antitrust

App store, è l’ora della stretta? Ecco le leggi e le misure in arrivo

Dagli Usa all’Ue, dalla Corea al Giappone, passando per Cina e Australia: le violazioni del diritto alla concorrenza operate delle Big tech con gli app store sono nel mirino delle autorità antitrust di tutto il mondo. Tramontata la stagione della rete come “tecnologia della libertà”, è l’ora di nuove strategie regolamentari

Pubblicato il 20 Mag 2022

Barbara Calderini

Legal Specialist - Data Protection Officer

Competenze digitali via Tech2Doc: le credenziali di accesso alla salute del futuro

Motori di ricerca, social network, dispositivi mobili intelligenti, mercati online e app store, sono attori chiave dell’economia digitale; canali preferenziali dominio dei gatekeeper – protagonisti di quella dimensione del potere inteso come “controllo” – che gestiscono l’accesso di terze parti a mercati, informazioni e consumatori.

Gli effetti anticoncorrenziali delle grandi aziende digitali e le ripercussioni in termini di pratiche di esclusione, abuso di posizione dominante, fusioni e acquisizioni che alterano il libero gioco della concorrenza, sono evidenti.

Altrettanto sono ben note le preoccupazioni, su entrambe le sponde dell’Atlantico, in termini di possibili violazioni del diritto della concorrenza, riguardo all’operato specifico dei grandi intermediari digitali. Vale anche per gli ambiti di pertinenza dei rispettivi app store, le relative politiche di pagamento in-app[1], inclusa quella “controversa” commissione del 30% addebitata per gli acquisti in-app – implementati da Apple e Google. Entrambi potenti gateway, esclusivo nel primo caso e principale nel secondo, attraverso i quali gli sviluppatori di app devono giocoforza passare per poter raggiungere il prezioso pubblico degli utenti.

Big Tech, l’autoregolamentazione non ha funzionato

Non è un caso, dunque, che tanto l’App Store quanto Google Play Store, siano sottoposti ad un’ondata di assalti da parte di autorità di regolamentazione, governi e tribunali, tanto in patria quanto all’estero.

Se, infatti, da una parte gli effetti di rete indiretti di cui sia Google che Apple hanno beneficiato, unitamente alle facilitazioni concesse agli sviluppatori di terze parti nella scrittura di app per i rispettivi sistemi operativi, hanno senz’altro contribuito a creare un circolo virtuoso estremamente remunerativo per i due colossi digitali; dall’altra, in un contesto di mercato digitale, i rispettivi modelli di business li hanno resi particolarmente inclini a sviluppare una vera e propria area di dominanza fatta di pratiche di esclusione e sfruttamento a scapito degli sviluppatori di app e degli utenti di dispositivi mobili, la cui posizione di mercato sembra sempre più difficile contestare.

Ed è proprio l’applicazione dell’antitrust che sembra fungere da perno per la necessaria introduzione di quei quadri regolatori che, a livello globale, vogliono arginare il potere delle Big Tech

Le azioni antitrust verso Google e Apple e i quadri regolatori attesi nei vari stati

Dagli Stati Uniti all’UE, dopo anni di parole, le democrazie, e non solo, si sono attivate con numerose azioni. The clock is running out for Big Tech?

Arrestare l’avanzata della sfera di potere delle aziende tecnologiche non è, infatti, una prerogativa esclusivamente europea, bensì fa parte di una tendenza globale piuttosto evidente. Cina, Stati Uniti, Russia, India, Corea del Sud, Australia, ovunque, gli stati intendono ristabilire il giusto equilibrio tra poteri pubblici e poteri privati tentando di definire i contorni delle rispettive aree di influenza politica, economica e digitale.

Tanto è palese per Apple e Google, molto spesso accusati di costituire un duopolio che riduce la concorrenza di mercato e la scelta per i consumatori nelle aree chiave dei sistemi operativi, dei negozi di app e dei browser, oltre alle vessazioni imposte dalle condizioni applicate al lavoro degli sviluppatori di app.

E certo, abbassare le tariffe di servizio nei rispetti app store o prevedere altre piccole concessioni come la creazione di fondi per piccoli sviluppatori non basterà a ridurre le pressioni da parte di legislatori e autorità di regolamentazione.

Ne è prova l’ultimo provvedimento di rigetto dell’Autorità di regolamentazione olandese che, nel contesto della causa pendente contro Apple, risalente ad ottobre 2021, ha respinto le proposte di modifica dell’azienda, ritenendo la modalità di pagamento di terze parti offerta da Apple non ancora adeguata al rispetto delle normative antitrust. Ed è questa una decisione accolta con favore anche dalla Coalition for App Fairness, il gruppo di difesa formato da aziende come Epic Games, Spotify, Basecamp e Match Group che, infatti, si dice pronta a supportare l’ACM olandese nel suo intento di favorire condizioni eque per gli sviluppatori e mercati realmente competitivi.

Non mancano neppure start up particolarmente promettenti come quella britannica chiamata Paddle, che sono già attive sull’implementazione di un’alternativa al sistema di pagamento in-app di Apple e Google.

L’ondata di azioni USA verso Google

Nei confronti di Google la Federal Trade Commission e il Dipartimento di Giustizia americano non lesinano ammonimenti e contenziosi, sebbene il fronte antitrust sia costantemente influenzato da ritardi e temporeggiamenti vari all’interno delle agenzie di regolamentazione.

Insieme a undici stati il DOJ ha avviato una causa per violazione delle regole antitrust, accusando il colosso di Mountain View di proteggere il suo monopolio sia per quanto riguarda il servizio di ricerca che gli annunci pubblicitari.

La Big Tech viene accusata anche da una coalizione di stati guidati dal procuratore generale del Texas, il conservatore Ken Paxton, per condotta anticoncorrenziale, manipolazione del mercato della ricerca on line e collusioni per la vendita di tecnologia pubblicitaria. Le contestazioni mosse nei confronti di Google lo riterrebbero responsabile, tra le altre cose, anche di un “accordo illegale” chiamato “Jedi Blue”, risalente al 2018, che legherebbe il Golia della pubblicità e il gigante tecnologico suo rivale Facebook in un’intesa piuttosto discutibile che, da una parte avrebbe permesso a Google di poter preservare il proprio dominio nel settore del programmatic advertising, mentre dall’altra avrebbe garantito a Facebook, in cambio della promessa di non supportare alcun sistema pubblicitario concorrente, di beneficiare di condizioni speciali nel mercato degli annunci on line. Il riferimento è alla pratica nota come header bidding, un processo tecnologico impiegato nel programmatic che, sebbene automatizzato, consente spesso offerte su misura chiamate “markup” che si prestano a determinati tiri di vendita e accordi strategici discutibili.

A luglio 2021 anche una trentina di stati americani e il Distretto di Columbia hanno avviato una causa antitrust contro Google per pratiche discriminatorie nell’App store Android, in particolare riguardo ai pagamenti degli acquisti in-app: l’azione guidata dallo stato dello Utah e depositata presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti nel Distretto nord California, ritiene che l’azienda abbia monopolizzato la distribuzione di app su dispositivi mobili con il sistema operativo Android, bloccando la concorrenza attraverso contratti, barriere e altri mezzi.

Azioni in corso a parte, in America, è peraltro ormai chiaro come a fronte delle blande concessioni[2] delle grandi aziende e ai loro sforzi di lobbying a Washington come ovunque, la discussione politica sulla necessaria regolamentazione (o frammentazione) delle Big Tech rappresenterà un argomento caldo per tutta l’estate del 2022, anche se i tempi per una concreta introduzione di nuove leggi federali, malgrado i progetti di legge abbiano supporto bipartisan, come l’American Innovation and Choice Online Act della senatrice Amy Klobuchar e l’Open App Markets Act di Richard Blumenthal e Marsha Blackburn, non si preannuncia non breve.

L’ondata di azioni UE verso Google

Allo stesso modo l’Unione Europea ha intrapreso, negli ultimi anni, diverse indagini che hanno portato Google a subire copiose multe che il motore di ricerca ha prima contestato, poi pagato e infine continuato a prosperare.

A marzo 2019 Google è stata sanzionata dall’Unione Europea con una multa da 1,49 miliardi di euro per violazione della normativa antitrust. Ed è la terza sferzata dell’Antitrust europeo inflitta a Google dopo quelle del 2017 e 2018.

Risale a maggio 2021, il provvedimento dell’AGCM, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in Italia, che ha sanzionato le società Alphabet Inc. (Holding di Google LLC), Google LLC e Google Italy S.r.l. per violazione dell’art. 102 del TFUE costringendole al pagamento di una multa di oltre 102 milioni di euro per abuso di posizione dominante relativamente all’accesso al mercato delle App.

“Attraverso il sistema operativo Android e l’app store Google Play, Google detiene una posizione dominante che le consente di controllare l’accesso degli sviluppatori di app agli utenti finali. Occorre ricordare che in Italia circa i tre quarti degli smartphone utilizzano Android. Inoltre, Google è un operatore di assoluto rilievo, a livello globale, nel contesto della cosiddetta economia digitale e possiede una forza finanziaria rilevantissima”. Comunicato stampa del 13 maggio 2021 presente sul sito ufficiale dell’AGCM.

A distanza di un solo mese, anche l’Antitrust francese, multa Google per 220 milioni di euro Google per abuso di posizione dominante nell’ambito però del digital advertisement.

Le accuse USA e UE contro Apple

L’ecosistema di Apple Inc., oggetto di numerosi reclami sostenuti da sviluppatori software indipendenti – a partire dagli Stati Uniti con Epic Games[3] (creatore del popolarissimo gioco battle royale “Fortnite” ), con il caso Apple v. Pepper e l’azione collettiva di Donald R. Cameron e Pure Sweat Basketball, Inc. contro Apple Inc., non ultimo, l’importante “Rapporto antitrust della Camera degli Stati Uniti”), preceduto da un’audizione del Congresso sull’antitrust e sulle piattaforme online (in cui il CEO di Apple Tim Cook ha dovuto affrontare un attento controllo sulle pratiche dell’App Store di Apple,) – fino a Spotify nell’Unione Europea, passando per il ricorso presentato alla Commissione il 5 marzo 2020, da Rakuten, la cui app di e-book e audiolibri è in concorrenza con l’app di Apple Book, proseguendo con le recenti sanzioni inflitte dall’autorità olandese[4] garante della concorrenza (dove Apple ha preferito pagare cinque sanzioni da 50 milioni di euro pur di non modificare la gestione dei pagamenti in-app) – senza dimenticare la Russia con la denuncia (e conseguente condanna da parte della Russian Federal Anti-monopoly Service-FAS) presentata da Kaspersky Lab – dovrà presto fare i conti anche con altre questioni legali e tra queste quelle regolamentari derivanti dall’attuale versione del testo del Digital Markets Act[5] dell’UE.

Un provvedimento che, a detta del colosso digitale di Cupertino, lungi dal poter favorire il libero gioco della concorrenza, potrebbe invero comportare “inopportune vulnerabilità della privacy e della sicurezza” per gli utenti, con evidenti ripercussioni anche sulla remunerazione della proprietà intellettuale.

Il riferimento è alla previsione del cosiddetto sideload delle app che costringerebbe Apple ad aprire, una volta per tutte, i cancelli del proprio “giardino recintato”: i clienti europei potranno quindi scaricare app nel proprio iPhone senza passare necessariamente dall’App Store e gli sviluppatori avranno la possibilità di attivare sistemi di pagamento in-app di terze parti.

Apple dovrà inoltre consentire agli utenti di disinstallare il browser Safari predefinito e altre app stock sui dispositivi in modo che, se desiderabile, questi possano essere sostituiti con opzioni di terze parti.

Le autorità di regolamentazione dell’Unione Europea ritengono che Apple abbia infranto le leggi antitrust.

È recente l’invio, da parte della Commissione europea, della comunicazione ufficiale ad Apple degli addebiti per la concorrenza sul predominio di Apple Pay, la soluzione di pagamento mobile su iPhone e iPad, utilizzata per abilitare i pagamenti nelle app e nei siti Web dei commercianti, nonché nei negozi fisici: rappresenta l’ulteriore passaggio che fa seguito all’indagine antitrust contro Apple avviata a giugno 2020[6].

L’UE, al momento, ritiene dunque che Apple abbia ingiustamente abusato della sua posizione dominante nel “mercato dei portafogli mobili” limitando l’accesso al chip NFC a terzi, la tecnologia wireless chiamata “Near Field Communication” [7], aumentando così l’adozione di Apple Pay e impedendo agli sviluppatori di app di portafoglio mobile di accedere all’hardware e al software necessari sui dispositivi Apple.

“Apple ha costruito un ecosistema chiuso attorno ai suoi dispositivi e al suo sistema operativo, iOS. E Apple controlla le porte di questo ecosistema, stabilendo le regole del gioco per chiunque voglia raggiungere i consumatori utilizzando i dispositivi Apple. Ma altri sviluppatori di app dipendono dall’accesso a questo ecosistema per sviluppare portafogli mobili innovativi.

Il potenziale di innovazione in questo spazio è enorme. Ma questa innovazione è stata impedita da Apple che ha rifiutato ad altri di accedere all’NFC sui suoi dispositivi. Di conseguenza, varie funzionalità dei portafogli mobili, come i servizi finanziari complementari, semplicemente non sono disponibili. Poiché Apple non è messa in discussione, ha pochi incentivi per innovare se stessa”. Osserva la vicepresidente esecutiva della Commissione europea e a capo dell’Antitrust, Margrethe Vestager nella conferenza stampa dedicata all’apertura del dossier a carico di Apple.

In altri termini, il punto di vista preliminare della Commissione, sostiene che Apple sarebbe responsabile di un “effetto di esclusione sui concorrenti” con conseguenze inaccettabili, ai sensi delle regole sulla libera concorrenza dell’UE[8], in fatto di minore scelta da parte dei consumatori per i portafogli mobili[9]. Tanto sarebbe accaduto ad esempio nei confronti di PayPal e altri ai quali è stato inibito l’accesso alla tecnologia di iPhone e Apple Watch che consente alle persone di effettuare un acquisto con un rapido tocco.

Il DMA europeo per mercati equi e competitivi

“Una delle disposizioni del Digital Markets Act sembra essere stata ispirata dall’indagine di Apple Pay” ha affermato Thomas Vinje, un avvocato antitrust di Clifford Chance, che ha rappresentato la società di streaming musicale Spotify in una denuncia separata contro Apple.

L’auspicio, come preannuncia la stessa Margrethe Vestager, è che con la piena applicabilità del Digital Markets Act[10], il piano regolatorio europeo destinato alla governance delle attività e dei servizi digitali offerti dalle piattaforme online (la cui entrata in vigore è prevista già ad ottobre prossimo), le aziende designate come gatekeeper, saranno tenute, by design, a garantire un’interoperabilità efficace con le funzionalità hardware e software che utilizzano nei loro ecosistemi, incluso “l’accesso a Nfc per i pagamenti mobili”.

“Con il Digital Markets Act (Dma) e il Digital Services Act (Dsa) le democrazie rivendicano finalmente lo spazio digitale, da cui sono state tenute fuori per troppo tempo”.

“Questo regolamento, insieme a una forte applicazione della legge sulla concorrenza, offrirà condizioni più eque a consumatori e imprese per molti servizi digitali in tutta l’UE ” dichiara Margrethe Vestager.

Nel frattempo, l’11 maggio scorso Consiglio e Parlamento UE hanno raggiunto l’accordo politico provvisorio sulla legge sui mercati digitali.

“L’Unione Europea ha dovuto imporre multe record negli ultimi 10 anni per alcune pratiche commerciali dannose da parte di attori digitali di grandi dimensioni. La DMA vieterà direttamente queste pratiche e creerà uno spazio economico più equo e competitivo per i nuovi attori e le imprese europee. Queste regole sono fondamentali per stimolare e sbloccare i mercati digitali, migliorare la scelta dei consumatori, consentire una migliore condivisione del valore nell’economia digitale e promuovere l’innovazione. L’Unione europea è la prima a intraprendere un’azione così decisiva al riguardo e spero che presto altri si uniranno a noi”. Tuona Cédric O, ministro di Stato francese responsabile del digitale.

Il regolamento una volta definitivamente approvato (la plenaria è prevista a luglio 2022) dovrà essere attuato entro sei mesi dalla sua entrata in vigore.

Ad ogni modo, sebbene l’attuale procedura di contestazione antitrust contro Apple si trovi solo alle sue fasi iniziali ed è, pertanto, alquanto prematuro tentare previsioni sul tenore delle eventuali sanzioni laddove le accuse fossero alla fine confermate, tuttavia è già possibile aspettarsi opposizioni e tempi lunghi di trattazione, specie alla luce dei contenuti emrsi dalla prima reazione ufficiale della Big Tech americana: se da una parte Apple palesa un intento collaborativo – “Apple continuerà a collaborare con la Commissione per garantire che i consumatori europei abbiano accesso all’opzione di pagamento di loro scelta in un ambiente sicuro”; dall’altra evidenza, infatti, una ferma difesa delle proprie policy e del suo servizio di portafoglio digitale che descrive come – “una delle tante opzioni disponibili per i consumatori europei per effettuare pagamenti che garantisce un accesso equo all’NFC, stabilendo standard leader del settore per la privacy e la sicurezza”.

Proprio il tema della sicurezza informatica viene, infatti, scelto da Apple come deterrente per convincere le autorità della concorrenza, i legislatori e l’opinione pubblica che autorizzare il sideloading e aprire i cancelli dell’App Store, come previsto anche dall’odierna versione del DMA, non servirà a spianare la strada verso mercati digitali più equi, ma anzi, rappresenterà il percorso più veloce verso l’indebolimento dell’architettura informatica di iOS, fino ad oggi ritenuta, non a caso, più sicura di quella di Android, incrementando in tal modo il rischio di azioni malware.

“Il sideloading è il miglior amico di un criminale informatico e richiederlo su iPhone sarebbe una corsa all’oro per l’industria dei malware”. Aveva già tuonato Craig Federighi (vedi video), Apple’s senior vice president of Software Engineering, in occasione del Web Summit 2021.

Motivazioni che però non hanno convinto Margrethe Vestager, che in più di un’occasione, ha messo in guardia Apple dall’utilizzare pretestuose argomentazioni sulla privacy e sulla sicurezza per proteggere l’App Store dalla libera concorrenza, anche in virtù del fatto che, in area macOS, da anni, è possibile caricare software non distribuito tramite App Store.

Sembrerebbe dunque che l’unica vera minaccia che incombe pesantemente sull’azienda di Cupertino incida piuttosto sul proprio modello di business.

La stretta anti Big Tech è una tendenza globale

Il Regno Unito punta sul ruolo della nuova authority, la Digital Markets Unit (DMU), l’organismo di regolamentazione destinato ad affrontare le questioni relative alla concorrenza e alla gestione dei dati nei mercati digitali, che farà parte della Competition & Markets Authority: la Competition & Markets Authority – CMA, già a febbraio 2021, ha infatti pubblicato la propria Strategia digitale che delinea le proposte che potrebbero cambiare radicalmente il panorama normativo per i mercati digitali nel Regno Unito, a cui è peraltro seguito il lancio della Digital Markets Unit (DMU).

Ed questo solo uno dei tasselli di un processo innovativo ed interventista, che ha connotato anche gli ultimi provvedimenti intrapresi dalla CMA, definito “unashamedly pro-competition” e destinato alla governance “urgente” del potere assunto dai colossi tecnologici del digitale. Ciò malgrado la CMA non sarà in grado di richiedere direttamente cambiamenti politici o imporre multe, ma potrà solo formulare raccomandazioni al parlamento.

Proprio la Competition and markets authority ha reso noto nei mesi scorsi lo svolgimento di uno studio approfondito su Apple e Google che indaga come i due colossi americani esercitino un controllo eccessivo su tre mercati fondamentali: i sistemi operativi mobili (iOs e Android), gli app store (App Store e Play Store) e i web browser (Safari e Chrome); ovvero i loro ecosistemi per i dispositivi mobili.

Analoga stretta nei confronti delle Big Tech si riscontra in Corea del Sud dove il parlamento di Seul ha già votato una modifica al suo Telecommunications Business Act, grazie alla quale gli sviluppatori potranno finalmente indirizzare i propri utenti e clienti verso altri metodi di pagamento e store come quelli di Google dovranno consentire agli sviluppatori che vendono beni e servizi digitali in-app di aggiungere un sistema di fatturazione in-app alternativo al sistema di fatturazione di Google Play per i loro utenti in Corea del Sud.

Stessa tendenza anche in Giappone che riporta la chiusura a settembre 2021 di un’indagine condotta dalla Japan Fair Trade Commission (JFTC) a seguito della revisione delle Linee Guida di Apple sulle app destinate agli sviluppatori “readers”. Questi potranno includere un collegamento in-app al proprio sito Web per consentire agli utenti di configurare o gestire un account. L’aggiornamento preannunciato da Apple si rivolge a tutte le app di lettura[11] dello store, a livello globale.

A gennaio 2022, la Commissione indiana per la concorrenza ha avviato un’indagine antitrust sulle pratiche dell’App Store di Apple, e anche in Australia, la Commissione australiana per la concorrenza e i consumatori (ACCC) ha delineato specifiche misure per prevenire comportamenti anticoncorrenziali che includono la richiesta dell’ACCC di riforme della legge sulle fusioni, il divieto di comportamenti autopreferenziali inibitori della concorrenza, l’obbligo di trattare i concorrenti in modo equo o non discriminatorio e le regole che richiedono che le piattaforme digitali forniscano l’accesso agli input chiave per motivi di equità e non discriminatori.

In Cina, la stretta è a 360 gradi poiché è ferma la convinzione che il controllo delle reti e dei dati all’interno dei propri confini rappresenti un vantaggio competitivo imprescindibile in vista dell’ambita governance globale dei dati. Allo stesso modo il percorso verso la regolamentazione dei grandi poteri privati costituisce un fattore strategico cruciale ben delineato nella stretta anti-Big Tech condotta dalle autorità di Pechino per mettere un freno ai comportamenti monopolistici delle grandi aziende del comparto: Alibaba, Tencent, JD.Com, Xiaomi, ma anche Apple, recentemente “schiaffeggiata” dalla Corte suprema della Cina (la cui interpretazione giudiziale in Cina ha valore di legge) con una sentenza che ha sancito a vantaggio dei consumatori il diritto di citare in giudizio Apple per presunto abuso di quote di mercato e pratiche vessatorie applicate dal proprio App Store in Cina.

Conclusioni

Le peculiarità e le problematiche insite nella data economy, caratterizzata dalla valorizzazione dei dati, dalla disponibilità degli stessi e dalla loro analisi, si legano a filo doppio al potere di mercato delle realtà tecnologiche dominanti e, con troppa disinvoltura, prestano il fianco al corrispondente abuso delle rispettive posizioni di mercato come all’alterazione del libero gioco della concorrenza. Di fronte alla complessità crescente della società del XXI secolo le attuali regole poste a tutela del pluralismo e della difesa dei diritti fondamentali entrano pesantemente in crisi; la possibilità di un business etico si conferma impossibile e, tra tutti i fattori chiave, l’immaginazione in mano alle opulente élite tecnologiche appare già abbondantemente al potere.

Per quanto ancora?

Tramontata la stagione delle rete intesa come “tecnologia della libertà”, che avrebbe consentito l’autodeterminazione sia politica che economica, e del liberismo tecnologico fautore di quella delega in bianco rilasciata ai poteri privati investiti di funzioni para costituzionali, occorrerà investire nella progettazione delle nuove strategie regolamentari che puntano alla governance del digitale.

Per comprendere cosa significherà la tecnologia per il futuro della società, del diritto e della rete stessa, sarà necessario, però, un esame attento del modo in cui la progettazione delle tecnologie dell’informazione e della raccolta dei dati all’interno dei modelli di business dei giganti del web riflettono e riproducono la nuova dimensione del potere economico e politico. E come questi siano destinati ad incidere nella sostanza e nell’interpretazione delle garanzie legali fondamentali, intese come presidi giuridici all’interno dei quali vengono definiti i diritti, le libertà, gli obblighi e le modalità con cui vengono applicati.

Nel mentre “la plasticità del codice digitale offre punti di leva normativa sia agli attori statali che a quelli privati”[12] da cogliere con consapevolezza e capacità di visione in vista dell’effettività delle tutele dei diritti in gioco nell’era dei Big Data.

Note

  1. Le app possono essere gratuite senza pubblicità, gratuite con pubblicità, gratuite ma con pagamento di beni o servizi fisici, “freemium”, su abbonamento e a pagamento.. I “pagamenti in-app” si riferiscono ai pagamenti effettuati dagli utenti “all’interno dell’app”, ovvero senza uscire dall’ambiente dell’app stessa.
  2. Google ha abbassato le commissioni consentendo il caricamento laterale di app e sistemi di pagamento di terze parti su Google Play Store; anche Apple ha ridotto le commissioni per la maggior parte dei suoi sviluppatori più piccoli, non consente il caricamento laterale e i servizi di pagamento alternativi di pagamento.
  3. Il 13 agosto 2020, Epic Games attivò un’opzione di pagamento all’interno dell’app Fortnite sia su dispositivi iOS che Android, che ha consentito agli utenti di acquistare V-Bucks (una valuta di gioco per i giocatori di Fortnite) a un prezzo più conveniente e bypassare la soluzione di pagamento dell’app store . Apple per tutta risposta rimosse Fortnite dall’App Store lo stesso giorno per aver violato le sue politiche. Tanto è bastato perchè Epic Games intentasse una causa contro Apple davanti al tribunale distrettuale degli Stati Uniti per il distretto settentrionale della California, sostenendo che Apple avesse monopolizzato illegalmente il mercato della distribuzione di app su dispositivi iOS e il mercato dell’elaborazione dei pagamenti in-app su dispositivi iOS.
  4. Nell’aprile 2019, l’Autoriteit & Consument Markt (“ACM”) olandese annunciò il lancio di un’indagine sull’App Store, in seguito al suo rapporto sul suo studio di mercato sugli app store mobili (il “Rapporto ACM”) .
  5. Il provvedimento si rivolge ai cosiddetti “gatekeeper[5]“, ovvero Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft ma coinvolge anche Booking.com e il gruppo di e-commerce Alibaba: grandi intermediari digitali che, a tutti gli effetti agiscono in veste di gateway indispensabili per utenti aziendali e utenti finali e che, ad oggi, manifestano senza dubbio la capacità di influenzare o addirittura negare ad altri attori l’accesso a un mercato o a uno spazio reale o virtuale. In modo specifico rientreranno nella definizione “gatekeeper” quelle aziende digitali con una capitalizzazione di mercato di almeno 75 miliardi di euro (83 miliardi di dollari) o un fatturato annuo all’interno dell’UE di almeno 7,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni; con almeno 45 milioni di utenti mensili o 10.000 utenti aziendali nell’UE, che forniscono servizi dalle caratteristiche quasi monopolistiche o, comunque, anticoncorrenziali. In breve, operatori che controllano uno o più servizi di base in almeno tre Stati membri: dai mercati online e app store, ai motori di ricerca, social network, cloud, servizi pubblicitari, assistenti vocali e, ovviamente, browser web.Gatekeeper che, a seguito della prevista entrata in vigore delle disposizioni del DMA, in caso di violazioni, rischiano multe fino al 10% dei loro ricavi globali. E in caso di recidiva la sanzione potrebbe essere aumentata fino al 20%. Peraltro, se il mancato rispetto delle regole dovesse verificarsi almeno tre volte in otto anni, sarebbe possibile che le stesse debbano affrontare anche un’indagine di mercato e, se necessario, subire rimedi “comportamentali” o “strutturali”, compreso il possibile scioglimento delle società. La versione definitiva del provvedimento deve ancora essere adottata ufficialmente dal Parlamento europeo (previo accordo con il Consiglio) e dai 27 paesi che compongono l’UE. Entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale Ue e le regole dovranno essere applicate entro i sei mesi successivi.
  6. Qui tutti i dettagli: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_1075 https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_22_2764
  7. NFC è una tecnologia che consente la comunicazione tra un telefono cellulare e i terminali di pagamento nei negozi. NFC è standardizzato, disponibile in quasi tutti i terminali di pagamento nei negozi e si ritiene cbe possa consentire pagamenti mobili più sicuri e senza interruzioni. Rispetto ad altre soluzioni, NFC pare offrire un’esperienza di pagamento più fluida e sicura, godendo di un’accettazione più ampia in Europa.
  8. Se confermata, tale condotta violerebbe le norme del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea “TFUE” che vietano l’abuso di posizione dominante sul mercato (art 102). Al momento gli addebiti notificati non sembrerebbero prendere in considerazione i riflessi dell’operato di Apple in termini di accordi anticoncorrenziali tra imprese originariamente, sebbene questi siano inclusi nell’indagine avviata il 06 giugno 2020
  9. L’attuazione di tali disposizioni è definita nel Regolamento Antitrust (Regolamento del Consiglio n. 1/2003 ), che può essere applicato anche dalle autorità nazionali garanti della concorrenza. L’articolo 11, paragrafo 6, del regolamento antitrust prevede che l’apertura di un procedimento da parte della Commissione esonera le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri dalla loro competenza ad applicare le regole di concorrenza dell’UE alle pratiche interessate. L’articolo 16, paragrafo 1, prevede inoltre che i giudici nazionali debbano evitare di adottare decisioni che sarebbero in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione nei procedimenti da essa avviati.
  10. Il provvedimento si rivolge ai cosiddetti “gatekeeper[5]“, ovvero Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft ma coinvolge anche Booking.com e il gruppo di e-commerce Alibaba: grandi intermediari digitali che, a tutti gli effetti agiscono in veste di gateway indispensabili per utenti aziendali e utenti finali e che, ad oggi, manifestano senza dubbio la capacità di influenzare o addirittura negare ad altri attori l’accesso a un mercato o a uno spazio reale o virtuale. In modo specifico rientreranno nella definizione “gatekeeper” quelle aziende digitali con una capitalizzazione di mercato di almeno 75 miliardi di euro (83 miliardi di dollari) o un fatturato annuo all’interno dell’UE di almeno 7,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni; con almeno 45 milioni di utenti mensili o 10.000 utenti aziendali nell’UE, che forniscono servizi dalle caratteristiche quasi monopolistiche o, comunque, anticoncorrenziali. In breve, operatori che controllano uno o più servizi di base in almeno tre Stati membri: dai mercati online e app store, ai motori di ricerca, social network, cloud, servizi pubblicitari, assistenti vocali e, ovviamente, browser web.Gatekeeper che, a seguito della prevista entrata in vigore delle disposizioni del DMA, in caso di violazioni, rischiano multe fino al 10% dei loro ricavi globali. E in caso di recidiva la sanzione potrebbe essere aumentata fino al 20%. Peraltro, se il mancato rispetto delle regole dovesse verificarsi almeno tre volte in otto anni, sarebbe possibile che le stesse debbano affrontare anche un’indagine di mercato e, se necessario, subire rimedi “comportamentali” o “strutturali”, compreso il possibile scioglimento delle società. La versione definitiva del provvedimento deve ancora essere adottata ufficialmente dal Parlamento europeo (previo accordo con il Consiglio) e dai 27 paesi che compongono l’UE. Entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale Ue e le regole dovranno essere applicate entro i sei mesi successivi.
  11. Le app Reader forniscono contenuti acquistati in precedenza o abbonamenti ai contenuti per riviste digitali, giornali, libri, audio, musica e video.
  12. Between Truth and Power: The Legal Constructions of Informational Capitalism. Julie E. Cohen.© Julie E. Cohen 2019. Published 2019 by Oxford University – e Lawrence Lessig, Code and Other Laws of Cyberspace, (New York: Basic Books, 1998)

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