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Auto elettriche: il boom cinese accentua i punti deboli Ue



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L’indagine anti-dumping annunciata dalla Commissione Ue sui veicoli elettrici cinesi non fa che evidenziare il tallone d’Achille di un’Europa che preferisce rimandare, senza porsi l’obiettivo di fare da capofila, e in continuo ritardo su investimenti e innovazioni

Pubblicato il 29 set 2023

Federica Giaquinta

Consigliere direttivo di Internet Society Italia



auto elettriche

Le ambizioni monopolistiche della Cina non sono di certo una novità e il suo noto avanzamento anche nel settore automobilistico e delle auto elettriche (EV) è in parte il risultato del desiderio del suo governo di creare una forza globale che finisca per sbilanciare in modo ancor più significativo il braccio di ferro che, da anni, Pechino, porta avanti con l’Unione Europea.

Per tali ragioni, infatti, la temuta invasione di auto elettriche cinesi a basso costo ha determinato una rimodulazione dello stato dell’arte relativo ai complicati rapporti commerciali che potrebbe trovare un punto di non ritorno proprio a causa dei gravosi dazi che la Commissione Europea intende applicare alle importazioni di auto elettriche.

Dumping cinese, l’indagine di Bruxelles

In realtà, le pressioni per l’apertura di un’indagine antidumping da parte della Commissione erano già state sollevate da Emmanuel Macron qualche mese fa.

Il Presidente francese aveva sottolineato come non solo i prezzi artificiali delle auto elettriche proposti dall’economia dirigista di Pechino danneggiassero il mercato europeo ma anche come le aziende cinesi trascurassero gli stringenti limiti posti sulle quantità di agenti inquinanti emessi in fase di produzione: proprio per tale ragione la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo discorso annuale sullo stato dellUnione al Parlamento europeo a Strasburgo, ha confermato l’avvio di un’inchiesta anti-sussidi sui veicoli elettrici cinesi” affermando che “l’Europa è aperta alla concorrenza ma non a una corsa al ribasso” perché “tenere il prezzo artificialmente basso significa provocare importanti distorsioni di mercato”.

Stando alle dichiarazioni ufficiali, Bruxelles lancerà, quindi, un’indagine sull’impatto degli “enormi sussidi statali” che permettono alla Cina di inondare il mercato europeo con auto elettriche a basso costo, finalizzato ad aprire un nuovo fronte nella battaglia per guidare la nuova economia verde.

La reazione di Pechino

Non si è fatta attendere la reazione di Pechino, che ha definito tale decisione “un puro atto protezionistico che interromperà la catena globale dell’industria dell’auto e delle forniture”: è chiaro infatti che a soffrirne saranno gli acquirenti europei di automobili, a cui probabilmente non interessa se il governo cinese ha contribuito a mantenere basso il prezzo degli EV.

Rispetto alla vicenda riportata, risultano, peraltro, atipici sia il metodo scelto dalla von der Leyen – che in modo irrituale – ha avviato una “indagine” di sua iniziativa, e non su richiesta di aziende o Paesi membri, sia i tempi di conclusione di questa indagine (tredici mesi), che oltrepasserebbero così la data delle prossime elezioni europee e che vedrebbero chiaramente cambiare gli scenari e le governance.

In ogni caso la Commissione raccoglierà informazioni e prove per determinare se la Cina abbia o meno violato le norme antisovvenzioni. Se così fosse, sarebbe possibile adottare potenzialmente misure compensative, come l’imposizione di dazi preliminari sulle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina entro nove mesi dall’avvio formale del caso e dazi definitivi entro 13 mesi. Queste misure potrebbero potenzialmente essere contestate da Pechino presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

I rischi per la lotta contro il cambiamento climatico


Chiaramente l’indagine antisovvenzioni della Commissione Europea sui veicoli elettrici cinesi ha gettato una nube oscura su un settore considerato essenziale per la lotta globale contro il cambiamento climatico, poiché le aspettative di dazi aggiuntivi potrebbero provocare un’immediata esitazione da parte degli acquirenti tra gli importatori europei, distorcendo allo stesso tempo i prezzi e interrompendo l’offerta nel lungo periodo, considerando, tra l’altro, che le politiche a sostegno dell’industria delle auto elettriche (Ev) in Cina sono attive dal 2009, e i nuovi veicoli energetici integrati nelle Industrie Strategiche Emergenti da ormai oltre dieci anni.

Una corsa ai ripari troppo frettolosa

Emblematico è, al riguardo, l’annuncio fatto dal governo di Pechino lo scorso giugno circa il riconoscimento di maxi-incentivi fiscali finalizzati a stimolare la crescita delle auto elettriche, avallate anche dai rapporti e dalla vicinanza con la Russia – che quest’anno diventerà il suo più grande acquirente – e le conseguenti stime per cui la quota cinese di veicoli elettrici venduti in Europa risulta aumentare dell’8% – e con ulteriori prospettive di crescita sino il 15% nel 2025. Proprio ciò sembra aver indotto la Commissione a correre ai ripari, forse in modo troppo frettoloso.

Per crescere, l’industria dei veicoli elettrici ha aumentato le assunzioni, offrendo stipendi più alti agli ingegneri degli algoritmi e distribuendo prestiti senza interessi per trattenere i talenti. Secondo il sito di reclutamento cinese Liepin, le offerte di lavoro nel settore sono aumentate del 36% nel 2022, con le aziende che attirano talenti dalle società Internet. Byd ha assunto circa 31.800 laureati nel 2023, di cui oltre l’80% assunto per ricerca e sviluppo

Questo dimostra come l’UE abbia perso ancora una volta terreno in una partita che avrebbe potuto dominare: l’esigenza di regolamentare e stringere il mercato, senza prospettive di tutela nei confronti degli acquirenti, mal si concilia con la possibilità di innovare per raggiungere il successo e prendere una posizione dominante in un contesto in cui la Cina sembra non avere rivali – si pensi a Byd che ha addirittura sorpassato la Tesla in termini di vendite e alcuni gruppi tra i più promettenti, quali Nio, che stanno rivoluzionando le dinamiche del mercato con prezzi nettamente inferiori rispetto ai principali concorrenti europei e americani. BYD ha tra l’altro detronizzato Volkswagen come marchio automobilistico più venduto in Cina e Nio ha creato reti di vendita e assistenza in Norvegia, Germania, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca.

Conclusioni


Il continuo ritardo in investimenti e innovazioni sembra essere il tallone d’Achille di un’Europa che preferisce rimandare, senza porsi l’obiettivo di fare da capofila in termini di visioni e appuntamenti con un mercato in continua espansione.
L’indagine avviata, e accolta con grande entusiasmo dalla Francia e dalla Germania, non rischia, tuttavia, di scontrarsi con un modello semplicemente efficiente piuttosto che sleale?

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