Il ritorno alla ribalta dell’auto è la sintesi che a mio avviso spiegherebbe meglio quello che sta accadendo nel mondo dell’auto, anche sulla scia della rivoluzione dell’elettrico.
È del 12 settembre scorso il discorso annuale al Parlamento UE in cui Ursula von der Leyen, dopo aver constatato con preoccupazione che “global markets are now flooded with cheaper Chinese electric cars” (i mercati globali sono invasi da auto elettriche cinesi economiche, ndr) ha annunciato il lancio di una indagine sui sussidi che il governo cinese corrisponderebbe alle sue imprese produttrici di auto elettriche (tantissime come si può vedere dalla Tab. 1), come premessa a un possibile incremento delle tariffe doganali per accedere al mercato comunitario.
Ma perché così tanta preoccupazione?
La rivoluzione dell’auto elettrica
Sintetizziamo alcuni elementi fondamentali:
- a un secolo circa dalla conquista della leadership statunitense e poi mondiale da parte di General Motors (GM), che la strappò a Ford – l’impresa che all’inizio del ‘900 aveva “inventato” l’industria moderna – con una radicale innovazione nell’approccio di marketing (diversificare l’offerta di modelli in funzione della domanda invece che puntare esclusivamente sul perseguimento delle economie di scala) e con l’introduzione di una struttura organizzativa “divisionale” in luogo della funzionale;
- a una quarantina d’anni dall’introduzione da parte giapponese del modello Toyota, che portò la Toyota stessa ai vertici mondiali: un modello centrato su un radicale ripensamento sia del processo produttivo, con l’introduzione del “just in time”, sia del processo di progettazione dei nuovi modelli, con il cosiddetto “concurrent engineering” (ovvero con il coinvolgimento sin dall’inizio dei futuri fornitori), nonché con una nuova enfasi sulla qualità e sulle modalità per promuoverla.
E ora, con il passaggio all’auto elettrica, una nuova rivoluzione, diversa nei suoi caratteri fondamentali rispetto alle due precedenti:
- è una rivoluzione che non parte dall’interno di una impresa, quali GM e Toyota nelle due precedenti, ma che ha un’origine politica: essa è originata infatti da un cambiamento delle regole, conseguente agli impegni assunti dai diversi Paesi del mondo per fronteggiare il riscaldamento globale;
- è una rivoluzione che a differenza delle precedenti ha una componente tecnologica molto più rilevante: il motore a combustione interna, elemento fondamentale dell’auto tradizionale, lascia il posto – in termini anche di incidenza sui costi – alla batteria e con il “modello Tesla” (ora imitato da tutte le case automobilistiche) assume un ruolo rilevantissimo il sistema operativo dell’auto stessa, che (come in uno smartphone) ha un ruolo di comando all’interno e colloquia con l’esterno, inviando dati e ricevendo istruzioni e aggiornamenti;
- è una rivoluzione che, data la sua profondità, rimette completamente in gioco i differenziali competitivi: cancellandone completamente alcuni (un motore elettrico ad esempio è molto più facile e meno costoso da costruire che non uno a combustione interna), creandone altri del tutto nuovi (quali quelli connessi alle prestazioni e ai costi delle batterie) e spingendo le imprese automobilistiche incumbent a cercare di sfruttare in ogni modo i differenziali competitivi residui legati ai loro brand e alle loro infrastrutture di assistenza e di vendita (queste ultime minacciate dagli acquisti online);
- è una rivoluzione che ovviamente condanna a morte molti fornitori e ne fa nascere di nuovi, quali appunto i produttori di batterie, che possono assumere ruoli dominanti o co-dominanti nella filiera dell’auto (così come i produttori di software e microprocessori divennero dominanti in quella dei PC);
- è una rivoluzione che ha connotazioni geopolitiche molto più rilevanti – anche rispetto alla precedente che vedeva in gioco il Giappone – per il controllo che la Cina si è costruita nel tempo su molte materie prime essenziali e per la sua leadership tecnologica nelle batterie, in un contesto mondiale di crescente guerra fredda fra la Cina stessa e gli Stati Uniti, con ovvi riflessi sull’Europa e sul nostro Paese in particolare.
Perché un ritorno alla ribalta dell’auto
Perché un ritorno alla ribalta?
Perché sino al fiorire della trasformazione digitale, con la crescita delle big tech e di un insieme ampio di medium tech e tech startup attorno ad esse, l’auto aveva un ruolo di traino – date le sue dimensioni – sull’intero comparto industriale mondiale: il just in time e il concurrent engineering, la robotizzazione della produzione, piuttosto che in precedenza l’organizzazione divisionale e la segmentazione dei mercati di sbocco sono solo alcune delle innovazioni nate o fortemente cresciute nell’ambito automobilistico, per poi diffondersi in tutta l’industria e – almeno in parte – anche nel mondo dei servizi.
Negli ultimi 20 e più anni, viceversa, il comparto dell’auto è diventato un settore sempre più oggetto della trasformazione digitale (come emerge anche dalla crescente incidenza percentuale dei costi di natura elettronico-digitale) e allo stesso tempo un grande beneficiario della stessa, all’origine delle innovazioni più significative: innovazioni in larga misura di natura incrementale, ma potenzialmente – se ad esempio la guida autonoma uscisse dalle ristrette aree in cui (come a San Francisco) è diventata un servizio pubblico autorizzato – anche di natura radicale.
Perché il passaggio all’auto elettrica a batteria (il modello di auto verde attualmente predominante) comporta grossi problemi sul fronte occupazionale – ci sono attualmente ben 14 milioni di addetti nella filiera dell’auto UE – e su quello geopolitico.
E perché, se non verrà affiancato dall’entrata in gioco di veicoli a emissioni zero che utilizzano combustibili alternativi, esso contribuirà in misura sostanziale al sovraccarico delle reti elettriche e all’esigenza imprescindibile di una loro radicale ristrutturazione.
Un problema geopolitico soprattutto per l’Europa
Perché tanta preoccupazione?
Perché anche in Europa le vendite di auto elettriche stanno diventando una realtà importante – quasi 1 ogni 5 auto vendute – e l’IEA continua ad aggiornare al rialzo le previsioni di vendita per i prossimi anni.
Perché alle grandi imprese automobilistiche europee, quelle tedesche in primo luogo (Tab. 2), è servito molto tempo per rendersi conto di una nuova realtà in cui non credevano; e, una volta partite, esse hanno privilegiato i modelli più remunerativi di fascia alta, rimanendo scoperte sulla fascia bassa del mercato, quella più esposta alla penetrazione cinese.
Perché il forte rallentamento dell’economia cinese spinge le imprese locali – che sinora operavano in larghissima prevalenza sul mercato interno – a cercare spazi all’estero, in Europa primariamente, mettendo a punto modelli qualitativamente più elevati e in linea con le regolamentazioni richieste nei diversi mercati.
Perché l’Europa è molto meno protetta degli Stati Uniti dalle barriere doganali: 9 per cento contro 27 per cento, secondo Bloomberg, a seguito di un provvedimento di Trump lasciato inalterato da Biden.
Sarà un’operazione facile rialzare le barriere doganali per evitare la conquista di una consistente quota del mercato UE (ora cresciuta dall’1 al 2,8%) in attesa della predisposizione – che richiederà 2-3 anni almeno – di una offerta europea competitiva? I dubbi sulle possibili ritorsioni della Cina – che ha espresso “forte disappunto e preoccupazione” a fronte dell’annuncio dell’indagine – ci sono, e non piccoli. In primo luogo, la Cina potrebbe giocare la carta delle materie prime indispensabili per la transizione energetico-ambientale – di cui controlla (per una politica accorta sviluppata nel tempo) quote molto elevate dell’offerta mondiale – e della sua leadership tecnologica nelle batterie (ove CATL è l’impresa di punta). In secondo luogo, come avvenuto in passato anche negli scontri tariffari fra UE e Stati Uniti, essa potrebbe applicare ritorsioni che – colpendo in maniera differenziata le economie dei diversi Stati che la compongono – rendano meno coesa la posizione dell’UE stessa.
Qualche dato per comprendere gli scenari in atto
Qualche numero può permettere una maggiore comprensione degli scenari in atto.
Innanzitutto – Tab. 1 – un quadro delle principali imprese cinesi operanti nella produzione di veicoli elettrici: un quadro costruito da Google from sources across the web, senza particolari pretese di scientificità, che riporto solo perché evidenzia la quantità di imprese operanti – prevalentemente o anche solo marginalmente (come nel caso di Xiaomi) – nel comparto.
La Tab. 2 mostra come a fronte dell’elevato numero di imprese sia altrettanto elevato in Cina il numero di modelli di auto elettriche disponibili sul mercato: un numero molto cresciuto nel tempo, superiore a quello in Europa (UE più UK) e molto superiore a quello negli Stati Uniti: Paese in cui è nata e ha i suoi headquarters però Tesla, numero uno al mondo del comparto, presente con attività produttive anche in Cina e in Germania.
La Tab. 3 a,b fornisce un quadro delle principali imprese mondiali – in ordine di capitalizzazione (market cap) – operanti nel comparto “auto”, a prescindere dal loro impegno nell’ambito elettrico.
E, segnalandola in modo diverso, ho incluso nella lista anche l’impresa leader mondiale nelle batterie (CATL).
La tabella fornisce per ciascuna impresa i dati relativi ai ricavi e all’utile netto prima delle tasse (o all’ebit se segnalato con *) e anche una indicazione delle variazioni di valore nell’ultimo biennio, ma solo se la caduta o la crescita ha superato il 20%. Le imprese europee sono indicate in nero, le statunitensi in verde, le cinesi in rosso e le altre est-asiatiche in viola. Le capitalizzazioni, di fonte CompaniesMarketCap.com, sono quelle del 22 settembre 2023; i dati relativi a ricavi e utili sono quelli TTM relativi agli ultimi 4 trimestri.
Può essere interessante notare, guardando alle variazioni fra il settembre 2021 e oggi, come l’euforia – in occasione delle quotazioni di imprese quali le statunitensi Rivian e Lucid o le cinesi Nio e Xpeng – si sia tramutata (almeno per il momento) in una forte delusione per i modesti risultati conseguiti.
La Tab. 4, infine, riclassifica le imprese della Tab. 3 sulla base dei ricavi.
Può stupire che le imprese cinesi maggiormente coinvolte nella produzione di tali veicoli, viste come un pericolo dall’Europa, presentino con poche eccezioni livelli di ricavi bassi. Ma questo è almeno in parte un riflesso della scelta di servire il mercato interno, con modelli di fascia bassa venduti a prezzi anche straordinariamente bassi. Ed è una situazione che potrebbe modificarsi con la messa a punto – cui si è fatto cenno precedentemente – di modelli viceversa concepiti per le aree più evolute, sfruttando l’esperienza accumulata negli ultimi anni.