Ci sono tratti comuni che possono essere evidenziati nelle trimestrali presentate in questi giorni dalle “big five” – Meta-Facebook, Microsoft, Alphabet-Google, Amazon e Apple (nell’ordine con cui hanno presentato i risultati) – al di là delle profonde differenze fra esse esistenti?
Tre punti comuni alle trimestrali tech
Sì, ci sono, e sono almeno tre:
- hanno presentato tutte risultati superiori alle aspettative, in termini di profitti soprattutto, ma in molti casi anche di ricavi;
- non sembra esserci quasi traccia nei risultati presentati, né nei ricavi né nei risparmi sui costi, dell’impatto dell’intelligenza artificiale generativa, nonostante il grande clamore degli ultimi nove mesi e i consistenti investimenti fatti da diverse di esse (“The hype is here, the revenue is not,” è il sintetico commento di un analista di Jefferies riportato nell’articolo di Waters e McGee sul Financial Times su cui tornerò nel seguito);
- il vero cambio di passo rispetto al passato appare essere la grande attenzione posta da tutte sul controllo dei costi e sullo snellimento delle strutture decisionali, con una riorganizzazione che ha comportato allo stesso tempo una contrazione del numero di addetti – attraverso corposi licenziamenti (27mila nel caso di Amazon) e rallentamenti nelle nuove assunzioni – e una riduzione dei livelli intermedi di management, moltiplicatisi nella fase di crescita con un impatto negativo sull’agilità operativa.
La trimestrale di Apple: meno iPhone, più servizi
Passando a uno sguardo sui risultati presentati, parto da Apple, prima società al mondo per capitalizzazione con un market value di 3 miliardi di dollari circa. Apple è stata l’unica fra le cinque a presentare rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno un calo dei ricavi – 81,8 miliardi di dollari, meno 1 per cento – ma questo non le ha impedito di aumentare gli utili del 2,3 per cento a 19,9 miliardi di dollari.
Il calo nei ricavi è attribuibile in larga misura alle minori vendite dell’iPhone (meno 2,4 per cento), che ora pesa per il 48 per cento del totale dei ricavi stessi.
L’aumento dei profitti è invece dovuto alla straordinaria crescita del settore dei servizi (App Store, iCloud, Apple Music ..), che ha superato la soglia del miliardo di utilizzatori con ricavi pari a 21,2 miliardi di dollari e che presenta un margine di profitto di oltre il 70 per cento, largamente superiore a quello dei prodotti (iPhone, iPad, Mac ..).
Apple è, fra le cinque, la meno interessata al momento alla vendita di servizi basati sull’IA generativa, anche se il suo interesse per l’IA da incorporare nei suoi prodotti e servizi per migliorarne le prestazioni è di lunga data (Siri fu incorporato nell’iPhone 4S nel 2011).
La sorpresa Amazon
Amazon è stata fra le cinque quella che ha più sorpreso, come dimostra anche la crescita dell’oltre il 6 per cento nell’after-market dopo la comunicazione dei risultati. La crescita del 12 per cento circa dei ricavi rispetto allo scorso anno e il conseguimento dell’utile dopo diversi trimestri di difficoltà sono il frutto della crescita del comparto dell’ecommerce, il più rilevante per quanto concerne i suoi ricavi, e il minor rallentamento della crescita rispetto alle attese del comparto del cloud computing (ove Amazon è leader mondiale con AWS davanti a Microsoft e Google), il più rilevante per quanto concerne i suoi utili.
Relativamente ai servizi di IA generativa, Amazon – che ha sempre guardato con attenzione all’IA per incorporarla nei suoi prodotti (è del 2014 l’inserimento di Alexa nell’Echo smart speaker) – non ha al momento propri modelli da contrapporre a ChatGPT piuttosto che a Bard, ma ne rende disponibili alcuni (messi a punto da altre imprese) su AWS.
Meta-Facebook, Microsoft e Alphabet-Google: il “peso” dell’IA generativa
A differenza di Apple e di Amazon, Meta-Facebook, Microsoft e Alphabet-Google sono pesantemente coinvolte nell’IA generativa, in termini di investimenti e di servizi offerti al mercato, ma (come sopra detto) c’è poca traccia di questo impegno nei ricavi trimestrali e soprattutto c’è stata molta incertezza nelle loro risposte agli analisti – a parte qualche dichiarazione più confidente da parte di Microsoft (che ha perso peraltro il 7 per cento nella settimana successiva alla presentazione) – sulle prospettive future. È un fatto questo un po’ inquietante per gli investitori, per la consistenza degli investimenti già effettuati e per il loro aumento annunciato per il futuro. Sono 88 i miliardi di dollari investiti da Meta-Facebook dal 2019 a oggi, più dei circa 50 messi in gioco per il metaverso; Ammontano a quasi 30 miliardi all’anno, e sono in aumento, gli investimenti sia di Microsoft sia di Alphabet-Google.
I dati presentati dalle tre sono stati peraltro buoni.
- Meta-Facebook ha portato a quasi 4 miliardi – metà della popolazione mondiale – il numero di utenti unici presenti almeno una volta al mese su una delle sue app;
- Alphabet-Google è tornata a crescere nell’advertising, è riuscita almeno per il momento a bloccare l’attacco di Bing (rafforzato con l’IA generativa) al suo search e per la prima volta il suo cloud (terzo alle spalle dell’AWS di Amazon dell’Azure di Microsoft) non è risultato in rosso;
- Microsoft ha avuto una crescita superiore alle attese degli analisti del suo cloud Azure, anche se con un rallentamento del tasso di crescita (comune peraltro a tutto il comparto per la maggior sensibilità ai costi delle imprese clienti).
Ma il merito è stato tutto della spinta alla disciplina dei costi e all’efficienza in generale, come evidenziato anche con ampiezza nel sopracitato articolo di Waters e McGee su FT “AI frenzy tests Big Tech’s newfound cost discipline – Investment in the burgeoning technology is increasing, but there is uncertainty as to when it will start to pay off”. Lo stimolo per Meta a lanciare quello che Zuckerberg ha denominato l’”anno dell’efficienza” è presumibilmente nato del crollo in Borsa (- 75% circa) causato dalla nuova politica per la privacy di Apple e dalla scelta strategica di Zuckerberg stesso di puntare sul metaverso. Ma anche i fondi hanno giocato la loro parte, “suggerendo” ad esempio ad Alphabet-Google di intraprendere una strada simile, ritenendo eccessivi gli sprechi sia nel numero di addetti sia nei livelli comparati di remunerazione.
Che cosa aspettarci per il futuro
Solo qualche breve, e poco organica, considerazione.
La prima è che i risultati superiori alle attese delle “big five” piacciono al mercato, che se non altro vede una giustificazione dell’aumento del 50 per cento circa delle quotazioni delle stesse degli ultimi mesi: anche se il merito, almeno al momento, non può essere attribuito all’IA generativa, ma alla “vecchia e tradizionale” ricerca dell’efficienza.
La seconda è che le imprese che stanno investendo pesantemente sull’IA generativa devono al più presto trovare servizi e business model che la rendano – almeno in prospettiva – profittevole, se non vogliono essere pesantemente penalizzate. Le giustificazioni date finora, durante le presentazioni delle trimestrali, fanno quasi tutte riferimento a servizi basati sull’IA sviluppata in precedenza, non sulla “generativa”. È comprensibile che per una tecnologia ancora in piena evoluzione gli utilizzi non siano facili da definire con precisione, ma è altrettanto noto che il mercato finanziario reagisce male alle “delusioni”, soprattutto se le speranze erano enormi.
La terza riguarda la maturità di molti dei business in cui le “big five” operano, maturità che spiega la voglia di fare qualcosa di nuovo. Se da un lato si possono capire le accuse loro mosse di voler entrare in tutte le aree innovative, dall’altro va ricordato che “chi non innova si avvia a una morte più o meno lenta”, come la storia ci insegna: non solo per la possibile perdita di “unicità” dei suoi prodotti e/o servizi (come potrebbe accadere per l’iPhone di Apple o per l’advertising di Google o Meta), ma anche – e forse soprattutto – per la minor capacità di attrarre le risorse umane più brillanti e creative.
Tre possibili vie incerte per la futura crescita big tech
Quando ExxonMobil e Ge erano i big negli anni ’90 e 2000, i loro ricavi aumentavano a un tasso medio annuo del 5-6% e i loro profitti netti del 5-10% circa. I giganti della tecnologia sono cresciuti rispettivamente del 16% e del 13% per un decennio o più.
Mantenere queste medie nel lungo periodo sembra impossibile. In effetti, negli ultimi tempi la crescita è già stata meno brillante.
Che alternativa c’è?
Ce ne sarebbero tre, ma tutte incerte.
- La prima è perseguire i profitti riducendo i costi: ridimensionare i progetti e scorporare le unità non essenziali. Apple è l’unico dei cinque giganti a non aver annunciato licenziamenti quest’anno; gli altri hanno licenziato complessivamente più di 70.000 lavoratori. Tuttavia, il produttore di iPhone ha posticipato il lancio di alcuni nuovi dispositivi. Alphabet ha eliminato alcuni progetti di ricerca finanziati dalla ricerca di Google. Amazon ha abbandonato alcuni negozi fisici.
- Una seconda strada per la crescita è che le aziende puntino tutto sulle loro attività principali. All’inizio dell’anno, Bing, il motore di ricerca ai di Microsoft, potenzialmente in grado di sconfiggere Google, ha attirato l’attenzione. In realtà, Bing rimane un’entità secondaria nella ricerca (la vecchia battuta è che il suo termine più ricercato è “Google”). Ma gli stessi poteri di Chatgpt si stanno facendo strada, con meno clamore, nell’offerta aziendale di Microsoft. Il mese scorso ha dichiarato che avrebbe reso disponibili gli strumenti di generative-ai agli utenti di Office 365 pagando un extra di 30 dollari al mese. Google e Meta, da parte loro, stanno investendo in servizi di ai per i loro clienti pubblicitari.
- Terzo, la strategia di crescita più ambiziosa è la ricerca di nuovi mercati. Tutte e cinque le aziende stanno invadendo il territorio dell’altra. La loro quota di vendite in aree che si sovrappongono è raddoppiata dal 2015, raggiungendo il 40%. Alphabet si sta facendo largo tra Amazon e Microsoft nel cloud computing. Amazon e Microsoft si stanno cimentando nella pubblicità. A giugno Apple ha presentato un visore per la realtà virtuale per competere con Meta, che finora ha avuto questo mercato per lo più per sé. Tutte e cinque le aziende stanno anche valutando gli ultimi mercati non già disrupted – tra cui finanza, sanità e appalti pubblici – che sono sufficientemente grandi per fare una differenza significativa nei loro enormi ricavi. Oppure, come Microsoft, possono cercare di acquistare la crescita – l’acquisto di Activision per 69 miliardi di dollari porterebbe un fatturato annuo di circa 8 miliardi di dollari.
Di contro: tagliare i costi aumenta i profitti solo per un anno o due e va a scapito dei ricavi futuri. I mercati principali delle grandi aziende tecnologiche difficilmente potranno essere spremuti ancora, pure con innovazioni. La concorrenza porta nuove entrate, ma comprime i margini. I mercati non già disrupted sono altamente regolamentati e controllati dagli operatori storici ed entrarci può essere costosissimo per le big tech.
Certo è che il periodo delle vacche grasse, dove le big hanno potuto inventarsi mercati come la pubblicità online ad alti margini (50%) e con bassi investimenti, è finito.
Redazione