Steve Jobs è morto il 5 ottobre 2011, ma la sua “creatura” più famosa – l’iPhone – è ancora il prodotto di punta di Apple, come confermato dai risultati trimestrali. Anche da questi ultimi, usciti ieri. Ma qualcosa di nuovo bolle in pentola.
Apple ha di fronte a sé molte sfide: dalla congiuntura economica incerta al deterioramento dei rapporti tra Usa e Cina, senza dimenticare i possibili rischi legati al recente lancio di Apple Savings, un conto risparmio con un rendimento annuale del 4,15%.
I motivi del successo inossidabile dell’iPhone
Apple ha appena presentato risultati superiori alle attese del mercato, soprattutto dovuti all’iPhone: anche se in calo rispetto allo scorso anno per il secondo trimestre consecutivo (un fatto verificatosi solo due altre volte nell’ultimo decennio), hanno portato a una crescita del titolo del 2 per cento circa nell’after-market. Una crescita cui probabilmente ha anche contribuito l’annuncio che il buyback di azioni proprie sarà pari quest’anno a 90 miliardi di dollari.
Ma perché l’iPhone continua a essere il prodotto di punta di Apple?
- Perché il valore delle sue vendite, pari nel primo trimestre dell’anno al 54% dei ricavi totali, cresce anche in un periodo di crisi “postpandemica” degli smartphone quale l’attuale;
- perché, a dispetto dell’età assai avanzata per un dispositivo tech, è sempre più percepito come un prodotto “di alta moda” e di “status”, come si vede dal successo dei modelli top di gamma (il prezzo medio di vendita di un iPhone è salito a quasi 1000 dollari rispetto agli 850 di due anni fa);
- perché ha da sempre la capacità di bilanciare le difficoltà in alcune aree geografiche con la crescita in altre, e questa volta è stato il turno dei Paesi emergenti (quali gli asiatici Cina e Giappone esclusi) a “riempire i buchi” negli US e in Cina;
- perché è diventato il motore – anche se il tasso di crescita è un po’ rallentato – del settore dei servizi (App Store e altri servizi a sottoscrizione ricorrente quali Apple Music e Apple Fitness+): un settore a forte profittabilità, che ora rappresenta il 22 per cento dei ricavi totali, con 975 milioni di clienti paganti nel mondo (150 in più rispetto a un anno fa).
La prima impresa al mondo per capitalizzazione
Tim Cook ha sicuramente un grosso merito in questo, con la sua incessante introduzione di innovazioni incrementali, con la sua costante ricerca di nuovi mercati, con il suo sforzo continuo di valorizzazione del brand. Apple continua a essere la prima impresa al mondo per capitalizzazione (2.620 miliardi di dollari), nonostante i 600 miliardi spesi nell’ultimo decennio per il riacquisto di azioni proprie e i dividendi parallelamente distribuiti.
Le nubi all’orizzonte
A fronte dei successi nell’iPhone e nei servizi, la scure post-pandemica ha colpito duramente i Mac, meno 31% rispetto a un anno fa, e gli iPad, meno 13%, e ha leggermente limato anche le vendite di wearables (AirPod, Apple Watch ..). “The pandemic spending euphoria is over,” ha commentato un analista di Forrester, vedendo questi ultimi dati come una anticipazione di quello che a suo avviso sarà il comportamento – molto più restrittivo nella spesa – dei consumatori in una congiuntura economica più incerta: per l’inflazione che non si arresta, per le politiche restrittive conseguenti che comportano l’aumento dei tassi di interesse, per le crescenti tensioni geo-politiche che spingono verso una potenziale frammentazione dei mercati.
I rischi legati alle tensioni Usa-Cina
Il deterioramento dei rapporti fra Usa e Cina, in particolare, potrebbe rappresentare un grosso problema per Apple, che ha nella Cina sia un rilevante mercato sia il luogo privilegiato di produzione dei suoi dispositivi; e non è un caso che essa stia cercando di spostare in India almeno parte della produzione, con tutte le difficoltà derivanti dall’assenza nell’India stessa di un ecosistema paragonabile a quello esistente in Cina.
Il faro delle Autorità antitrust
Potrebbero essere le authority antitrust – statunitensi, comunitarie e ora anche inglesi – ad attaccare invece il suo duopolio con Google negli smartphone, funzionale alla crescita dei servizi. E su un altro versante – quello delle auto elettriche e della possibile crescita della guida autonoma – è recente la sfida lanciata da GM, che non vuole più Apple CarPlay e Android Auto sul dashboard delle proprie auto: una sfida dagli esiti incerti, che potrebbe alienarle parte della potenziale clientela, ma che indica chiaramente il desiderio del mondo dell’auto di seguire la strada tracciata da Elon Musk sin dalla nascita di Tesla.
Le recenti “scorribande” di Apple nella finanza
Una ultima considerazione riguarda le recenti “scorribande” di Apple nella finanza – in alleanza con Goldman Sachs – in un momento in cui il sistema bancario statunitense è in forte crisi dopo che il collasso della Silicon Valley Bank (ora assorbita dalla JPMorgan Chase) ha messo a rischio molte banche minori, che vedono i loro depositi migrare verso banche e/o altri investimenti considerati più sicuri. Apple in particolare ha offerto un rendimento per i saving account che è sproporzionalmente più elevato a rispetto a quello mediamente offerto dalle banche.
È una mossa avveduta, in un contesto in cui le big tech sono accusate – al di là di eventuali fatti specifici – di detenere troppo potere? Io nutro qualche dubbio, e mi chiedo se non siano le preoccupazioni per un calo ulteriore di ricavi e profitti a rendere Apple imprudente.
È vero che la finanza è il frutto proibito cui il mondo tech aspira da tempo (il tentativo di Zuckerberg di creare con Libra una sua cryptomoneta ne è un esempio), ma è un frutto però anche molto pericoloso, per le reazioni che il mondo politico – oltre ovviamente a quello bancario-finanziario – può avere nei riguardi di quella che appare come una vera e propria invasione di campo.
Lo hanno capito un po’ tardi le big tech cinesi, Tencent e ancor più Alibaba, colpite dal tech backlash di Xi Jinping proprio nel momento in cui Ant Financial, il braccio finanziario di Alibaba, stava realizzando il suo trionfale IPO.