normativa europea

Confindustria: “Come sfruttare al meglio il digital services act per aggiornare le norme europee”

Il Digital Services Act (DSA) intende aggiornare il quadro normativo comunitario rispetto a nuovi profili di attività emersi sul mercato rispetto alla direttiva eCommerce del 2000. Un’analisi della proposta e del contesto in cui si colloca nell’ambito dello sviluppo dei servizi digitali europei

Pubblicato il 28 Giu 2021

Marzia Minozzi

Responsabile Normativa e Regolamentazione di Assotelecomunicazioni-Asstel

Dark pattern e trasparenza della pubblicità online

Sta entrando nel vivo il dibattito sulle proposte normative che, nelle intenzioni della Commissione europea, devono dare forma al quadro di regole per l’ambiente digitale nel prossimo decennio, coerentemente con il più generale intento di realizzare il digital compass e trovare una strada europea allo sviluppo dei servizi digitali che ne assicuri la coerenza con i valori europei.

Il “pacchetto” normativo si compone di diverse iniziative, dove in questa fase merita dedicare particolare attenzione al Digital Services Act, perché serve ad aggiornare il quadro normativo comunitario rispetto a nuovi profili di attività emersi sul mercato.

Il digital services act nel contesto delle norme

Si noti che nel pacchetto di normative in preparazione, alcune sono su ambiti totalmente nuovi per il diritto comunitario, come nel caso della proposta di regolamento sull’intelligenza artificiale; altre variamente evolutive di discipline già presenti, come nel caso della proposta di regolamento in materia di servizi digitali (digital services act – DSA) o di trattamento dei dati (data governance act – DGA); infine, altri quali tentativi innovativi di risolvere questioni emerse prepotentemente negli ultimi anni, come nel caso della proposta di regolamento in materia di mercati digitali (digital markets act – DMA) che cerca di risolvere in modo positivo il dilemma dell’apparente inefficacia degli strumenti antitrust utilizzati sinora dalla Commissione rispetto ad alcune prassi di grandi operatori di piattaforme online.

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Il contesto dell’ordinamento comunitario

Un primo elemento di attenzione va quindi posto alla coerenza complessiva delle norme che si vorrebbero introdurre nell’ordinamento comunitario, tra loro – data la complessità delle iniziative in corso – e con quelle già presenti nell’ordinamento stesso: non va infatti trascurato il fatto che già sotto la Commissione Junker sono stati adottati importanti atti normativi, la cui attuazione è peraltro ancora in corso in molti stati membri ed i cui effetti devono quindi ancora essere verificati e valutati. Ricordiamo, ad esempio:

Sarebbe foriero di grande confusione normativa reintervenire sugli stessi temi con i nuovi strumenti normativi proposti dalla Commissione: ad esempio, non appare utile immaginare di ricomprendere nuovamente la tutela dei contenuti protetti dal diritto d’autore, oggetto unico della direttiva sul copyright, nella proposta di regolamento sui servizi digitali, che piuttosto generalizza quel percorso normativo e sarà l’oggetto delle considerazioni che seguono.

La proposta di regolamento sui servizi digitali (DSA – Digital Services Act)

Il fulcro del quadro normativo per i servizi digitali è stato costituito sinora dalla direttiva “e-commerce”, che ha stabilito il principio cardine di esenzione di responsabilità per i prestatori di servizi intermediari (mere conduit, hosting e caching) che ha consentito l’enorme evoluzione dell’ambiente digitale cui abbiamo assistito negli ultimi venti anni e, grazie ad un approccio sostanzialmente condiviso a livello internazionale, lo sviluppo di un mercato digitale globale.

L’adeguatezza della direttiva del 2000 a regolamentare ancora un ambiente digitale profondamente evoluto era stata oggetto di varie riflessioni già nel corso delle legislature comunitarie precedenti quella attuale; la conclusione raggiunta e costantemente ribadita propendeva per la necessità di salvaguardare i principi stabiliti dalla direttiva, che doveva quindi restare in vigore, e ragionare ulteriormente rispetto ai fenomeni nuovi apparsi sul mercato negli anni.

È con questo, condivisibile, approccio che la Commissione Von der Leyen ha elaborato la proposta di regolamento sui servizi digitali, Digital services Act, che intende aggiornare il quadro normativo comunitario rispetto, appunto, a nuovi profili di attività emersi sul mercato, che potranno beneficiare di una maggiore chiarezza normativa, e individuare strumenti per contrastare comportamenti illeciti rispetto ai quali gli strumenti digitali costituiscono un fattore di facilitazione per chi li commette e di complicazione per le autorità deputate alla loro repressione.

Il valore di un ambiente online sicuro e affidabile

Un primo elemento da sottolineare rispetto al dibattito che si sta sviluppando in merito alla proposta di regolamento sui servizi digitali è che tutti gli stakeholder sono interessati ad avere “un ambiente online sicuro e affidabile”.

Il tempo della contrapposizione manichea tra “libertari” della rete e promotori di una visione che puntava ad equiparare qualsiasi attività online a quella editoriale, con tutte le connesse responsabilità, appare – fortunatamente – superato. La possibilità di avere chiari riferimenti normativi che dettino i principi secondo cui risolvere i problemi connessi a comportamenti illeciti favoriti dall’ambiente digitale fino a monopolizzare lo stesso dibattito pubblico (si pensi ad esempio al tema delle fake news e al loro ruolo nei sistemi democratici) è ormai avvertita come un valore da tutti gli attori dell’ecosistema.

Il principio di legittimità

Il riconoscimento del principio per cui ciò che è illecito nel mondo reale è illecito anche online non è in contraddizione con la constatazione che situazioni concretamente diverse richiedono approcci e strumenti diversi per garantire lo stesso risultato di promozione della legalità e che i profili che connotano l’attività di un gestore di piattaforma online sono decisamente meno invasivi, rispetto alle scelte sui contenuti proposti all’utente, di quelli riconducibili alle attività editoriali proprie dei media tradizionali (stampa o radio-tv).

I principi consolidati dell’ordinamento UE

Piuttosto, è da questo corretto punto di partenza che possono essere ricercate regole per l’ambiente digitale efficaci in quanto coerenti con la realtà che si vuole disciplinare, partendo dai principi già consolidati nell’ordinamento e nella giurisprudenza comunitari, come quello di esenzione per i prestatori di servizi meramente intermediari, dell’assenza di obbligo di sorveglianza su comunicazioni che sono comunque riconducibili a singoli cittadini, della necessità che le misure richieste ai prestatori di servizi debbano essere eque e proporzionate e non eccessivamente onerose, del necessario bilanciamento tra i diversi diritti fondamentali che vengono in rilievo nei diversi casi possibili (si pensi a titolo di esempio, mutatis mutandis, al caso Sabam-Scarlet[1], in cui viene inequivocabilmente invocato dalla Corte il bilanciamento tra diritto dei titolari di proprietà intellettuale, diritto d’impresa del prestatore di servizio di comunicazione e diritti dei consumatori).

Al fine di costruire un atto normativo che promuova l’innovazione, la crescita e la competitività del sistema europeo e faciliti l’espansione delle piattaforme più piccole, delle PMI e delle startup; riequilibri le responsabilità degli utenti, delle piattaforme e delle autorità pubbliche ponendo al centro i cittadini; protegga meglio i consumatori e i loro diritti fondamentali online; istituisca un quadro efficace e chiaro in materia di trasparenza e responsabilità delle piattaforme online e promuova l’innovazione, la crescita e la competitività all’interno del mercato unico è di fondamentale importanza tenere presenti i due binari della coerenza con il diritto positivo già presente nell’ordinamento e con la realtà del mercato da disciplinare.

Le caratteristiche del mercato digitale

Dalle caratteristiche di quest’ultimo fattore citato, discendono altri requisiti di fondamentale importanza nell’impostazione di misure che siano realmente efficaci. Il mercato digitale è per sua natura innovativo, rapidamente mutevole, tecnologicamente complesso, con modelli di business non sempre immediatamente comprensibili; mette in moto dinamiche di ecosistema, in cui le relazioni tra i diversi attori sono non necessariamente sinallagmatiche; riconosce un ruolo mai sperimentato prima agli utenti: un controllo totale sui fenomeni che vi si realizzano è di fatto impossibile e le asimmetrie informative a carico del regolatore sono più ampie che in altri settori.

Le conclusioni rispetto all’impostazione della proposta di Regolamento

Da questo stato di fatto discendono la necessità di adottare un approccio regolamentare basato su principi chiari che vengano poi implementati in modo ragionevole e proporzionato, nonché attraverso la collaborazione con gli attori del mercato; il riconoscimento del valore del principio cosiddetto “del buon samaritano”[2]; l’impossibilità di attuare operazioni rigide di “stay down”[3]; la necessità di considerare requisiti degli ordini delle autorità anche quelli relativi alla proporzionalità degli ordini stessi, alla fattibilità tecnica e alla sostenibilità economica delle azioni richieste.

La distinzione tra PMI, generalità degli operatori e grandi piattaforme online appare un primo tentativo di articolare il principio di proporzionalità con riferimento agli oneri impliciti nell’ottemperanza ai requisiti dalla proposta normativa, tentativo apprezzabile ma perfezionabile, sia nella definizione del confine tra generalità degli operatori e grandi piattaforme online, sia con riferimento al fatto che l’esenzione dall’ambito applicativo del regolamento a favore delle PMI rischia di essere un incentivo implicito al loro nanismo, con effetto opposto a quello che la proposta normativa si prefigge rispetto all’obiettivo di creare un quadro normativo che renda più agevole avviare ed espandere attività di fornitura dei servizi digitali.

Le proposte dedicate alle grandi piattaforme online sembrano essere ispirate da un approccio di valutazione dei rischi e rendicontazione delle attività che andranno calibrate in modo proporzionato se non vogliamo evitare lo stesso rischio di compressione del mercato attraverso incentivi impliciti a “non fare”; nella lettura più estensiva, infatti, le norme proposte sono generalmente onerose e di complessa attuazione, per cui appare di importanza fondamentale valorizzare i requisiti di ragionevolezza, proporzionalità ed efficacia attesa.

La questione della trasparenza

Senza entrare nel commento puntuale di tutti gli elementi presenti nella proposta normativa, un ultimo commento merita la questione della trasparenza, che viene in rilievo in due casi: trasparenza nell’ottemperanza degli ordini delle autorità e trasparenza da parte dei fornitori di grandi piattaforme online in ordine ai criteri di raccomandazioni personalizzate, ai contenuti pubblicitari, alla compliance.

Posto che la trasparenza in sé è un valore per tutti gli attori, anche in questo caso è necessario procedere con proporzionalità, onde evitare oneri ingiustificati dalla reale utilità ed efficacia delle informazioni richieste, sia per gli attori del mercato che per le autorità che devono poi gestire ed interpretare tali informazioni, ed evitare che attraverso i requisiti di trasparenza si giunga invece al monitoraggio dettagliato di aspetti competitivi del funzionamento e del modello di business dei servizi in questione.

Anche sotto tale profilo, viene ribadita la necessità di un approccio dialogante con gli attori del mercato, che consenta di individuare il giusto equilibrio nelle diverse esigenze in gioco.

Note

  1. Sentenza della Corte di Giustizia UE nella causa C 70-10
  2. Art. 6 della proposta di regolamento DSA.
  3. La richiesta per cui, una volta implementato un ordine di “notice & take down” quello stesso contenuto venga rimosso ogni qualvolta ricompare in rete senza necessità di indicare ulteriormente la sua localizzazione sulla rete stessa, ad esempio attraverso la notifica dell’URL.

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