l’analisi di bertelè

Big Tech, perché la super spesa in AI ora spaventa Wall Street



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Le trimestrali delle Big Five tech rivelano utili record ma anche massicci investimenti in infrastrutture per l’IA. Microsoft, Meta e Alphabet pianificano spese miliardarie nei data center, mentre Amazon convince gli investitori nonostante i 75 miliardi di investimenti previsti. Apple resta cauta

Pubblicato il 4 nov 2024

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano



_mercati finanziari (1)

Si è consumato nella settimana scorsa l’ormai tradizionale rito della presentazione al mercato – nello stretto giro di pochi giorni – dei risultati trimestrali delle Big Five: Alphabet-Google per prima, poi Meta e Microsoft, infine Amazon ed Apple.

Un rito che, da quando quasi due anni fa fu lanciato ChatGPT, è sempre più centrato sull’Intelligenza Artificiale generativa: su quanto le imprese stiano facendo per sfruttarne il potenziale, se ci siano o meno segni che mostrino che gli investimenti in IA stanno avendo successo, se non siano eccessive le cifre messe in gioco per finanziare l’infrastruttura necessaria per la crescita dell’IA rispetto alle prospettive reali di redditività e/o ai tempi di payback.

Perché tanto interesse per le Big Five

L’interesse per le Big Five è legato, come noto, all’enorme peso che esse hanno sia in termine di valore loro attribuito dal mercato borsistico, ovvero di capitalizzazione (market cap), sia in termini di generazione di profitti: come mostrano le le Tabb. 1 e 2 esse si collocano nei primi sette posti per capitalizzazione e nei primi nove per utile netto.


Il lancio dell’IA generativa ha poi portato alla ribalta Nvidia (le cui GPU-Graphics Processing Unit si sono rivelate indispensabili, per la qualità superiore rispetto ai concorrenti, per l’istruzione dei modelli di IA), quasi decuplicandone la capitalizzazione e proiettandola ai vertici della classifica mondiale. Nvidia però presenterà la sua trimestrale solo più avanti, mentre Tesla – che con le Big Five e Nvidia per un certo periodo era considerata parte delle “magnifiche sette” – l’ha presentata con successo in anticipo.
Molto legata alle Big Five e a Nvidia è la taiwanese TSMC, considerata la numero uno al mondo nel manufacturing dei semiconduttori di qualità più elevata, che si è aggiunta anch’essa recentemente al club delle imprese tech – in tutto sette – con un valore pari o superiore a un trilione di dollari: una categoria con una sola presenza “nontech” stabile, quella della Saudi Aramco (operante come noto nell’”oil and gas” e leader mondiale per profitto), e una più episodica, della finanziaria Berkshire Hathaway del celeberrimo Warren Buffett.

Che cosa ci dicono le trimestrali di Alphabet-Google, Microsoft e Meta

Qualche numero può aiutare a capire lo stato di salute delle Big Five. Hanno destato un iniziale entusiasmo (con una crescita del 5% nell’”afterhours trading”), che si è poi smorzato, i risultati presentati il 29 ottobre da Alphabet-Google, fra cui:

  • ricavi totali del trimestre pari a 88,3 miliardi di dollari, con una crescita rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente superiore al +14% del trimestre precedente
  • ricavi da vendite di “digital ads” pari a 65,9 miliardi, +10,4% rispetto al terzo trimestre 2023, ma in rallentamento rispetto +11,1% del secondo semestre;
  • ricavi della divisione “cloud” (terza alle spalle di quelle di Amazon e Microsoft), che vende potenza di calcolo nei data center ed è stata beneficiaria del boom dell’IA generativa, + 35% rispetto a un anno prima, in espansione rispetto al +28,8% del secondo trimestre;
  • utile netto pari a 26,3 miliardi, +33,6%;
  • spese in conto capitale pari a 13,1 miliardi, +62% rispetto allo stesso trimestre del 2023.

Perché così tanto dettaglio? Perché il mercato, nell’ambito di risultati che per altre imprese di dimensioni anche meno rilevanti di quelle di Alphabet-Google sarebbero considerati eccezionali, è estremamente attento come detto ad alcuni di questi numeri, data l’aspettativa di crescita incorporata nel valore attribuito alla società stessa. Nell’ambito di una crescita complessiva in accelerazione dei ricavi e dell’utile netto complessivo, è stato visto molto bene il risultato della divisione cloud (peraltro condiviso da Amazon e Microsoft), molto meno bene la decelerazione nel digital advertising (business di gran lunga prevalente della società). Ed è visto con preoccupazione, come per le altre big, l’incremento delle spese in conto capitale (Fig.1), in larga parte destinato al potenziamento dei data center per l’IA generativa.

Minore l’entusiasmo del mercato (+1% nell’”afterhours trading”) il successivo 30 ottobre alla presentazione della trimestrale di Microsoft, nonostante la rilevanza dei numeri:

  • ricavi e utile netto superiori alle previsioni degli analisti, in crescita rispettivamente del 16 e dell’11% rispetto all’anno precedente;
  • in crescita – +33% – Azure, il cloud business della società (secondo al mondo alle spalle di AWS di Amazon) – trainato in misura significativa dall’AI generativa (su cui Microsoft ha fatto grosse scommesse, finanziando da un lato la crescita di OpenAI e potenziando dall’altro la propria unità interna):
  • un ritorno però almeno al momento modesto, numericamente non esplicitato, dai suoi prodotti software basati sull’IA (quali l’assistente IA Copilot);
  • una crescita del 50% delle spese in conto capitale (destinate soprattutto al potenziamento dei data center), pari a 14,9 miliardi;
  • una previsione di ridotta espansione dei ricavi di Azure nel semestre in corso, dovuta a una sorta di temporanea saturazione della potenza totale dei data center rispetto alla domanda.

Fredda l’accoglienza della Borsa nel “premarket trading” del 31 ottobre mattina – 3,5% – alla presentazione della trimestrale Meta e alle considerazioni di Zuckerberg sui progetti futuri:

  • 40,6 miliardi i ricavi del trimestre, il valore più alto nella storia di Meta, ma con una decelerazione della crescita (dal +22% al +19%) rispetto al trimestre precedente;
  • 15,69 miliardi l’utile netto, +35% rispetto all’anno precedente;
  • molto alte però, in una forchetta fra 38 e 40 miliardi, e destinate a crescere nel 2025 le spese in conto capitale previste relative nelle due aree che appassionano Zuckerberg: l’IA generativa (che Meta ha saputo sfruttare per mettere a disposizione uno strumento di supporto alla messa a punto dei “digital ads” attualmente utilizzato da oltre un milione di inserzionisti ma dove l’obiettivo sarebbe quello di creare l’assistente IA più diffuso al mondo) e la realtà virtuale/aumentata ove Meta ha già accumulato 50 miliardi di perdite e dove anche quest’anno – nonostante il successo di prodotti quali i “Ray-Ban Meta smart glasses” (che ha spinto sopra i 100 miliardi la capitalizzazione di EssilorLuxottica) – la perdita della relativa divisione sarà pari a 4,4 miliardi.

Il nervosismo dei mercati borsistici

Il 31 ottobre, prima dell’apertura delle Borse statunitensi, The Economist – esprimendo apprezzamento per le trimestrali di Alphabet e Microsoft – pubblicava un grafico (Fig. 2a) con l’andamento del Nasdaq Composite, come noto ricco al suo interno di imprese “tech”, commentando come l’indice avesse completamente recuperato la scivolata avvenuta in precedenza nell’anno e avesse raggiunto il suo massimo storico.

Per essere subito smentito da una pesante caduta dell’indice (Fig. 2b), presumibilmente dovuta per le big tech – come già in precedenti occasioni – ai timori sulla continua accelerazione delle spese in conto capitale indotte dall’IA generativa e per altre imprese tech di dimensione minore alle trimestrali spesso deludenti presentate.


Il ribasso nelle valutazioni ha colpito anche Nvidia – nonostante non avesse esibito nessun dato nuovo – e in generale il comparto dei semiconduttori. Quale la ratio? Focalizzandomi sul caso di Nvidia, essa sta fruendo di vantaggi di cui non sempre chi è collocato a monte di una filiera gode: oltre a disporre di prodotti non soggetti come detto a una reale concorrenza, soprattutto per gli impieghi più sofisticati, essa ha clienti – quali le Big Five – che godono di profitti molto elevati e di una liquidità molto elevata. La vera minaccia per Nvidia è che esse, sotto la spinta degli investitori e/o perché meno convinti delle potenzialtà di mercato dell’IA generativa, decidano di ridurre in misura più o meno drastica gli investimenti in data center.

Che cosa ci dicono le trimestrali di Amazon e Apple

Il 31 ottobre, dopo la chiusura delle Borse, Amazon e Apple hanno presentato le loro trimestrali. Inizio con Amazon, seguendo la traccia di un articolo di WSJ dello stesso giorno, “Amazon Shares Rise on Robust Demand, Surge in AI Infrastructure Spending – Capital expenditures reached quarterly record amid big build-out of AI infrastructure”. Tre numeri innanzitutto:

  • i ricavi del trimestre sono stati pari 158,87 miliardi di dollari (+11%), di cui 27,45 (+19%) della sua componente cloud AWS;
  • l’utile netto ha manifestato una notevole crescita, +55%, portandosi a 15,33 miliardi;
  • sono cresciute percentualmente ancora di più le spese in conto capitale, +80%, portandosi a 22,62 miliardi il CEO ha dichiarato che esse complessivamente ammonteranno a 75 miliardi di dollari.

Questo ultimo aspetto merita una specifica attenzione. I 75 miliardi sembrano – e sono – tantissimi, ma rappresentano approssimativamente in percentuale solo il 12% circa dei ricavi totali attesi per il 2024. Mentre i 53 miliardi di spese in conto capitale di Microsoft sono pari al 28% dei suoi ricavi e i 38-40 di Meta sono pari al 24%. Il discorso cambierebbe ovviamente se si rapportassero le spese agli utili o ai ricavi delle divisioni cloud delle diverse imprese.

Come si sono comportati i mercati borsistici con Amazon? Bene, hanno ulteriormente alzato la quotazione del titolo (già salita del 20% circa nell’anno), “perdonando” la rilevanza delle spese in conto capitale a fronte di una profittabilità al di là delle attese: profittabilità che non è la semplice somma di quella generata dall’ecommerce, dal cloud e del digital advertising (dove la quota di mercato cresce ai danni soprattutto di Google e di Meta), perché i tre business sono nati e almeno in parte continuano a esserlo come fortemente correlati fra loro.

Esce un po’ penalizzata, pur rimanendo l’impresa con una maggior capitalizzazione al mondo, Apple:

  • i ricavi trimestrali, con un “colpo di coda” finale legato all’immissione (in talune aree del mondo) della “Apple intelligence”, hanno raggiunto – a quota 94,5 miliardi – il loro massimo storico;
  • l’utile netto si è quasi dimezzato rispetto allo stesso trimestre del 2023, portandosi a 14,7 miliardi dopo l’esborso (tutto contabilizzato nel trimestre) di 14 miliardi all’Irlanda, dopo un lungo contenzioso con la UE
  • ci sono problemi per l’iPhone, che tuttora pesa per la metà circa delle vendite su scala globale, in un mercato importante come quello cinese: dove la concorrenza con Huawei si sente e dove è in crescita (come peraltro negli US) la paura che i cellulari vengano utilizzati come strumenti per captare informazioni sensibili
  • le spese in infrastrutture e attività di R&D volte a migliorare il posizionamento di Apple nell’erogazione di servizi di IA generativa vengono aumentate con grande prudenza, secondo una storica tradizione che risale ai tempi di Steve Jobs: mi ha sempre colpito il fatto che, nel momento in cui l’iPhone cercava di farsi strada rubando mercato a Nokia, che disponeva di una quota del 40% su scala mondiale, le spese in R&D di Nokia fossero un multiplo di quelle di Apple.

I risultati, in prospettiva

Se torno alla Tab, 1, e confronto i valori con quelli (che non ho riportato) di una settimana prima, quando le trimestrali non erano ancora apparse, scopro che le posizioni relative delle big non sono cambiate:

  • le tre con valutazioni superiori ai 3 trilioni – Apple, Nvidia e Microsoft – sono ancora lì, anche se un po’ ammaccate;
  • così le due – Alphabet-Google e Amazon – che da tempo oscillano attorno ai 2 trilioni: sono quelle in questa fase forse più ammirate, con la prima delle due però al momento sotto minaccia di decomposizione da parte dell’antitrust
  • la sesta – Meta – dopo un grande recupero si è stabilizzata poco sotto quota 1,5 trilioni: una quota che il suo capo sembra amare, perché ogni volta che ha la possibilità di superarla decide di spostare risorse verso le iniziative in cui crede (non necessariamente le più facili da realizzare),

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