Adesso è possibile affermare, con la certezza che l’obiettività dei dati è capace di offrire, quanto sia cambiato il mercato della comunicazione e della IT negli ultimi anni.
Il rapporto dell’Agcom “Piattaforme digitali e telco a confronto – 2012- 2021” dà conferma di quanto accaduto nel periodo considerato: il peso delle piattaforme digitali è cresciuto in maniera esponenziale, mentre quello degli attori operanti nel segmento delle telecomunicazioni si è ridotto in maniera significativa. Ciò in termini di ricavi, di utili, di occupati, con qualche differenza tra l’Europa e le altre aree del mondo oggetto dello studio: Cina, Giappone, Stati Uniti. Del periodo considerato abbiamo detto.
Piattaforme digitali vs telco, il rapporto AGCOM
Per quanto concerne le imprese interessate dall’analisi, esse sono: le piattaforme digitali Amazon, Apple, Meta/Facebook, Alphabet/Google, Microsoft, Netflix, Spotify, Twitter; gli operatori telefonici internazionali (Telco) AT&T, British Telecom, China Mobile, China Telecommunications, Deutsche Telekom, Iliad, Nippon Telegraph & Telephone, Orange, Swisscom, Telefonica, Tim, Verizon Communications, Vodafone.
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I dati presi in considerazione dall’Agcom sono quelli contenuti nelle comunicazioni aziendali dei risultati trimestrali e degli esercizi annuali fiscali. Essi sono riferiti alle attività esposte nei bilanci/comunicazioni finanziarie trimestrali, quindi tengono anche conto degli effetti di crescite per acquisizioni o da dismissioni.
Le telco pagano più tasse e impegnano le stesse persone
Considerando la pressione fiscale, è interessante notare come nel corso del decennio essa sia stata superiore per le Telco, del 2,5 %, rispetto a quella riscontrabile per le piattaforme. Addirittura, nel triennio 19 – 21 il divario si è allargato fino al 9,9 % (24,3 per le telco, 14,4 per le piattaforme), ciò anche in ragione della riforma fiscale introdotta negli USA a fine 2017.
Per quanto concerne l’occupazione, nel 2021 gli addetti dei due aggregati sono, più o meno, in numero equivalente, con 1,99 milioni per le piattaforme e 2,15 milioni per le telco.
In questo quadro, un caso a parte è rappresentato dall’incremento notevole degli occupati in Amazon, che ha contribuito in larga parte al dato aggregato delle piattaforme. Amazon, infatti, negli ultimi 5 anni ha assunto circa 1 milione di nuovi dipendenti (800 mila nel biennio 2020-2021). Anche le altre piattaforme, d’altronde, hanno lasciato il segno dal punto di vista occupazionale, passando nell’intero periodo da 230 mila a 570 mila addetti, con un incremento medio annuo del 10,7%. Per le telco, invece, un misero 1,2 % nell’intero periodo, con una tendenza alla diminuzione dal 2015.
Esaminando più a fondo questi numeri, si notano però le nette differenze tra le varie aree del pianeta: i tre operatori asiatici hanno incrementato gli addetti di 350 mila unità, quelli statunitensi (AT&T e Verizon vi hanno contribuito passando da 425 a 321 mila circa) ed europei, rispettivamente, hanno registrato un decremento di 100 mila e 40 mila. Il calo del numero complessivo si è riverberato ovviamente sui ricavi per addetto, nel 2021 valutabili in 445mila dollari (+6,4% su base annua).
Per Verizon e AT&T si osservano i valori più elevati (con importi che nel 2021 superano di circa il 65% i risultati di inizio periodo, da 572 a 941 mila dollari per addetto). Subito dietro le telco europee, e dietro ancora le imprese asiatiche, ciò a causa degli elevati livelli occupazionali del settore in quell’area.
Per quanto riguarda l’utile prima delle imposte per addetto (nel 2021 pari in media a 61 mila dollari), è stato in crescita del 47% su base annua per le piattaforme, effetto dovuto al venir meno degli oneri straordinari per oltre 18 miliardi di dollari.
Il fatturato per addetto medio è stato pari nel 2021 a 731 mila dollari, e ad oltre 1,7 milioni non considerando Amazon.
L’utile netto per addetto, nel 2021 in media pari a 163 mila dollari, è stato però di oltre 500 mila non considerando l’azienda di Seattle, mentre sono i dipendenti di Apple e Facebook a produrre i maggiori utili netti pro capite (rispettivamente 657e 596 mila dollari).
L’occupazione e il numero di addetti complessivi ha ovviamente inciso sul trend della produttività. Nel 2021 ciascun dipendente delle telco ha prodotto ricavi per 440 mila dollari (410 mila nel 2012), contro i 730 mila delle piattaforme, valore che sale, escludendo Amazon, a 1,7 milioni di dollari (1,3 milioni nel 2012).
Con riferimento all’utile ante imposte per addetto, nel 2021 ciascun dipendente delle telco ne ha prodotto per 60 mila dollari, contro i 190 mila delle piattaforme, dove, escludendo Amazon, lo stesso valore sale a 600 mila dollari.
I ricavi
Venendo ai ricavi, la differenza a vantaggio delle telco, per le quali nel 2012 essi risultavano più che doppi rispetto a quelli delle piattaforme (circa 800 vs 360 miliardi di dollari), si è gradualmente ridotta, fino all’inversione degli ultimi anni: nel 2021, 1.450 miliardi di dollari per le piattaforme, 960 circa per le telco.
Tale risultato finale è figlio della differente crescita media annua nel periodo considerato: per le piattaforme è stata del 16,8%, per le telco del 2,1%. Tra le piattaforme, manco a dirlo, Facebook – Meta) ha registrato la dinamica di crescita più intensa (+41,8% in media all’anno). Per le telco, ancora, risultati diversi a seconda dell’area di riferimento: gli operatori asiatici sono cresciuti annualmente (del 7,3% nel 2021), sia nell’intero periodo considerato (+3,2% medio annuo). Performance decisamente inferiore per gli operatori europei (+1,0% medio annuo), con andamenti negativi per Orange, Telefonica, Tim e Swisscom.
Dal 2014, il valore dell’utile prima delle imposte è sempre superiore per le piattaforme rispetto alle telco. Nel 2021, la differenza si è alzata fino a 250 miliardi di dollari, e nello stesso anno Apple è stata in testa con 116,9 miliardi di dollari. Gli operatori telco statunitensi registrano l’utile ante imposte di maggiori dimensioni e, allo stesso tempo, la profittabilità più elevata (18,6% in rapporto ai ricavi). Gli operatori europei, che agiscono in mercati continentale e nazionali molto più competitivi, hanno nel 2021 un margine dell’8,9% sui ricavi.
L’utile netto è un altro elemento di grande significato per valutare lo stravolgimento avvenuto in questo periodo a vantaggio delle piattaforme digitali, con le conseguenze sui possibili impieghi di liquidità che vedremo più avanti. Per esse, è salito da 95 a 325 miliardi di dollari per negli ultimi cinque esercizi; quello delle telco, ad eccezione del 2017, è al di sotto dei 100 miliardi annui. Dell’utile netto aggregato per le telco, ben il 50% è imputabile alle statunitensi Verizon e AT&T.
La maggiore redditività delle piattaforme ha rilevanti effetti sulla liquidità, e quindi sulla possibilità di effettuare investimenti e acquisizioni. Essa è stata poco meno di 120 miliardi di dollari annui per le telco, circa 500 miliardi per le piattaforme, che perciò possono coprire le attività operative con una parte di essa, e dare luogo a ulteriori introiti investendo in titoli del debito pubblico, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari.
Il valore del rapporto tra patrimonio e passività complessive delle piattaforme è costantemente superiore a quanto risulta per le telco, anche se la differenza tra i due valori è andata nel tempo riducendosi. Tale differenza si traduce in un minore ricorso, da parte delle piattaforme, al capitale di terzi, riducendo in tal modo gli oneri finanziari e liberando conseguentemente risorse per la gestione corrente e per scelte di investimento.
A tal proposito, gli investimenti delle telco risultano sempre superiori a quelli delle piattaforme, anche se nel periodo considerato essi non hanno fatto registrare incrementi. Al contrario, gli investimenti delle piattaforme sono cresciuti di quattro volte in dieci anni, da circa 30 a 140 miliardi nel 2021.
In conclusione
In sostanza, il rapporto dell’Agcom offre un quadro d’insieme che legge bene la realtà sempre più sbilanciata verso il digitale e le Big Tech.
Oltre alle innovazioni tecnologiche, e ai modelli di vita e di consumo profondamente mutati negli ultimi dieci anni, certamente siamo davanti a un fenomeno che si autoalimenta e cresce in maniera esponenziale, potendo fare affidamento su risorse enormi per ulteriori investimenti per innovazioni caratterizzate dalla disruption così cara ai guru della Silicon Valley.
È una strada tracciata, sulla quale camminerà il settore, e tutti noi, per molti anni ancora.
Salvo una forte presa di posizione delle regole e dell’antitrust, come sta avvenendo negli Usa, in Europa, in Cina. Ma con esiti e impatti ancora da vedere.