Qualsiasi azienda orientata al futuro dovrebbe prestare attenzione al suono. Implementare l’audio nella propria strategia di comunicazione aziendale, e nel marketing del prodotto, aumenta la soddisfazione e il benessere del cliente, la produttività dei dipendenti, e i dati di ritorno sull’investimento in pubblicità.
Quello in cui siamo appena entrati è stato definito come “decennio del suono” dal presidente di Harman (controllata Samsung), lo scorso novembre alla kermesse Audio Collaborative. Se nella scorsa decade abbiamo assistito a una crescita esponenziale nella produzione di contenuti video, oggi è l’audio a prendersi le scene.
Esperienze sensoriali per “resuscitare” il brand: ecco perché il marketing non basta più
I suoni, e i rumori, sono input sempre presenti che influenzano molteplici funzioni del cervello umano: la nostra percezione del mondo, la nostra salute, e la nostra capacità di comunicare ed esprimersi. La codifica cerebrale del suono è anche la prima difesa istintiva che abbiamo, poiché, in immediato, sappiamo se siamo o meno al sicuro rispetto a ciò che ascoltiamo. Il suono può essere anche fonte di piacere, basti pensare a quello prodotto da un ruscello in natura, oppure alla musica, o ancora alla risata contagiosa di qualcuno.
Il suono influenza anche i sensi della vista e del gusto. A differenza dei nostri occhi e della nostra bocca, tuttavia, l’orecchio umano non si chiude mai. Nemmeno nel sonno. Siamo costantemente esposti e influenzati da suoni, e da rumori indesiderati.
Proprio per questi motivi, qualsiasi azienda dovrebbe interessarsi al suono come asset per il proprio business, anche se non si è nel settore audio.
La produttività dei dipendenti può ridursi fino al 70% a causa dell’impatto del rumore nelle aziende: quando il rumore aumenta, il battito cardiaco accelera, e la concentrazione diminuisce. Il microbiologo tedesco Robert Koch (1843-1910) affermò: «Un giorno, l’umanità combatterà il rumore senza sosta, come fece con il colera in passato».
Le applicazioni del suono
L’attenzione al suono nell’automotive è ormai consolidata da diversi anni. Sono stati fatti progressi significativi insonorizzando le auto per tenere fuori dagli abitacoli il rumore del traffico, creati sistemi hi-fi ad alta fedeltà, e sviluppate interfacce per utilizzare i telefoni con comandi vocali al fine di non distrarsi alla guida. Ma non è finita qui.
Nel 2019, Ari Peralta, fondatore dello studio londinese Arigami, ha collaborato con il sound designer Tom Middleton per creare un elemento audio originale per Nissan Leaf. Nissan cercava un modo per convincere i giovani genitori a scegliere il loro veicolo elettrico entry-level, creando così il progetto Nissan LEAF Dream Drive. Esso si basa su una ricerca che ha evidenziato come oltre il 60% dei genitori usa l’auto per aiutare il bambino ad addormentarsi. Il ronzio del motore a combustione (che manca nei veicoli elettrici come la Leaf) contribuisce in modo importante a indurre lo stato desiderato. Hanno creato così una “ninna-nanna” speciale, una colonna sonora che riportava anche il ronzio del motore a combustione.
Sempre Arigami, nella capitale inglese, ha applicato l’audio spaziale – inteso come evoluzione dell’audio surround – a degli ambienti di cura e ospitalità per malati di Alzheimer, con la consulenza di medici e ricercatori, basandosi sulla moltitudine di ricerche e conseguenti paper scientifici che cercano di dimostrare l’efficacia del suono per il rallentamento di questa malattia degenerativa.
Allargando gli spazi, e parlando dunque di città e agglomerati urbani, sta emergendo una disciplina che coniuga acustica, paesaggi sonori e pianificazione urbana, chiamata Sound Urban Planning. L’obiettivo è progettare ambienti acusticamente favorevoli, riducendo i rumori e aumentando il benessere dei cittadini, attraverso uno strategico utilizzo degli spazi verdi, altoparlanti “quasi invisibili”, e barriere sonore applicate a case e palazzi.
A causa della pandemia, durante la quarantena e le zone rosse non abbiamo potuto godere degli spazi urbani, e degli ambienti condivisi, quali ad esempio scuole e aziende. L’utilizzo delle piattaforme di videoconferenza è cresciuto enormemente, e alcune agenzie hanno iniziato a chiedersi come poter migliorare quell’esperienza. Il fondatore di Second Life, Philip Rosedale, ha creato High Fidelity, un’esperienza di audio spaziale in real time, da applicare attraverso una libreria API al software di videoconferenza che si vuole utilizzare tra colleghi (o tra docenti e studenti).
L’audio, oggi, viene dunque applicato con successo nell’assistenza sanitaria, negli eventi dal vivo, nell’ospitalità, nel fitness, nella pianificazione urbana, nell’istruzione. Insomma, in uno scenario in cui oltre il 50% dell’esperienza emotiva e psicologica di un utente, di un cliente, di un dipendente, è controllata dall’audio, non servirsene sarebbe come andare contro gli interessi della propria azienda.
Le 5W del podcasting
Come abbiamo appena visto, l’audio è un mezzo potente per condividere emozioni, e per farlo oggi abbiamo a disposizione anche il podcasting. Addentriamoci nel tema basandoci sulle famose “5W del giornalismo” (Who, What, Where, When, Why).
Chi dovrebbe lanciare un podcast? Aziende, freelance, testate editoriali. Differenti soggetti, stesso obiettivo: catturare l’interesse dei clienti, mettendosi nei loro panni.
Le declinazioni saranno però differenti, quindi: che cosa comunicare in un podcast? La difficoltà sta nel passare dall’argomento alla parola dotata di mimica, ossia riuscire a trasmettere emozioni, sensazioni, ambientazioni, attraverso la voce e il sound design. Storie immersive, piene di dettagli, mai generiche, per portare l’ascoltatore sul luogo dei fatti narrati.
Dove proporre il podcast? È conveniente affidarsi a piattaforme aperte, che non richiedono abbonamenti, al fine di massimizzare l’investimento e aumentare il proprio pubblico potenziale. Google ha un PDF online dedicato, dove spiega passo dopo passo come creare un RSS con il proprio podcast.
Quando è il momento giusto per lanciarlo? È consigliabile non fare mai un podcast giusto perché il competitor ce l’ha. Vale la stessa regola dei social network: qualche anno fa tutti volevano essere su tutte le piattaforme, per poi scoprire di non avere la forza per mantenerle. Dunque, prima di lanciare un podcast, è bene creare un business plan, evidenziando le caratteristiche dell’ascoltatore, e “cucendo” su di esso il prodotto audio.
Perché fare un podcast? Sicuramente è un impegno di tempo e denaro che non porta a un guadagno economico, e sul quale è molto complesso fare delle stime sui ritorni sull’investimento. È uno strumento di brand awareness, e di fidelizzazione dei consumatori finali, supportato da dati decisamente incoraggianti a proposito di frequenza di ascolto e di crescita di pubblico, che aumentano con una media del 15% su base annua. Secondo i dati Nielsen, infatti, nel 2019 i fruitori erano 12 milioni, nel 2020 13,9 milioni, con una media di 24-25 minuti di ascolto per settimana.