L’Autorità Nazionale della Concorrenza e del Mercato ha comunicato, con nota del 11 maggio 2023, l’avvio di un’istruttoria nei confronti di Apple, per presunto abuso di posizione dominante nel mercato delle App.
I rilievi dell’Antitrust
L’indagine riguarderebbe, in particolar modo, le nuove politiche privacy, che impongono – soltanto ai concorrenti – di utilizzare un prompt per la richiesta del consenso relativo al trattamento dei dati che spinge gli utenti a negare il consenso al tracciamento. Non solo: secondo quanto riportato nella nota, “gli sviluppatori e gli inserzionisti terzi appaiono svantaggiati in termini di qualità e di dettaglio dei dati messi a disposizione da Apple e relativi all’efficacia delle campagne pubblicitarie sulle loro applicazioni. Ciò accade per le caratteristiche tecniche dell’interfaccia di programmazione cui possono accedere – SkadNetwork – che appare molto meno efficace rispetto ad Apple Ads Attribution, lo strumento che Apple adotta per sé stessa”.
L’Autorità osserva, in relazione a detti aspetti, come “La disponibilità dei dati relativi sia alla profilazione degli utenti sia alla misurazione dell’efficacia delle campagne pubblicitarie – pur nel rispetto della disciplina a tutela della privacy – sono elementi essenziali per l’appetibilità degli spazi pubblicitari venduti dagli sviluppatori di app e acquistati dagli inserzionisti. Per questo […], la presunta condotta discriminatoria di Apple può causare un calo dei proventi della pubblicità degli inserzionisti terzi, a vantaggio della propria divisione commerciale; ridurre l’ingresso e/o impedire la permanenza dei concorrenti nel mercato dello sviluppo e della distribuzione di app; avvantaggiare le proprie app e, di conseguenza, gli apparati mobili e il sistema operativo iOS Apple”.
Ove tale scenario si verificasse, l’abuso di posizione dominante di Apple rappresenterebbe un disincentivo ad investire in app innovative, e ostacolerebbe anche il passaggio degli utenti verso ecosistemi diversi dal suo, alterando il normale meccanismo della concorrenza.
È opportuno evidenziare come non si tratta dell’unica posizione sulla quale Apple è chiamata a difendersi negli ultimi mesi: come meglio si vedrà nel seguito, infatti, anche le Autorità garanti francesi ed europee hanno avviato ulteriori indagini nei confronti della Big Tech, lamentando la violazione della normativa antitrust anche in relazione ad altri servizi.
Oltreoceano, invece, le prospettive appaiono ben più rosee per Apple: in aprile, infatti, la società ha ottenuto un’importante vittoria nei confronti di Epic Games Inc, avente ad oggetto proprio le stringenti regole di gestione dell’App Store ed, in particolare, l’obbligo imposto alle terze parti di consentire agli utenti di effettuare acquisti in-app che non transitino dall’app store medesimo.
L’indagine avviata dall’Antitrust italiano
Come anticipato in premessa, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nazionale ha provveduto ad avviare nei confronti di Apple (più nello specifico, Apple Inc., Apple Distribution International Ltd ed Apple Italia S.r.l.) un’istruttoria relativa al presunto abuso di posizione dominante nel mercato delle piattaforme per la distribuzione online di app nei confronti degli utenti degli utenti che utilizzano il sistema operativo proprietario iOS.
Le modifiche apportate da Apple alle proprie politiche privacy
Ciò che, più nel dettaglio, sarà oggetto di esame, sono le modifiche apportate da Apple alle proprie politiche privacy dall’aprile 2021. A partire da detta data, infatti, AGCM rileva che Apple “ha imposto agli sviluppatori di app suoi concorrenti che si avvalgono del proprio negozio on-line “App Store” di adottare una politica a tutela della privacy degli utenti – l’App Tracking Transparency policy […] che prevede regole più restrittive rispetto a quelle che l’impresa applica a sé stessa”.
Il diverso trattamento, secondo le informazioni preliminarmente acquisite da AGCM, si basa principalmente su due fattori:
- Le caratteristiche della “finestra a comparsa”, o prompt, che viene fatto apparire agli utenti ai fini dell’acquisizione del loro consenso al tracciamento dei dati di navigazione;
- Gli strumenti adottati per la misurazione dell’efficacia delle campagne pubblicitarie.
In relazione, in particolare, al primo punto, come detto in premesso, il prompt pone in risalto il comando di “negazione” del consenso, utilizza espressioni che pongono l’enfasi sul carattere del “tracciamento” (senza dare spiegazione del termine utilizzato, che induce l’utente ad avere il timore che i propri dati possano essere illecitamente raccolti) e non evidenzia quali potrebbero essere, per gli utenti che forniscono il proprio consenso, i vantaggi derivanti dalla pubblicità personalizzata.
Viene inoltre previsto un meccanismo di “doppio consenso esplicito”: anche ove l’utente, infatti, dia il proprio consenso, il nuovo meccanismo ATT di Apple prevede che il consumatore fornisca il consenso al tracciamento per ogni accesso alle diverse app, anche qualora le stesse siano tra loro collegate, non potendo dunque condividere i medesimi dati per consentire la personalizzazione e la misurazione dell’efficacia degli annunci su un’altra app.
Privacy degli utenti: due pesi e due misure
Lo stesso prompt non appare all’interno delle app proprietarie di Apple, con realizzazione di un sistema differente, che invece induce l’utente a fornire il proprio consenso: come si legge nel provvedimento dell’AGCM. Laddove, invece, si tratti delle app sviluppate direttamente da Apple, nei relativi prompt si pone in primo piano l’opzione “positiva” del consenso e, inoltre, oggetto del consenso diventano i “servizi personalizzati” e non più il “tenere traccia” dell’attività di navigazione degli utenti”. Non è nemmeno previsto il medesimo meccanismo del “doppio consenso esplicito”: tali circostanze possono dunque configurare ipotesi di trattamento differenziato fra i prodotti della stessa Apple e quelli dei suoi concorrenti, ossia di abuso di posizione dominante.
Gli sviluppatori delle app di terze parti lamentano, come detto, anche una sostanziale differenza di trattamento nell’attività di misurazione degli effetti delle campagne pubblicitarie. Più nello specifico, si osserva che “SkadNetwork, l’interfaccia di programmazione (API) messa a disposizione di Apple per consentire agli inserzionisti e sviluppatori di app terze, la misurazione dell’efficacia delle loro campagne pubblicitarie, presenta caratteristiche tecniche che rendono tale strumento in assoluto poco utile e in ogni caso molto meno efficace rispetto a Apple Ads Attribution, lo strumento che Apple adotta per sé stessa. I limiti attribuiti a SkadNetwork, anche nelle versioni più aggiornate sono i seguenti: i) consente un accesso ritardato ai dati di conversione (dopo un tempo minimo di 24-48 ore), mentre l’accesso ai dati è immediato con l’adozione di Apple Ads Attribution; ii) i dati risultano inoltre limitati e troppo aggregati e pertanto inidonei a rivelare gli effettivi gusti degli utenti, mentre Apple Ads Attribution fornisce agli inserzionisti i dati sul paese o sulla regione, sulla data e l’ora del click, sull’annuncio associato con l’istallazione dell’app”.
Prima dell’adozione di detto meccanismo, i concorrenti di Apple potevano offrire soluzioni diversificate per consentire agli inserzionisti di misurare l’efficacia delle proprie campagne, ed accedere alle metriche di segnalazione degli annunci, di audience e di conversione.
Sulla scorta degli elementi acquisiti da AGCM emerge, quindi, che a seguito dell’adozione della nuova ATT policy di Apple, si sono verificati:
- Una riduzione della capacità di profilazione degli utenti;
- Un aumento del costo medio per azione dell’acquisto da parte degli inserzionisti di spazi pubblicitari sulle app concorrenti a quella di Apple (di circa il 150%);
- Una riduzione della disponibilità degli inserzionisti ad acquistare spazi pubblicitari, con conseguente riduzione, per oltre il 50% dei ricavi degli sviluppatori. Si stima che la perdita di ricavi patita dai principali sviluppatori concorrenti di Apple sia stata pari, nel 2022, a circa 9 miliardi di euro.
Al contempo, si è registrato un incremento dei download da App Store dal 17% al 58%, con incremento significativo dei relativi ricavi pubblicitari per Apple.
Sulla base di dette premesse, AGCM ha avviato l’istruttoria in esame, affermando che “Apple, mediante l’introduzione della ATT policy per i soli sviluppatori di app terzi, ha ridotto – in modo discriminatorio – la possibilità di profilazione da parte degli editori, sviluppatori di app e ad-network concorrenti (lato dell’offerta) riducendo il valore della pubblicità per gli inserzionisti pubblicitari da essi serviti (lato della domanda) e, conseguentemente, ha ostacolato – a proprio vantaggio – la capacità dei concorrenti di vendere spazi pubblicitari. Con ciò favorendo sia le proprie vendite dirette – ad esempio tramite gli spazi pubblicitari venduti dentro l’App Store o altre app di Apple – sia, anche potenzialmente, le vendite effettuate per conto terzi – ad esempio, all’interno di app di terzi ma la cui pubblicità è intermediata da Apple, nell’ambito della propria attività pubblicitaria […]. Si potrebbe determinare, inoltre, una maggiore concentrazione dell’offerta di spazi pubblicitari in capo ad Apple e una conseguente perdita di potere contrattuale da parte degli inserzionisti, soprattutto quelli di minore dimensione”.
“Viene pertanto in rilievo, nel caso di specie”, si legge nel provvedimento di AGCM, “non già il livello di privacy scelto da Apple nel proprio ecosistema digitale, bensì la scelta di adottare politiche di privacy differenziate (e potenzialmente discriminatorie) tra sé stessa e i concorrenti”.
Le posizioni delle Autorità antitrust Europee
Come anticipato in premessa, l’Autorità italiana non è l’unica ad essersi attivata nei confronti di Apple censurando la legittimità delle politiche attuate sui propri sistemi operativi.
Secondo quanto riportato da Axios sulla base di fonti informate, l’Autorità francese starebbe procedendo all’avvio di un’ulteriore indagine antitrust fondata sempre sui reclami ricevuti in relazione al nuovo sistema anti-tracciamento reso oggi oggetto di scrutinio da parte del garante italiano.
Allo stesso tempo, sono in corso, su impulso dell’Autorità Antitrust europea, due ulteriori indagini relative:
- Alle limitazioni all’accesso, nei confronti delle app di terze parti, della tecnologia di pagamento mobile basata sul sistema tap-and-go, Near-Field Communication (NFC), con conseguente limitazione dello sviluppo di servizi concorrenti sui dispositivi Apple (a detta accusa Apple ha già risposto affermando che altri servizi di pagamento, come PayPal, utilizzano senza problemi il sistema operativo iOS);
- Alle pratiche restrittive attuate nei confronti del mercato della musica online: agli utenti iOS, infatti, non sarebbe concesso vedere opzioni di abbonamento ai servizi di streaming musicale a prezzi inferiori a quelli reperiti al di fuori dell’app”. Politiche, queste, che potrebbero essere dannose per gli utenti, in quanto spinti a pagare di più per il medesimo servizio.
La vittoria contro Epic
Negli Stati Uniti si è invece conclusa positivamente la causa in appello portata avanti nei confronti di Epic Games Inc. innanzi alla US Ninth Circuit Court of Appeals. La causa traeva origine dalla decisione, attuata da Apple nel 2020, di rimuovere Fortnite dalle app disponibili sul proprio store, in risposta al meccanismo di pagamento attuato da Epic Games per far fronte alla “tassazione” dei propri profitti in una percentuale del 30% per ogni acquisto effettuato in-app sui sistemi iOS.
Epic lamentava, in particolare, la violazione delle leggi antitrust, nonché della legge sulle pratiche commerciali scorrette della California.
Il 24 aprile 2023, tuttavia, la corte federale ha confermato la sentenza emessa in primo grado a favore di Apple, respingendo le accuse formulate da Epic, secondo le quali le regole imposte sull’App Store agli sviluppatori di terze parti rappresenterebbero una violazione della normativa antitrust, non consentendo di effettuare acquisti in-app mediante sistemi diversi dallo store digitale proprietario di Apple. Il motivo del reclamo sarebbe basato prevalentemente sulla mancata applicabilità, al caso in esame, di alcune sezioni dello Sherman Act, e al mancato soddisfacimento degli oneri probatori imposti dalla “Rule of Reason” per la dimostrazione dell’esistenza di una restrizione del mercato.
È stata tuttavia confermata la sentenza del tribunale distrettuale anche nella parte in cui si affermava che le restrizioni di Apple hanno “un sostanziale effetto anticoncorrenziale che danneggia i consumatori”, lasciando la facoltà agli sviluppatori di direzionare i propri utenti sul web per acquistare i medesimi prodotti a prezzi inferiori a quelli presenti in-app.
Precedentemente, infatti, Apple non consentiva neppure agli sviluppatori di inserire all’interno delle loro app dei collegamenti esterni che facilitassero l’acquisto, da parte degli utenti, dei prodotti e dei servizi offerti, a prezzi inferiori rispetto a quelli disponibili nello store.