Numeri e occupazione

Big Tech, come cambia il lavoro: sindacati e non-concorrenza, ecco lo scenario

Dai dati della seconda trimestrale 2022 emerge un calo nel piano di assunzione di Meta, situazione che porta a riflettere sull’andamento delle big tech sia sul piano finanziario che, in particolare, su quello relativo al lavoro e ai dipendenti: cerchiamo di fare chiarezza sul contesto

Pubblicato il 11 Ago 2022

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

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Dopo la seconda trimestrale del 2022 i piani di assunzione di Meta sono passati da 10.000 a 6-7.000 nuovi assunti con affermazioni rivolte ai dipendenti che tradiscono qualche nervosismo[1]Meta è tra le aziende che registrano uno degli andamenti più deludenti nella borsa, dove l’impatto negativo degli aumenti dei tassi della FED di marzo e maggio di quest’anno hanno aggravato il già disastroso crollo di inizio febbraio (quasi un quarto del valore in una seduta). Zuckerberg fatica a rassicurare gli azionisti, stretti tra andamenti a breve negativi dei profitti e impegni colossali di investimento a lungo termine per far decollare il metaverso, su cui altri lavorano, sia pure in modo localizzato e meno totalizzante rispetto a Meta, come accade per Epic e il suo videogame Fortnite.

Del resto, nel mondo high tech è cominciato uno “stop and go” che riguarda la domanda di lavoro tra aziende di diverse aree e di settori contigui. Vediamo la situazione.

Big tech, fine della corsa? Come crisi e nuove regole pesano sul futuro

Il contesto mondiale

Vi sono aziende tech che assumono, facendo concorrenza alle altre e vi sono quelle che licenziano o comunque rallentano le assunzioni annunciate, e non sono aziende piccole[2]. Nei primi due decenni di questo secolo ci siamo assuefatti ad assistere ad una crescita a due cifre dei ricavi e dei margini delle aziende Big Tech, culminata con l’esplosione delle quotazioni durante la pandemia, quando sembrava che ogni risposta potesse venire dalle innovazioni di quel settore e dai servizi on line in particolare. Tutto, dall’intrattenimento, alla didattica, al lavoro, al commercio, alla pizza, al tracciamento dei casi di infezione, alla teleassistenza, sembrava destinato ad essere assicurato dai servizi di rete. Solo in parte queste promesse possono, essere mantenute, la vita sociale comporta durezze (hardness) che nessun software di rete può superare.

L’obbrobrio della guerra mossa dalla Russia all’Ucraina ha riportato la Terra in primo piano. Siamo discesi dai sogni della rete onnipotente a quelli più terreni della sopravvivenza del sistema democratico e pacifico in cui viviamo da molti decenni, ed ora incontriamo gli sgradevoli problemi di come far fronte all’inflazione, e dobbiamo domandarci se siamo disposti a sostenere gli oneri e i rischi della solidarietà internazionale che pure è necessaria.

La rete può fare la sua onesta parte, senza che nessuna si illuda di poter risolvere con meravigliose promesse, per cominciare ad affrontare l’impatto del cambiamento climatico, della siccità, degli incendi, delle alluvioni. Molte sono cambiali in scadenza: le magie della rete non affrontano questi temi, come abbiamo creduto nel delirio di onnipotenza che circondava le nuove tecnologie. Nella frustrazione delle aspettative degli investitori, che giustifica la caduta delle quotazione delle aziende Big Tech, solo una componente deriva dalla caduta dei profitti: buona parte dell’effetto deriva dalla disillusione del pubblico e degli investitori rispetto alla capacità di dare risposte efficaci.

I fronti critici dei servizi di rete

I nodi che vengono al pettine non comportano un venir meno dell’importanza dei servizi di rete, anzi. Ma quei nodi sono duri e crudi: essi ripropongono temi che nell’entusiasmo dei trionfi di Big Tech, avevamo rimosso, illudendoci che fossero “risolvibili” on line. I trionfi della rete ci sono e altri ce ne saranno ancora, non mancano le innovazioni anche se appesantite dall’ossessione di fare quattrini con la pubblicità da parte di aziende non abituate a confrontarsi con perdite del loro valore di borsa. Non mancano, infatti, i nuovi orizzonti dell’intelligenza artificiale, dell’automazione, dell’intrattenimento. Ma la durezza del vivere è tornata ad affacciarsi, priva del giubbetto di salvataggio della rete, che aveva accompagnato il biennio della pandemia, quando pensavamo di superare con il suo aiuto le difficoltà di un regime di vita neo-conventuale.

I luoghi di lavoro di Big Tech, gli uffici, sono stati chiamati anche “campus” a sottolineare che non è più di lavoro che si tratta ma di studio, quasi che il salario fosse una borsa di studio elargita da Apple o Alphabet o Facebook, per consentire ai giovani del mondo di crescere, imparare, avere il privilegio di appartenere ad una istituzione, più che ad una azienda…

Ci ha pensato Zuckerberg, l’imprenditore che parla spesso più duramente di altri, a chiarire che i tempi stanno cambiando. Non solo perché ha cambiato il nome alla sua azienda, ma anche perché affronta da mesi la nuova realtà in cui la sua azienda si trova: una realtà di margini decrescenti e di fatturato bloccato.

Big Tech, il rischio di un “effetto zucca”

Ad un certo punto, infatti, per tutti scocca la mezzanotte e la carrozza torna zucca: non necessariamente in modo così brusco come è accaduto ai sottoscrittori di azioni Facebook-Meta. Il trionfo tecnologico si è vestito anche di sfarzose sedi e ha preso casa in prestigiose magioni per i dipendenti, alimentando una bolla dei prezzi degli immobili che nella Silicon Valley tuttora perdura.

Ma nel 2022 i dati parziali indicano un crollo delle vendite nella contea di San Mateo, con un impatto negativo sui prezzi, che segna una incipiente inversione del trend, legata alle difficoltà della domanda che deve affrontare costi più elevati a causa dell’aumento dei tassi e quindi del costo dei mutui e a causa delle minori assunzioni e più contenute dinamiche dei salari. “L’inflazione, i problemi alla supply-chain, la guerra in Ucraina e le prospettive di recessione possono fermare quello che una leggenda del venture-capital come Bill Gurley aveva chiamato il set disneyano di esperienze/aspettative nelle società high tech”[3].

L’impatto di sindacati e non-concorrenza

Finito il set disneyano, la carrozza Big Tech sta cominciando a scintillare di meno, e due fatti nuovi potrebbero spostare l’ago della bilancia a favore dei lavoratori: la limitazione delle clausole di non-concorrenza che le aziende impongono all’assunzione e la promozione della sindacalizzazione dei dipendenti.

Entrambi i fronti sono stati aperti dall’amministrazione Biden: Amazon ha cominciato a fare i conti con l’aumento della sindacalizzazione dei suoi dipendenti, non solo negli Stati Uniti. Nel programma elettorale del presidente c’è una promessa a rimuovere le clausole vessatorie contrattuali che limitano le possibilità di cambiare lavoro da parte dei lavoratori: “I lavoratori debbono potere competere, ma ad un certo punto della carriera il 40% dei lavoratori americani è soggetta a clausole di non- concorrenza. Se i lavoratori avessero la libertà di muoversi in altro posto di lavoro potrebbero attendere aumenti compresi tra il 5% e il 10%, ovvero se hanno uno stipendio di 40.000 dollari l’anno, aumenti di 2.000-4.000 dollari”[4]. Il Dipartimento di Giustizia appare orientato a considerare gli accordi di non-concorrenza come fattispecie che possono interessare lo Sherman Act, ossia le fondamenta stesse dell’antitrust negli Stati Uniti.

Innovazione o protezione degli investimenti?

Vi sarà una opposizione ampia e determinata alla rimozione delle clausole di non concorrenza, essa verrà dalle aziende tecnologiche, ma anche dai giudici e dagli avvocati che attualmente possono giostrare tra competenze statali che risultano particolarmente complicate da dipanare, e quindi molto redditizie soprattutto per gli avvocati, in caso di mobilità interstatale dei lavoratori[5]. In questo caso, infatti, occorre che l’azienda abbia presenza operativa e commerciale nel nuovo Stato e che le clausole originarie non siano troppo a maglia larga, ma risultino limitate e ben specificate, cosa che spesso non accade.

Inoltre, in alcuni Stati già oggi è molto difficile se non impossibile far valere le clausole di non concorrenza. Tali clausole possono rendere complicata la ricollocazione di lavoratori che hanno sperimentato condizioni sfavorevoli (ambientali, umane) rallentandone la migrazione verso soluzioni più soddisfacenti per sé e per la famiglia.

Le aziende hanno comunque altri strumenti per evitare la sottrazione di segreti, come i non disclosure agreement e la norma che protegge i segreti industriali e commerciali.

Eppure non solo IBM e Microsoft, ma anche Amazon e Google tentano di far applicare con aggressività le clausole che includono in modo standard nei propri contratti di lavoro.

Forse la spiegazione non va ricercata solo nella attiva lobby degli avvocati che lavorano per le aziende, ma può trovarsi nel comportamento burocratico del management. In altre parole, inserire le clausole nei contratti di lavoro, sarebbe la scelta di un management teso a tutelarsi nei confronti dell’azienda in caso di contenzioso con dipendenti o competitori. In primo luogo, in un ambiente dove tutte le aziende high tech lo fanno, non si potrebbe accusare di trascuratezza il manager che abbia incluso nei contratti di lavoro quelle clausole. In secondo luogo, la loro sottoscrizione scagionerebbe da ogni responsabilità il manager responsabile delle assunzioni del personale, mettendolo in una botte di ferro nei confronti dell’azienda.

Il caso della California

Come si vede, le spiegazioni più accreditate ben poco hanno a che fare con l’efficacia delle clausole e molto con la distribuzione delle responsabilità in azienda. A conferma di questa interpretazione va ricordato che in California l’applicazione delle clausole di non-concorrenza è illegale: qui per i dipendenti è facile uscire dall’azienda, portare con sé i segreti imparati nel lavoro precedente e andare altrove o costituire una start-up: una condizione favorevole alla diffusione e allo sviluppo dell’innovazione. Una spiegazione non secondaria del perché la Silicon Valley sia considerata la Mecca dell’innovazione[6].

_______

Note

  1. ) “Penso che qualcuno di voi pensi che questo posto non fa per lui, e questa autoselezione mi sta bene…in realtà c’è probabilmente un insieme di persone nell’azienda che non dovrebbero stare qui” tratto da Jon Swartz, Mark Zuckerberg issues dire economic warning to Meta employees, MarketWatch, July 3, 2022
  2. ) Heather Somerville, Silicon Valley Lurches Between Deep Cuts and Bold Spending, The Wall Street Journal, July 31, 2022.
  3. ) Jon Swartz, cit.
  4. ) Democratic National Committee, The Biden Plan for Strengthening Worker Organizing, Collective Bargaining, and Unions, 2022, https://joebiden.com/empowerworkers/#
  5. ) Hendershot Coward P.C., Enforcing Non Compete Agreement Across State Lines, June 22, 2022.
  6. ) Hannah Ceriani, The Debate Over Non-Competes Among Tech Companies, Richmond Journal of Law ans Technology, February 22, 2022.

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