l'analisi

Big tech, la crisi rimescola le carte: ecco come cambierà il mercato

Riduzione delle spese, taglio degli investimenti, ridefinizione del mix di prodotti: sono le conseguenze del crollo delle quotazioni delle big tech. L’esito di queste azioni porterà a ridefinire il perimetro di mercato, i livelli di competitività, la produttività e la profittabilità. Ecco con quale impatto

Pubblicato il 08 Nov 2022

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

big tech

Il crollo delle quotazioni delle maggiori aziende big tech, determinato dal deterioramento delle aspettative di profitto, ha portato tre conseguenze.

  • Gli azionisti si sono preoccupati e premono sul management per ridurre le spese, da quelle di investimento e ricerca a quelle del personale.
  • Il management, nel tentativo di recuperare margini, ha cominciato a tagliare gli investimenti a più bassa redditività o associati a rischi più elevati di fallimento.
  • Management e azionisti stanno ridefinendo il mix dei prodotti, selezionando quelli più sicuri e redditizi e avvicinandosi ai governi per beneficiare di eventuali aiuti di stato o incentivi.

Wave of layoffs sweeps over Silicon Valley

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Rallentamento e crollo delle quotazioni

L’esito di queste azioni è l’avvio di un processo di ristrutturazione che porterà a ridefinire il perimetro di mercato, i livelli di competitività, la produttività e profittabilità delle diverse aziende, mettendo in luce quei settori e quei prodotti che sono destinati a portare le aziende fuori dalla situazione critica attuale, ma in posizione diversa. È per questo motivo che gli investitori affrontano una enorme incertezza di valutazione delle prospettive di mercato delle aziende big tech, che li avevano abituati ad incrementi formidabili e continui nel tempo negli anni della pandemia e anche nei precedenti.

Nella figura 1 riportiamo la variazione di prezzo negli ultimi dodici mesi per alcune aziende tecnologiche.

Gli ultimi 12 mesi hanno visto un riposizionamento borsistico tale che oggi Apple ha un valore superiore a quello di Amazon, Google e Meta messe insieme: mentre Apple ha perso il 6% soltanto, Alphabet e Amazon hanno perduto oltre il 40% e Meta oltre il 70%.

Inoltre, le aziende che hanno nella loro offerta una quota importante di prodotti essenziali per le aziende, come i software operativi e i servizi cloud più competitivi (IBM, Microsoft, Oracle) patiscono meno dei colossi dell’e-commerce e dell’advertising che subiscono la contrazione immediata dei consumi delle famiglie.

La crisi della pubblicità

Le prospettive della pubblicità online, secondo alcune previsioni, sono critiche. Negli Stati Uniti gli investimenti pubblicitari sui social network sembrano inchiodati, secondo alcune previsioni ad un modesto +3,6%, qualcosa come dieci volte meno dell’incremento registrato nell’anno precedente[1].

Incidono negativamente sulla disponibilità ad investire sia le prospettive negative della domanda, che risentono delle attese sul contenimento dei livelli di attività e sull’aumento della disoccupazione, e che subiscono pressioni al rinvio delle decisioni di spesa determinate dall’inflazione elevata e dai tassi di interesse crescenti. Inoltre, il mercato sta cambiando: le inserzioni che erano cresciute di più, per i social network, erano quelle dei giochi online, ma sia Apple, sia Google hanno indicato una tendenza al rallentamento in questo settore, che “comprime le vendite di pubblicità”[2].

Big tech, declino inarrestabile? Perché i mercati vedono nero

In casa Meta, la resistenza di Zuckerberg a ridurre gli investimenti nel metaverso, cominciano a preoccupare gli investitori: se le nuove restrizioni sulla pubblicità di Facebook e Instagram da parte di Apple hanno un così rilevante impatto sui ricavi di Meta, come riconosciuto dallo stesso Zuckerberg, non si capisce allora perché la riorganizzazione degli strumenti per rendere la pubblicità di nuovo efficace e profittevole non siano la scelta primaria nella scala delle priorità, e resti invece al centro della strategia di Zuckerberg la costruzione del metaverso.

Altre previsioni sono meno pessimistiche, ma inducono a riflessioni interessanti su altre modificazioni del mercato in atto. Nel periodo 2018 (pre-pandemia) fino al 2022, secondo recenti valutazioni e previsioni che si spingono fino al 2023, il mercato della pubblicità sui social network americani è cresciuto da 83 a 240 miliardi: le aziende big tech hanno dominato questo mercato, crescendo anch’esse, ma non tanto da non lasciare spazio a nuovi entranti. Come si vede dalle figure 3 e 4, raffrontando le quote detenute dalle piattaforme internet (Google, Facebook, etc) nel 2018 e quelle previste per il 2023, dovremmo assistere a una crescita dello spazio occupato dalle nuove piattaforme, che occuperanno, secondo queste previsioni, uno spazio di mercato pari a 21 miliardi dollari (Altri in figura 4).

Non solo, ma anche vecchi protagonisti, che non avevano sviluppato primariamente una offerta pubblicitaria, come Apple, stanno ora crescendo per consolidare nuove posizioni di mercato, e per questo obiettivo sono disposte ad accendere battaglia con grandi clienti come Facebook, visti ora come competitor nel campo della pubblicità on line.

Ultima considerazione merita TikTok: di fronte a un tasso di crescita medio annuo tra 2018 e 2023 che dovrebbe essere del 24%, la app cinese registra uno strabiliante 104%, che giustifica ampiamente le preoccupazioni manifestate da Zuckerberg.

L’impatto occupazionale

Oggi sono al centro dell’attenzione le mosse drastiche e un po’ goffe di Elon Musk, che annuncia e immediatamente procede a licenziare metà dei dipendenti di Twitter, dopo averne assunto il controllo.

La situazione a Twitter

Vi sono resoconti grotteschi: “Alcuni si sono trovati esclusi non da una telefonata o da una e-mail, ma semplicemente dal fatto che il loro laptop d’ufficio era stato formattato da remoto”. Ma altri, cosa ancor più grave, sono stati cacciati dal management “che poi ha riconosciuto che il loro lavoro e la loro esperienza poteva essere necessaria per realizzare le nuove attività previste da Musk”[3]. Pregandoli di tornare al lavoro…

Come se Musk avesse a che fare con una azienda decotta, i tagli annunciati sono draconiani e preoccupano non solo i dipendenti, ma anche i clienti. Forse la spiegazione sta nelle pieghe degli ultimi bilanci di Twitter, sempre in perdita, dove appaiono cifre fragorose, come gli 810 milioni destinati nel bilancio del 2021 per chiudere una class action con gli azionisti o le numerose voci di incremento dei costi dei dipendenti rispetto all’anno precedente. Cifre che possono avere messo sul chi vive il nuovo azionista rispetto alla trasparenza della gestione precedente.

Più che azienda decotta, infatti, Twitter sembra una azienda con bilanci fortemente critici tali da sollevare molti dubbi sulla gestione precedente. Ma non sarà facile per Musk, tenere un approccio così draconiano da un lato e dall’altro riuscire a rassicurare gli utenti e i clienti, che infatti mantengono posizioni prudenti per quanto attiene alle nuove inserzioni pubblicitarie.

Le big tech verso il blocco delle assunzioni o peggio

Ma altrove le cose vanno in modo affatto diverso: negli ultimi dodici mesi Microsoft, Google e Meta hanno assunto 93 mila dipendenti in più, raggiungendo, nel terzo trimestre 2022 tutte e tre insieme, 495 mila dipendenti contro 402 mila del terzo trimestre 2021.

Eppure, tutte le big tech stanno annunciando una politica di vero blocco delle assunzioni, come Meta dopo questi tagli: “ci attendiamo di rallentare le assunzioni in modo drammatico e di tenere l’occupazione praticamente costante rispetto ai livelli attuali”[4].

Amazon e Google hanno chiesto a vari dipendenti di cambiare area all’interno dell’azienda o andarsene. Amazon sta per annunciare un piano di tagli nelle aree non profittevoli secondo il Wall street journal.

Tesla, Stripe e Netflix sono tra le aziende che hanno annunciato tagli quest’anno.

Alla ricerca di nuovi ricavi

Ecco perché tutte le big tech sono alla ricerca, oltre che di tagli, anche di nuovi ricavi. Musk li cerca in abbonamenti (Twitter Blue per avere non solo la spunta ma anche postare video e, in prospettiva, essere più letti sui social come ha annunciato) e ricavi da creator. Netflix nella pubblicità, tanto che si sta aprendo anche ai live sport.

I campioni del settore tecnologico sono stati in grado di reinventarsi: Apple, in auge negli anni ’80, nel 2000 era un’azienda di poco conto, ma l’avvento dell’iPod nel 2001 e poi dell’iPhone nel 2007 l’hanno trasformata nell’azienda di maggior valore al mondo. Anche gli investimenti di Microsoft nel cloud e nei giochi hanno ripristinato la sua grandezza. Ma la storia è piena di controesempi, come RCA, Xerox, Polaroid, Palm, Yahoo, Nokia e BlackBerry.

Conclusioni

Questi segnali, uniti a quanto accade nel mercato pubblicitario, ci consentono di trarre alcune considerazioni tutt’altro che conclusive.

Non si può certo dire che la pubblicità online, che è la fonte dei principali guadagni del settore dei social network, dia segni di assestamento: essa risulta ancora in forte tensione anche se, con ogni probabilità, assisteremo a innovazioni e tagli selettivi capaci di rimescolare le posizioni dei protagonisti, in presenza di tassi di crescita più contenuti di quelli registratati nel recente passato.

Ma, come dimostrano le scelte in campo industriale e occupazionale, assisteremo con ogni probabilità ad una drammatica alternanza di innovazioni e ristrutturazioni, che porterà ad una maggiore selettività del mercato e ad una maggiore oculatezza negli investimenti degli inserzionisti.

Sul piano delle quotazioni borsistiche queste tendenze si rifletteranno in una divaricazione ulteriore degli andamenti: non sarà più possibile individuare un trend comune all’intero settore, che risulterà da una media tra andamenti molto differenziati tra di loro.

L’esito di questa crisi non è scontato, insomma. Tra gli esperti, due scuole di pensiero: c’è chi pensa che ci saranno contraccolpi a catena per l’industria tech e chi invece pensa che le attuali riduzioni e crisi sono un naturale aggiustamento dopo gli eccessi pandemici, durante i quali le aziende hanno assunto troppe persone e a prezzi faraonici, pensando – come ammesso da Dorsey di Twitter e Zuckerberg – che il boom sarebbe stato permanente. 

Forse è un toccasana questo ridimensionamento, verso i valori di un business normale, mentre finora la tech industry non si è comportata come tale, con aspettative esagerate rispetto ai fondamentali. La stessa crisi che colpisce la cripto – con il tracollo del secondo exchange mondiale, Ftx – potrebbe essere messo in questa prospettiva.

L’industria tech è qui per restare e l’attuale shock può fare emergere campioni più robusti e magari persino innovatori inaspettati.

Note

  1. ) Alex Barker, Tim Bradshaw, Alistair Gray, Who killed the social media ad boom? Financial Times, October 28, 2022.
  2. ) Ivi.
  3. ) Rohan Smith, Elon Musk backtracks on Twitter firings, sets sights on luring YouTube stars, nzherald.co.nz, November 7, 2022.
  4. ) Gergely Orosz, The Big Tech Hiring Slowdown Is Here and it will Hurt, https://blog.pragmaticengineer.com/big-tech-hiring-slowdown/ October 28, 2022.

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