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Big del web, limitarne lo strapotere: quattro alternative allo studio

L’eccessivo potere in mano ai colossi del web (Google, Apple, Facebook, Amazon) impone una riflessione sulle possibili soluzioni per arginarne il predominio: esaminiamo quattro azioni che presentano opportunità ma anche rischi

Pubblicato il 20 Set 2019

Paolino Madotto

manager esperto di innovazione, blogger e autore del podcast Radio Innovazione

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Il tema dello strapotere dei big del web – le cosiddette GAFA (Google, Amazon, Facebook, Apple) – e del loro impatto sociale ed economico è in discussione tra esperti, opinion leader, media.

Si imputa a queste aziende di aver assunto un potere troppo forte e che in questo modo non solo esse possano continuare ad avere una posizione dominante sul mercato ma che gli impatti ormai siano troppo elevati anche in termini sociali e politici.

Tre forme di potere eccessivo dei big del web

  • Dal punto di vista sociale viene rilevato come l’utilizzo a volte spregiudicato dei dati degli utenti consenta loro da una parte di aumentare le fonti di profitto ma soprattutto di controllo, profilazione e segmentazione dei cittadini con ricadute pericolose anche in ambiti che non hanno nulla a che fare con il business come è emerso ad esempio nel caso dello scandalo di Cambridge Analytica. La raccolta ed uso dei dati degli utenti è così pervasiva che ormai essi vengono ascoltati mentre parlano, registrati dai loro cellulari (ma ancor più dai nuovi speaker intelligenti) e le informazioni utilizzate per profilare e proporre prodotti pubblicitari.
  • Dal punto di vista politico e per la tenuta del sistema democratico sta diventando sempre più problematico il potere di influenzare l’opinione pubblica attraverso algoritmi e “tecnicismi” che contengono in realtà indirizzi di opinione pubblica o amplificano opinioni che altrimenti non troverebbero una platea a cui rivolgersi. Questo, unito con una imponente azione economica di lobbying sul sistema politico non solo USA e alla scoperta di utilizzo da parte di paesi esteri di tecniche per manipolare l’opinione, sta risvegliando in una parte del sistema politico la necessità di mettere in atto policy di contrasto dello strapotere delle GAFA.
  • Dal punto di vista economico viene rilevato che il potere delle GAFA è ancor più importante: queste aziende operano infatti a livello mondiale e sono in grado di eludere sistemi fiscali nonché di combattere potenziali concorrenti attraverso acquisizioni o barriere commerciali e tecnologiche. Non solo questo non è salutare al mercato ma anziché determinarne il continuo rinnovamento attraverso una sana concorrenza ne determina un progressivo svilimento verso posizioni bloccate, scarsa innovazione, extra profitti. Un danno per tutti.

In aggiunta le GAFA entrano sempre più spesso in nuovi settori, sono capaci di investimenti ingenti per affrontare i costi di ingresso e sono capaci di sconvolgere i settori utilizzando le tecnologie digitali. Caso eclatante è quello di Libra che ha messo in allarme le principali banche centrali, il G7 e istituti internazionali ma, malgrado questo, ha visto Facebook proseguire nella sua tabella di marcia con il deposito dello statuto della fondazione in svizzera poche settimane fa.

Authority vs i big del web, tutto inutile se non rimettiamo l’utente al centro della rete

Quattro azioni per limitare il potere dei big del web

Alla luce di questi rischi ha preso piede a livello internazionale un vivo dibattito su come limitare il potere dei big del web, attraverso quali strumenti legislativi è possibile governare il fenomeno senza arrecare danno o compromettere ciò che c’è di buono. Un dibattito che vede in prima fila il mondo anglosassone e gli USA e a cui partecipa il mondo accademico ed esperti. Le possibili soluzioni sono riassumibili in quattro azioni che presentano rischi e opportunità.

Separazione

La prima ipotesi che si fa avanti è quella di applicare la legislazione antitrust USA (lo Sherman Act) e procedere con la separazione in diverse aziende ognuna con una parte del business. Questa idea è stata messa in atto l’ultima volta con l’AT&T, si era ipotizzato di utilizzarla nel caso di Microsoft (separando le soluzioni Office dai sistemi operativi) prima dell’era Bush ma il cambio di amministrazione ha optato per una via diversa.

Il principio guida di questa soluzione è che se hai una posizione dominante in un mercato o piattaforma non puoi utilizzarla per vendere anche beni, servizi, software e quant’altro perché questo penalizza i concorrenti. E così Amazon non può vendere nel suo mercato centinaia di prodotti a marchio Amazon e Google non può vendere prodotti avendo il controllo del principale motore di ricerca che viene utilizzato proprio a cercare informazioni comparative o di altro tipo sui prodotti. Stessa cosa vale per Apple.

Operare come dominus su una piattaforma e come soggetto che la utilizza per i suoi prodotti determina inevitabilmente che altri soggetti abbiano difficoltà a competere, possedere informazioni qualificate sulle abitudini di acquisto dei potenziali acquirenti consente di manovrare il mercato a proprio uso e consumo penalizzando la concorrenza e penalizzando anche i consumatori.

La senatrice Elizabeth Warren, Democratica e in corsa per vincere le Primarie del Partito Democratico nella competizione per la presidenza degli USA, ne ha fatto una bandiera ed esiste un vasto movimento di opinione di esperti che sostengono questa posizione.

I contrari alla separazione affermano che impedendo a queste aziende di entrare in nuovi mercati o di utilizzare le potenzialità di quelli presenti, genera allo stesso modo una penalizzazione per i consumatori. Citano a tal proposito il caso del colosso telecom AT&T che dopo la separazione si è aperto il mercato ma ha anche subito un drastico ridimensionamento in termini di dimensioni e capacità di investimento.

Split Selettivo

Lo split selettivo intende agire attraverso una azione volta a separare alcune aziende dalla “galassia”. Un caso di esempio e Instagram o WhatsApp che sono state acquisite da Facebook.

Le motivazioni nascono dall’evidenza che dal 2010 Facebook (e non solo) ha dato vita ad una vasta campagna di acquisizioni di aziende emergenti sul suo settore di interesse con l’obiettivo di bloccare sul nascere l’emersione di aziende che potessero diventare concorrenziali a Facebook stessa.

Gli esperti che propongono questa soluzione affermano che le acquisizioni di solito avvengono verso aziende che possono procurare fette di mercato in modo consistente e allargare il potenziale di business, così non è stato con Instagram che nel 2012 aveva appena 13 dipendenti ed è stata acquisita per mettere in sicurezza il predominio sui social network.

Uno dei maggiori problemi sollevati contro questa ipotesi è il rischio che una volta separate le aziende gli utenti rimangano con il player maggiore mettendo a rischio la stessa vita delle società che, separate che a quel punto, non avrebbero la forza di emergere.

Specifiche entità di garanzia

In questa ipotesi si ritiene necessario istituire una autorità specifica sul mercato del digitale. Questa autorità dovrebbe controllare in modo specifico ciò che fanno le GAFA e ovviare al problema che spesso le autorità esistenti o il sistema giudiziario è restio ad applicare con forza la separazione nell’immediatezza della costruzione di posizioni dominanti. Questo determina una lentezza che consente di costruire barriere elevate che in seguito sono difficili da smontare.

Molti esperti di regolazione affermano che sia necessario dotarsi di un organismo specifico che abbia poteri ed autorevolezza nel procedere verso sanzioni efficaci e tempestive, contemplando anche la separazione. A questo scopo molti esperti di regolazione ritengono si debba costituire una “authority digitale” che affianchi le authority tradizionali per la concorrenza con esperti di settore. Tale authority dovrebbe essere composta da esperti di settore ed avere la capacità di muoversi molto più velocemente rispetto alle authority tradizionali con l’obiettivo di proteggere la concorrenza dei mercati digitali.

L’idea di questa autorità è nata all’università di Chicago: l’idea guida è che nei mercati digitali conta molto l’effetto rete che le aziende riescono a costruire nel loro settore. Se si agisce presto, questo effetto può essere governato impedendo la creazione di soggetti predominanti e lasciando libero il mercato di competere. Le autorità tradizionali hanno di solito bisogno di molto tempo prima di intervenire e in questo tipo di mercati c’è il rischio che questo tempo sia sufficiente per far sparire i concorrenti. L’idea dei proponenti è che di fronte ad una richiesta da parte di una azienda tempo due settimane si ascoltano le parti e si è in grado di assumere delle decisioni.

Anche qui non mancano gli scettici a questo approccio, si solleva il dubbio che di autorità ne esistono già abbastanza, tuttavia i proponenti rispondono che il mercato digitale è ormai un settore che merita di essere considerato a sé stante come succede per il mercato dell’aviazione civile, dei farmaci, etc.

A mio avviso un altro rischio rilevante è che essendo le autorità di nomina politica (anche se non diretta e con i necessari passaggi istituzionali) c’è il rischio che l’influenza lobbistica delle grandi Big Tech sia in grado di pesare sulle nomine e sui giudizi che questa autorità possa emanare. Vi potrebbe essere perfino il rischio che grandi aziende siano tirate in ballo da concorrenti che puntano ad ottenere beneficio economico dal ritirare le denunce.

Unlock dei dati

L’ultima ipotesi in campo affronta il tema in una ottica innovativa. Essa individua nei dati il fattore principale di dominio del mercato nella società digitale, attraverso il dominio dei dati dei clienti le Big Tech sono in grado di imporsi sul mercato. Secondo chi propone questa via è necessario imporre alle big tech di condividere i dati con le società che ne fanno richiesta.

Spesso le big tech sono “macchine” in grado di monetizzare i dati dei propri clienti attraverso la raccolta, categorizzazione e analisi. Questo determina un forte effetto network che consolida e rafforza il dominio sul mercato da queste presidiato. I dati alimentano gli algoritmi e questi il predominio del mercato.

L’idea che prende piede è quella di obbligare le big tech a condividere i propri dati con altre società dietro un pagamento di una fee. In questo modo i concorrenti potrebbero accedere alle stesse informazioni e dunque competere in condizioni di parità. Tuttavia anche questo presenta dei rischi perché non è semplice fissare un prezzo per l’accesso a questi dati e sarebbe dunque necessario che esistesse una autorità in grado di determinare un “giusto prezzo” rendendo il tutto più complicato. Vi sarebbero poi altre difficoltà nell’individuare quali dati rendere disponibili e quali no, come determinare se nuovi dataset è necessario renderli pubblici o meno o anche solo se esistono dataset interni di cui non ne viene pubblicizzata l’esistenza.

Sui dati esiste anche la difficoltà a renderli perfettamente anonimi con possibili enormi rischi sul lato della privacy e dall’uso improprio da parte di terzi (come insegna il caso di Cambridge Analytica).

Una ulteriore ipotesi sui dati è quella che vorrebbe che una autorità con adeguate competenze tecniche fosse in grado di produrre standard per la produzione e pubblicizzazione dei dati e che questi ultimi fossero portabili da parte degli utenti. I clienti potrebbero in questo modo decidere se e dove portare i propri dati (e dunque trasferire valore da azienda ad azienda) ma non si comprende con quale ritorno.

Eliminare il potere del controllo dei dati dovrebbe stimolare le aziende a competere su migliori servizi e sul prezzo ed eliminare il possibile lock-in di quelle che hanno una posizione dominante.

Anche questa strada si presenta irta di difficoltà, necessita di un considerevole impianto regolatorio e le tecnologie nel campo dei dati sono in continua evoluzione, appare difficile stargli dietro con una autorità.

Possibili scenari e resistenze

Queste quattro ipotesi riassumono quello che potrebbero essere gli scenari del prossimo futuro per governare il predominio di GAFA sul mercato digitale, non si è ancora in una stadio di maturazione tale da determinare una scelta e quando sono stati tentati approcci che limitassero le big tech, come la Web Tax, si è assistito a resistenze più o meno velate da parte di molti soggetti.

Certo è che la situazione ha raggiunto un limite di guardia, ogni giorno ormai si presenta un caso di violazione della privacy, di acquisizione di possibili tecnologie o aziende concorrenti, ecc. Si tratta da una parte di comprendere il fenomeno e dall’altra di agire con una certa velocità. Il caso Libra ha messo il mondo politico internazionale di fronte ad un altro passo avanti, con una azienda che ha in programma di coniare moneta e imporla come mezzo di scambio esterno al sistema monetario internazionale, fino a quando le nostre società possono tollerare questo tipo di comportamenti senza averne un dato irreparabile? Sembra che i tempi siano ormai maturi per misure di contrasto, non sarà a breve ma la strada sembra tracciata.

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