Parimenti, vengono rigettate le tesi secondo cui Amazon non avrebbe ottenuto alcun vantaggio dall’accordo stipulato, essendo evidente che la stessa ha ottenuto migliori condizioni tecnico-economiche per l’acquisizione di prodotti Apple e Beats, e sconti aggiuntivi legati alla verifica dell’applicazione delle clausole in esame, oltre ad un incremento significativo dei ricavi.

La quantificazione della sanzione

La sanzione è stata calcolata dall’Autorità in relazione alla gravità, natura e durata nel tempo della violazione (la quale perdura tuttora), con emanazione di una sanzione pari al 7% del valore delle vendite individuato. All’Autorità, inoltre, si dà il potere di incrementare la sanzione finale fino al 50% della stessa, qualora l’impresa responsabile dell’infrazione abbia realizzato nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notifica della diffida un fatturato totale a livello mondiale particolarmente elevato rispetto al valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione oppure appartenga ad un gruppo di significative dimensioni economiche.

Pertanto, le sanzioni applicabili al gruppo Apple sono state calcolate in euro 134.530.405, mentre quelle applicabili al gruppo Amazon sono state calcolare in Euro 68.733.807.

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